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La Strage di Erba, un raro e perfetto caso tutto italiano di follia a due

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Con Rosa Bazzi e  Olindo Romano non ci troviamo di fronte a un profilo criminologico di follia a due standard. Loro rientrano proprio nella sotto-categoria della follia simultanea, non in quella indotta da un partner dominante al sottomesso. Loro non sono serial killer, ma semplici pluriomicidi.

Di Luca Rinaldi

La “follia a due” è una particolare condizione delittuosa e criminale descritta per la prima volta nel 1871 da Legrandedu Saulle, psichiatra francese che svolse un ampio lavoro nell’ambito della psichiatria forense. Questi definì la folie a deux come “idee di persecuzione trasmesse, o delirio a due o tre persone”, riconoscendo in essa due fattori fondamentali: la presenza di una personalità dominante, più attiva, intelligente e autoritaria e quella di una personalità sottomessa, passiva, meno intelligente e più suggestionabile.

In seguito vennero create classificazioni e tipologie più segmentate di tale condizione, riuscendo a identificare però due requisiti basilari necessari per considerarsi in presenza di una follia a due: il fatto che i due soggetti avessero passato un periodo più o meno lungo della loro vita in uno stesso ambiente (casa, esercito, prigione, scuola…), condividendo di conseguenza lo stesso modo di vivere e gli stessi interessi, senza che ci fossero interferenze esterne, e il fatto che il delirio fosse reale, non solo fantasticato, e si basasse dunque su attività concrete dei due.

Questo è il quadro in cui inserire la tipologia criminologica della cosiddetta “coppia criminale”. Quando essa è formata da un uomo e una donna avremo generalmente due individui con le suddette caratteristiche che insieme commettono uno o più delitti. Il profilo criminologico standard prevede un loro coinvolgimento erotico o sentimentale, un rapporto di dominanza/sottomissione tra l’uomo e la donna, che vede una partner femminile di età compresa tra i 20 e i 25 anni, emotivamente vulnerabile, e quindi manipolabile, e solitamente usata come “esca” per attirare vittime, e un partner maschile, più grande di età, propenso al sadismo, che spesso ha già precedenti penali. Per queste sue caratteristiche,la follia a due è una condizione che si riscontra spesso in delitti seriali ma, come vedremo, non solo in essi.

Dal punto di vista clinico la follia a due è chiamata disturbo psicotico condiviso, una diagnosi che si effettua quando i sintomi psicotici si sviluppano nell’ambito di una relazione prolungata con un’altra persona già psicotica. Tra le varie tipologie di questa patologia ce n’è una detta follia simultaneache presenta a suo modo caratteristiche peculiari rispetto alla follia a due piùclassica che è, come detto,imposta o indotta dal partner dominante. La follia simultanea si manifesta invece in un sistema delirante che si sviluppa in maniera indipendente in due individui posizionati su livelli psicologici paritari,associati in una forma di relazione piuttosto stretta e che si influenzano reciprocamente, condividendo le stesse motivazioni.

Con Rosa Bazzi e Olindo Romano non ci troviamo di fronte a un profilo criminologico di follia a due standard. Loro rientrano proprio nella sotto-categoria della follia simultanea, non in quella indotta da un partner dominante al sottomesso.Loro non sono serial killer, ma semplici pluriomicidi.

Olindo non è un sadico alla ricerca costante di vittime, ma un uomo innamorato di sua moglie che non ha precedenti penali, se non una vecchia querela sporta contro di lui dal padre e dal fratello per una rissa avvenuta in famiglia; inoltre Rosa, all’epoca dei delitti,ha 43 anni, lui solo uno più di lei, decisamente fuori dal profilo standard; senza contare che lei è tutt’altro che vulnerabile nel rapporto con il marito: non è lui che ha le redini della vita quotidiana della coppia, non è lui che detta i ritmi dei pasti, dei momenti di riposo e di svago, non è lui che assegna le faccende di casa. Lo fanno entrambi, in realtà, in una perfetta comunione d’intenti, sviluppata e perfezionata in vent’anni di convivenza e matrimonio, in modo ossessivo, con cadenze maniacali. In una costante ricerca di ordine, contrapposto al perturbante caos esistente fuori dalle quattro mura domestiche, tanto che il loro stesso citofono avverte “pregasi non disturbare”: una richiesta di isolamento a protezione del nido, una precisa volontà di lasciar fuori le interferenze e i fastidi dalla loro vita semplice, regolare e felice. Non è un caso che entrambi abbiano tagliato da anni i rapporti con le rispettive famiglie e che durante il processoper i delitti a loro addebitati verranno descritti come persone molto chiuse e isolate, morbosamente attaccate l’uno all’altra.

È proprio in questo contesto che Rosa Bazzi e Olindo Romano, una domestica e un netturbino di Erba (CO), due persone apparentemente comuni, l’11 dicembre 2006 sono arrivati a compiere quell’omicidio doloso plurimo, nell’appartamento di una corte ristrutturata nel centro di Erba. Un delitto di cui si sono occupati per anni quotidianinazionali e trasmissioni televisive, giudicandoli, additandoli e infine condannandoli.

