Attualità
Le relazioni tossiche
In questo genere di relazioni una delle due persone si percepisce non supportata, sottovalutata, attaccata o umiliata, con comportamenti negativi che possono danneggiare non solo la salute mentale della persona colpita, ma anche le sue componenti somatiche, sociali e interpersonali.
di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus
Sempre più spesso si legge, o si sente parlare, di “relazioni tossiche”, della loro disfunzionalità e dei problemi che comportano. Quando si citano le “relazioni tossiche” quasi sempre il riferimento principale è alle interazioni di coppia, sebbene di relazioni tossiche, nella vita sociale ce ne possano essere molte e in diversi contesti. Cosa si intende con relazioni tossiche? Una relazione interpersonale può essere definita come “tossica” se caratterizzata dai comportamenti di una persona che sono emotivamente, psicologicamente, socialmente o anche fisicamente, fortemente dannosi per l’altra persona con cui interagisce abitualmente. Ѐ quindi una relazione nella quale le condizioni sono tali per cui una delle due (o più) persone si sentirà depressa, minacciata svalutata, rifiutata, abusata o costretta. Condizioni come queste possono essere indicatrici di quella che viene appunto indicata come una relazione tossica. In questo genere di relazioni una delle due persone si percepisce non supportata, sottovalutata, attaccata o umiliata, con comportamenti negativi che possono danneggiare non solo la salute mentale della persona colpita, ma anche le sue componenti somatiche, sociali e interpersonali.
Relazioni tossiche possono verificarsi in molti contesti, quali i luoghi di lavoro, di formazione, di cura, tra amici, tra familiari e congiunti, colleghi, nelle attività sportive o ricreative, ecc. Esse rendono le persone colpite più fragili e vulnerabili, possono alimentare l’insorgenza di disturbi, traumi o marginalità che producono reazioni emotive intense e quasi sempre persistenti. Ci si trova quindi di fronte a una modalità malsana di relazione, spesso difficile da prevenire o evitare, e non rara da sperimentare nelle relazioni sociali. Dal punto di vista delle conseguenze, in parte sopra indicate, questi tipi di relazione si associano a forme di progressivo forte disagio, comportamenti anomali, disturbi (ansia, attacchi di panico, forme para-depressive, dipendenze, disturbi digestivi, ecc.). Nelle coppie in senso stretto, questo genere di relazione si può manifestare anche con conflittualità costante, gelosia assillante o estrema, tentativi di manipolazione e di intimidazione, biasimo e critica costanti, denigrazione, azioni di controllo e di colpevolizzazione, varie modalità di abuso. Il supporto reciproco, la condivisione tra pari e l’empatia mancano e sono sostituiti dal loro opposto.
L’espressione “relazione tossica” fu usata per la prima volta da Lillian Glass nel suo libro Toxic People, nel 1995. Il successo dell’espressione ha fatto sì che essa sia stata adottata velocemente in ambito mediatico, sociologico e psicologico, sebbene esuli dalle tipologie diagnostiche ufficiali. La diffusione della formula è tale che, nel 2023, è stato pubblicato lo studio, “Toxic Interactions and the Social Geography of Psychosis”, dedicato ai fattori sociali urbani (congestione, stress dei suoi ritmi, piccoli e grandi traumi lavorativi, economici e familiari) che accrescono il rischio di manifestare esperienze psicotiche. In effetti si tratta di una definizione di relazioni abbastanza ampia e variegata, che può includere molte diverse situazioni, contesti e gravità, ma che risponde bene sia all’esigenza di una definizione semplificata popolare che ad una classificazione generale in ambito criminologico e sociologico. Nella letteratura scientifica, diversamente da parte dell’uso corrente, le relazioni tossiche sono quelle associate a micro-culture devianti, a situazioni di abuso e trauma, a persone con tratti psicopatici, allo scarso controllo della rabbia, ad attività criminali e fortemente devianti. Si adatta bene alla violenza intima tra partner (IPV), oramai altro riferimento associato alla “tossicità” di coppia e alle analisi vittimologiche.
Secondo alcune ricerche, le forme psicologiche di violenza intima tra partner possono essere più predittive di esiti negativi sulla salute mentale rispetto alle forme di abuso fisico e sessuale. Altri studi hanno esaminato gli effetti differenziali dell’IPV sui sintomi depressivi, rilevando che le donne che avevano subito abusi sia fisici che psicologici da parte dei loro partner intimi avevano tassi di depressione più elevati rispetto a quelle che avevano subito solo abusi fisici, suggerendo fortemente che la forma psicologica dell’IPV non è un tipo minore di violenza, ma piuttosto una chiave determinante dell’esito della salute mentale. Qui la riflessione si sposta sulla diffusione della violenza da parte del partner (IPV), un problema globale, che si verifica a tassi relativamente elevati, soprattutto tra le donne, secondo dati Organizzazione Mondiale della Sanità. Nei Paesi sviluppati, in media circa 1 donna su 4 e 1 uomo su 10 hanno subito violenza fisica (donne: 21,4%, uomini: 14,9%) o sessuale (donne: 18,3%, uomini: 8,2%). Tassi di prevalenza molto più elevati si riscontrano se vengono rilevati abusi emotivi (ad esempio, essere minacciati, sminuiti o umiliati di fronte ad altri, insultati o fatti sentire in colpa con sè stessi), abusi economici (ad esempio, impedendo una separazione) o abusi informatici (stalking, sexting, revenge porn, sextortion, ecc.). In questi casi, le strategie di adattamento descrivono come una persona si impegni in sforzi cognitivi e comportamentali per gestire la propria esperienza di vittimizzazione, cercando, in generale, di: (1) affrontare il problema che causa il disagio (reazione focalizzata sul problema, ad esempio, ottenere supporto sociale strumentale) e (2) regolare o alleviare l’emozione (reazione focalizzata sulle emozioni; ad esempio, abuso di sostanze, auto-distrazione). Sebbene l’efficacia delle strategie di coping dipenda in parte dal tipo di fattore di stress e dalle caratteristiche della persona, si ritiene che le strategie focalizzate sul problema siano più adattive, perché forniscono un senso di controllo che porta a risultati positivi. Al contrario, le strategie focalizzate sulle emozioni possono essere disadattive poiché non viene fatto un adeguato sforzo per cambiare o controllare la situazione stressante, portando quindi ad un aumento dei sintomi di disagio. Importante è pure intervenire per ridurre le asimmetrie di controllo, potere e/o manipolazione. Le situazioni e le modalità di intossicazione relazionale sono quindi molte e vanno affrontate con approccio flessibile.