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Attualità

Il Giappone riapre la caccia alle balene violando le norme internazionali

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Pescare cetacei è vietato da oltre trent’anni ma il Paese nipponico ha deciso di ignorare il divieto rivendicando il suo diritto di “commerciare liberamente” la carne dei grossi animali.

di Vito Nicola Lacerenza

Quella che sembrava essere solo una voce di corridoio, oggi si è rivelata realtà. Il Giappone  riaprirà la caccia alla balena a partire da luglio del prossimo anno. Lo ha annunciato il portavoce del governo nipponico Yoshihide Suga, provocando un’ondata di malcontento in gran parte dell’opinione pubblica internazionale. Pescare i cetacei e venderne la carne è vietato dal 1986 dalla Commissione Internazionale per la Caccia alle Balene (IWC), associazione che ha salvato gli enormi animali dall’estinzione e ne ha preservato l’esistenza per quasi 33 anni, permettendo a diverse specie di balena di ripopolare i mari. L’incredibile risultato raggiunto dalla IWC, se da un lato ha destato soddisfazione nelle organizzazioni animaliste di tutto il mondo, dall’altro è servito al Giappone per pretendere la riapertura della “caccia responsabile e controllata” alla balena. In effetti, il divieto del 1986 ha carattere “temporaneo” e, dal momento che diverse specie di cetacei non sono più a rischio di estinzione, il governo nipponico ha chiesto di poter di nuovo commercializzare la carne del cetaceo, il cui mercato è crollato negli ultimi decenni.

Basti pensare che, di tutta la carne venduta attualmente in Giappone, quella di balena rappresenta solo lo 0.1%. Per il Paese nipponico si tratta di un vero e proprio affronto, perché la carne dell’enorme animale rientra tra i prodotti culinari tipici della tradizione gastronomica locale e ,per tale ragione, i giapponesi sono disposti ad acquistare la carne del cetaceo nonostante il prezzo proibitivo. Quest’ultimo potrà scendere solo quando, l’estate prossima, le baleniere riprenderanno a cacciare balene, ma solo nelle acque territoriali giapponesi. Con tale restrizione, le autorità nipponiche sperano di scongiurare eventuali sanzioni economiche dovute alla violazione della Convezione delle Nazioni Unite per il Diritto in Mare che, proprio come la IWC, obbliga gli Stati membri a cooperare per la difesa delle balene.

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