In quella sera del 2006 vennero uccisi con due coltelli e una spranga quattro persone: Raffaella Castagna (30 anni), suo figlio Youssef Marzouk (2 anni), la madre di lei, Paola Galli (60 anni), e la vicina di casa, Valeria Cherubini (55 anni). Morì anche il cane di quest’ultima, soffocato dal monossido di carbonio sprigionato dall’incendio che fu appiccato successivamente a quella che venne poi definita “La strage di Erba”. Mario Frigerio (65 anni), marito della Cherubini, pur accoltellato alla gola, si salvò per una malformazione congenita alla carotide che deviò la pugnalata, rendendola non mortale.

I corpi vennero trovati da due vicini di casa, attirati dal fumo. Sull’uscio dell’appartamento trovarono Frigerio, ferito e con la gola tagliata, che, a gesti, indicò loro la presenza di qualcun altro intrappolato in casa, al piano superiore. L’interno dei due appartamenti rivela altri dettagli agghiaccianti: il corpo senza vita e in fiamme di una donna, Raffaella Castagna e, dal piano superiore, le richieste di aiuto di un’altra donna (che in seguito si scoprirà essere Valeria Cherubini). I due soccorritori improvvisati trascinarono il corpo della Castagna sul pianerottolo, spegnendo le fiamme che lo avvolgevano, ma nulla poterono contro il fumo denso presente al piano superiore, tanto da dover rinunciare al salvataggio della donna che chiedeva aiuto.

A seguito dell’intervento dei Vigili del Fuoco, vennero rinvenuti un totale di quattro corpi senza vita: oltre a Raffaella Castagna, aggredita con dodici coltellate, colpita ripetutamente con una spranga tanto che la causa del decesso risulterà essere una fattura cranica e infine sgozzata, venne trovato anche il corpo di Paola Galli, che subì la stessa sorte della figlia, e il corpicino del figlio di due anni di Raffaella, Youssef, morto dissanguato sul divano di casa a causa di un unico colpo alla gola che gli recise la carotide. Nell’appartamento al piano superiore, venne invece scoperto il cadavere di Valeria Cherubini, accorsa in casa Mazourk,decisa a prestare aiuto perché attirata dal fumo. Si scoprirà che l’aggressione alla donna avvenne sulle scale con un’arma da taglio, e come poi questa fosse riuscita a trascinarsi, ferita e sanguinante, fino al piano superiore dal quale aveva lanciato invano le sue grida di aiuto. Il monossido di carbonio presente nella stanza aveva fatto il resto e, con lei, sempre asfissiato, era morto anche il cane di famiglia. Unici sopravvissuti alla strage furono il marito della Cherubini, Mario Frigerio, che si salvò nonostante le percosse e la lacerazione alla gola, e che divenne, in fase processuale, il primo accusatore dei coniugi Romano, e il marito della Castagna, Azouz Mazourk, che al momento dei fatti si trovava in Tunisia in visita ai genitori.

I primi sospetti sui coniugi Romano, inizialmente non derivarono però dalla testimonianza di Frigerio, rimasto incosciente in ospedale nei giorni successivi ai fatti, ma dai Romano stessi, dal loro comportamento disinteressato alla vicenda, tanto diverso da quello degli altri vicini e curiosi, morbosamente alla ricerca di dettagli e di rassicurazioni dalle forze dell’ordine. Gli inquirenti misero allora in campo tutta la tecnologia a loro disposizione, ponendo sotto controllo l’automobile e l’abitazione dei Romano con intercettazioni ambientali e sequestrando alcuni indumenti. Inoltre i due sospettati presentavano ferite, anche sanguinanti, alle mani e alle braccia, e alle domande di rito fatte indistintamente a tutti i condomini si premurarono di consegnare, non richiesto, uno scontrino del McDonald’s risalente alla sera dei delitti,quasi a voler fornire un alibi che, proprio perché non richiesto, risultò ancora più sospetto. In ogni caso lo scontrino li poneva nel fast food due ore dopo i fatti e dunque, se quello fu un tentativo di sviare i sospetti dalle loro persone, fu sicuramente maldestro. Alla lista degli indizi si aggiunsero poi i frequenti diverbi esistenti tra i due coniugi e Raffaella Castagna, sfociati in una lite passata in cui i Romano avevano aggredito e percosso la Castagna e infine in una causa civile per ingiurie e lesioni che avrebbe dovuto svolgersi due giorni dopo la strage.

