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Diritti umani

Una genitorialità più equilibrata e la valorizzazione della figura paterna

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La parità non è portare le donne al livello degli uomini, confermando di fatto una visione basata su differenze di genere, ma considerare tutte le persone parimenti soggette agli stessi diritti e doveri.

di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus

Una certa retorica speculativa dell’efficienza e della produttività ha contribuito a determinare alcuni guasti sociali e visioni distorte dei dati reali. Per decenni si è detto che il welfare state sviluppato dagli Stati Nord europei era una sorta di utopia per pochi ricchi, si è continuato a dire che le donne sono predisposte più degli uomini alla cura parentale, e si sono giustificate discriminazioni basate su tali assunti, per cui “è giusto” che le donne siano pagate meno perché possono “incorrere” nella gravidanza e in impegni per la cura dei più piccoli.  Poi, negli anni ’20 di questo secolo ci si è accorti che la popolazione inizia a diminuire, che nascono sempre meno bambini, che delegare solo le donne al lavoro di accudimento filiale è comunque una forma di discriminazione. E forse ora qualcuno comincia pure ad accorgersi che la parità non è portare le donne al livello degli uomini, confermando di fatto una visione basata su differenze di genere, ma considerare tutte le persone parimenti soggette agli stessi diritti e doveri, pur con alcuni correttivi specifici individuali, come può accadere con agevolazioni previste per alcuni portatori di limitazioni fisiche o psichiche.  Ciò per dire che non dovrebbe sorprendere il fatto che nel panorama socioeconomico contemporaneo il tema della conciliazione tra vita familiare e lavorativa stia ricoprendo crescente importanza. Tanto che negli ultimi due decenni l’Unione europea ha cominciato a orientarsi verso un rinnovato equilibrio per i genitori nella gestione della vita familiare in rapporto a quella lavorativa.

Alcuni interventi legislativi in questo senso sono stati la risoluzione 29 giugno 2000, n. 2000/C218/02 del Consiglio UE e dei Ministri incaricati dell’occupazione e della politica sociale, relativa alla partecipazione equilibrata di donne e uomini all’attività professionale e alla vita familiare o la direttiva 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE del Consiglio UE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.     A livello nazionale, il tema della conciliazione vita-lavoro si intreccia inevitabilmente con il sistema, purtroppo sempre più sfumato e precario (si pensi alla sanità) di welfare statale, ossia l’insieme delle politiche che mirano a tutelare i cittadini in generale e le fasce più deboli in particolare.  In Italia, nello specifico, si sono ampliate alcune misure di sostegno alla genitorialità e promosso il ruolo dei padri. Un esempio su tutti è la prima norma in materia di congedo parentale, il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.

Negli anni, le modifiche al Testo unico in favore di forme di congedo parentale sono state numerose e miranti alla ricerca di un difficile equilibrio tra il welfare statale e quello aziendale, che assieme potrebbero giocare un ruolo chiave nel promuovere una genitorialità più equilibrata e condivisa. Ricordando un altro elemento distorto della retorica degli ultimi decenni, quello del costo del lavoro che in Italia sarebbe troppo alto, è forse lecito avanzare qualche dubbio sulla disponibilità di buona pate della imprenditoria privata nel sostenere tali politiche. Ancora una volta facendo finta di ignorare che in altri Paesi, quanto le imprese destinano a migliorare le condizioni di vita e familiari dei propri dipendenti torna ad esse in migliore produttività ed efficienza, nonché in minore turnover lavorativo, che ha comunque un costo non indifferente per le imprese.

L’importanza sempre maggiore di questo tema è stata alimentata sia dalle giuste rivendicazioni di piena parità di trattamento che dalle trasformazioni culturali, sociali e demografiche.  Un impulso decisivo alla trasformazione degli strumenti di sostegno ai genitori lavoratori probabilmente è stato accorgersi che i più tradizionali istituti di tutela della maternità, certamente importanti, non erano più adeguati ai nuovi modelli familiari e all’impoverimento progressivo di una parte della popolazione che, in assenza del lavoro di entrambi i componenti della coppia, non era più in grado di far fronte ai costi crescenti di alloggio, di procreazione e cura dei figli.  Anche la rigida divisione tra la sfera lavorativa e quella privata rappresenta un tema di dibattito e attenzione nel panorama socioeconomico contemporaneo, specialmente dopo la fase del Covid e la diffusione del lavoro a distanza. La conciliazione tra le esigenze lavorative e quelle familiari si configura come una sfida complessa, influenzata dai molti fattori socioculturali, economici e politici. Resta la necessità di riconsiderare la genitorialità con tutti i suoi risvolti giuridici, caratteristiche ed esigenze, nelle società modernizzate attuali.