La vicenda giudiziaria dei Romano proseguì negli anni e nei tre gradi di giudizio previsti dall’ordinamento italiano. A corroborare la tesi accusatoria, oltre i già accennati comportamenti sospetti dei due presunti assassini e le escoriazioni e ferite rinvenute sulle braccia e sulle mani degli stessi, anche un’unica macchia di sangue, che si scoprìappartenere alla Cherubini grazie all’analisi del DNA, trovato dai RIS di Parma sulla pedana vicino allo sportello lato guidatore della Seat Arosa di Olindo Romano. Per l’accusa questo fu l’unico errore commesso dai due nella accurata pulizia attuata dai due coniugi dopo i delitti.  In aggiunta, dai rilievi effettuati dai RIS risultava la presenza in casa, durante gli omicidi, di una seconda persona, mancina come lo è Rosa Bazzi. A queste prove materiali e indiziarie si sommano le ammissioni,avvenute separatamente, di colpevolezza fatte dai due coniugi. Confessioni che, in alcuni casi, coincidevano perfettamente con i rilievi fatti nella casa, ma che in seguito vennero ritrattate in aula. Senza contare la testimonianza del sopravvissuto, Frigerio, che indicava Olindo e una non meglio specificata donna come responsabili dell’accaduto. A mettere un’ulteriore pietra accusatoria sui Romano ci pensarono infinestampa e tivù che trasformarono la vicenda in un processo mediatico decisamente colpevolista nei confronti dei due presunti assassini.

L’impianto accusatorio però, nei vari gradi di giudizio, subì non pochi scossoni, a partire proprio dalla ritrattazione delle confessioni dei Romano, motivate dal fatto che secondo lorofossero state estorte dagli inquirenti sotto la minaccia di tenerli separati per sempre e con la promessa di far loro ottenere sconti di pena e trattamenti di favore; in seguito la fondamentale testimonianza di Frigerio, che inizialmente sembrava puntare sui Romano, trovò l’opposizione della difesagrazie ad alcune intercettazioni precedenti, fatte in ospedale, che parevano dimostrare fossero stati i Carabinieri a “suggerire” all’uomo ferito e confuso il nome di Olindo come responsabile della strage; in aggiunta a ciò, Azouz Marzouk, marito della Castagna, che inizialmente chiese addirittura la pena di morte per i due imputati, diventòin seguito paradossalmente il primo a difendere l’innocenza dei Romano, indicando addirittura un possibile testimone oculare e lamentando la presenza di fatti poco chiari in tutta la vicenda; per quanto riguarda le prove materiali rinvenute, invece sono sostanzialmente due le rimostranze della difesa: innanzitutto il fatto che, a parte la macchia di sangue trovata sull’automobile di Olindo, considerata dagli avvocati difensivi una contaminazione successiva, nessun’altra traccia ematica, impronta digitale o orma di scarpa risalente a loro, fosse stata rilevata né in casa dei Romano, né sui loro effetti personali, né tantomenonell’appartamento dei Marzouk o sul pianerottolo, considerato anche che gli stessi Romano erano feriti. Secondariamente, ormai nel 2017, la difesa obiettò lo strano comportamento dei PM di volerprocedere alla distruzione di sette elementi di prova mai esaminati o esaminati solo in parte. La tempestiva richiesta da parte degli avvocati difensori, accordata dalla Cassazione, di bloccarne l’eliminazione è ad oggi la principale motivazione su cui si basa la richiesta di revisione del processo da parte della difesa.

Insomma, di motivi per dubitare della colpevolezza dei due coniugi di Erba ce ne sono, così come ne esistono altrettanti per additare i due come colpevoli. Della vicenda,oggi,è rimasta solo una certezza: la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva i coniugi Romano all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni, il massimo consentito dalla legge, oltre che al risarcimento ai familiari delle vittime, riconoscendoli di fatto gli unici responsabili della strage e basando la motivazione sostanzialmente su tre elementi: la macchia di sangue della Cherubini trovata sulla Seat di Olindo, la testimonianza di Frigerio e il comportamento tenuto dai coniugi successivamente alla strage, confessioni e ritrattazioni comprese. Tutti elementi contestati dalla difesa per i motivi suddetti. Olindo Romano oggi sta scontando la sua pena nel carcere di Opera, mentre Rosa Bazzi fa altrettanto in quello di Bollate. Hanno l’autorizzazione a incontrarsi ogni 15 giorni e continuano a professarsi innocenti.

Rimangono quindi due sole alternative: l’innocenza, nel caso di un clamoroso errore giudiziario nei confronti di due persone che desideravano solo vivere tranquille, magari aggressive, arroganti e mal viste dal vicinato, ma pur sempre innocenti ed estranee ai fatti; e la colpevolezza, concretizzatasi inuno dei più rari e perfetti casi di folie a deux. Raro, perché non perfettamente allineato con lo standard di tale condizione, in quanto follia simultanea e non indotta da un partner dominante a quello sottomesso, che esclude oltretutto la presenza di motivazioni sadiche o di precedenti penali del protagonista dominante. Perfetto, perché d’altro canto rispecchia le varie definizioni date nel tempo alla patologia: due individui che hanno vissuto per un certo periodo nello stesso ambiente e a stretto contatto tra loro, volontariamente isolatisi da interferenze esterne che potessero disturbare la perfetta e simbiotica stabilizzazione di determinate routine e modalità di vita e che mettono in atto un comportamento criminoso dettato da un delirio condiviso e reale, acuito in questa circostanza da attività concrete come anni di scontri verbali, fisici e legali con i vicini di casa, e sfociato infine nella follia sanguinaria di una carneficina che non ha avuto pietà neanche di un bambino di due anni.

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