L’Unione europea ha adottato diverse misure per promuovere una maggiore conciliazione tra vita professionale e vita privata per le persone con figli. Ulteriori passi nel rafforzamento delle tutele specifiche previste sono stati fatti con la direttiva 20 giugno 2019, n. 2019/1158/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio UE, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. In particolare, quest’ultima norma abroga la precedente direttiva 8 marzo 2010, n. 2010/18/CE sul congedo parentale a partire dal 2 agosto 2022 e detta i nuovi requisiti minimi che tutti gli Stati membri dovranno attuare nel tentativo di aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre, o di un secondo genitore equivalente, nella famiglia. Tali norme costituiscono un beneficio per i bambini e la vita familiare, rispecchiando al contempo più accuratamente i cambiamenti sociali e promuovendo la parità tra persone. Si è previsto, infatti, che il padre o il secondo genitore equivalente, se riconosciuto dalla legislazione nazionale, abbia diritto ad almeno 10 giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito nei giorni vicini alla nascita o al parto del feto morto. Tale congedo deve essere pagato a un livello non inferiore all’indennità di malattia.   Negli ultimi anni, anche a livello aziendale, il tema del welfare sta acquisendo maggior attenzione, con l’obiettivo di promuovere una maggiore condivisione dei compiti di cura della famiglia e un rinnovato equilibrio.

Varie aziende europee stanno integrando il welfare statale con misure specifiche per i dipendenti, attraverso un insieme di benefit e prestazioni non monetarie erogate a favore dei dipendenti; iniziative messe a disposizione dalle aziende per i dipendenti con lo scopo di migliorare la qualità della vita e il benessere dei lavoratori e dei loro familiari. Ed è proprio dalle ancora poche imprese più virtuose che arriva una spinta a compiere ulteriori passi per un maggior coinvolgimento di entrambi i genitori nella vita dei figli.  Nel caso specifico dei padri, esempi di misure di welfare aziendale sono: congedo parentale retribuito, che le aziende possono offrire in aggiunta al congedo obbligatorio previsto dalla legge aggiuntivo per entrambi i genitori; part time e flessibilità lavorativa, che si traducono nella possibilità di lavorare part time o di avere degli orari di lavoro flessibili che possono facilitare la conciliazione vita-lavoro per i padri; smart working che permette ai padri di lavorare da casa garantendo loro maggiore flessibilità e autonomia; i nidi aziendali, così da facilitare l’accesso ai servizi per la prima infanzia per i dipendenti con figli piccoli. L’offerta verso i dipendenti può essere il risultato di iniziative assunte in maniera unilaterale dalle aziende o tramite la contrattazione a livello nazionale e/o territoriale di gruppo o di singola azienda.

Alla luce di quanto illustrato è chiaro che l’assenza di welfare pubblico e aziendale condiziona grandemente le vite delle nuove generazioni e le possibilità di una genitorialità equilibrata e partecipata. Promuovere una genitorialità più equilibrata e una maggiore condivisione dei compiti di cura rappresenta un investimento per il futuro, con ricadute positive sulla salute dei figli, sul benessere delle famiglie e, conseguentemente, sulla competitività delle aziende. Le recenti innovazioni normative, come l’estensione del congedo di paternità e l’obbligo di congedo parentale per i padri, vanno in questa direzione. Il welfare per i padri rappresenta un impegno collettivo per costruire un modello di genitorialità migliore, in cui entrambi i genitori possano essere protagonisti nella crescita dei figli. Ma è fondamentale un nuovo paradigma culturale, il sostegno di politiche statali adeguate e di una cultura aziendale moderna e meno miope verso le esigenze dei lavoratori-genitori.

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