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Attualità

Da un’antropologia maschile a una femminile. Un viaggio necessario. Parte prima

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Una critica dell’antropologia di base maschile, quella che sembra aver governato fino a ora l’umanità e che pare dover essere sostituita da un’altra, proveniente dalla parte femminile della nostra specie.

Sergio Bevilacqua

L’oggetto del presente testo è l’ANTROPOLOGIA, cioè di un modo di essere Umani comune a tutti, maschi e femmine. L’antropologia, dal greco anthropos, essere umano, definisce i tratti comuni a tutta l’umanità, intesa come specie biologica, suo comportamento, sue manifestazioni proprie di differenziazione interna, elementi generali che la caratterizzano. Secondo Socrate, nel Cratilo: “(…) gli altri animali non considerano, non ponderano, non riflettono attentamente sulle cose che vedono, l’uomo invece è chiamato anthropos (ἄνϑρωπος), cioè colui che riflette su ciò che ha visto (…)”.

Lo studio dell’antropologia ha caratteristiche scientifiche diverse in relazione si campi ove si applica: la certezza del suo sapere dipende quindi dalla possibilità di applicazione puntuale e completa del Metodo Sperimentale, il quale sappiamo che ottiene ottimi risultati di certezza nel campo di determinate discipline cosiddette “esatte” (chimica, fisica, una parte della biologia, e per applicazione in moltissimi ambiti operativi ove cioè si applica il concetto di sistema chiuso), mentre deve limitare la aspettativa di risultato nelle discipline cosiddette umane o sociali (psicologia, sociologia, economia, storia, linguistica, semiologia, politica, “arte” in tutti i suoi ambiti, ove cioè si applica il concetto di sistema aperto, che coincide con instabilità gnoseologica dell’oggetto di studio).

In sintesi, mentre nel caso delle scienze esatte la sperimentazione può avvenire in ambienti artificiali (il laboratorio) e ivi ottenere risultati certi più o meno ovunque nel mondo conosciuto, nel caso delle scienze “umane” o “sociali” esso opera attraverso la clinica specifica, diversa per tempo e luogo, ma comunque di livello significativamente diversa e migliore sul piano gnoseologico del precedente criterio filosofico, basato sul semplice uso del pensiero, tipicamente pre-scientifico (che non significa anti-scientifico).

Avremo quindi antropologie più certe e meno certe a seconda dell’ambito di studio.

Non mi dilungo qui nella casistica delle antropologie, che, grazie a quanto sinteticamente espresso sopra, ciascuno potrà collocare ai diversi livelli di certezza del sapere, nello stadio attuale delle capacità di conoscenza umana (gnoseologia, appunto).

Quando parliamo di antropologia di genere, del maschile e del femminile, intendiamo una materia che occupa spazi vari, che vanno dalla biologia alla genetica, alla semiologia, alla psicologia, con ricadute sistemiche di ampio livello.

Dunque, il concetto del presente testo è di effettuare una critica dell’antropologia di base maschile, quella che sembra aver governato fino a ora l’umanità e che pare dover essere sostituita da un’altra, proveniente dalla parte femminile della nostra specie.

Che si possa parlare proprio oggi di antropologia di genere richiede una riflessione: esiste essa?

La domanda comporta una risposta articolata su diversi livelli del tema antropologico, dal particolare, cioè dalle sue diverse manifestazioni diffuse lungo tutta l’Umanità, alle sue caratteristiche più generali e omogenee.

Non essendo questo il luogo nemmeno per un’analisi dettagliata della risposta, rimandando a ulteriori testi futuri di dettaglio, riporto qui alcune generalizzazioni abbastanza corrette e spero anche universalmente riconosciute. Esiste una morfologia differente tra maschile e femminile: in termini di antropologia fisica i due sessi si differenziano notevolmente per misure, geometrie e anche dul piano organico e funzionale. Diciamo che sono per gli umani abbastanza facilmente riconoscibili nelle loro differenze.

Esistono poi aspetti meno evidenti, rilevabili anche attraverso determinate analisi. Essi riguardano alcuni fattori di comportamento collegati ed elementi biologici non palesi che differenziano sul piano etologico (del comportamento) l’antropologia maschile da quella femminile. Da una parte, cioè, sappiamo dalla biologia dell’esistenza di elementi organici differenti di struttura ormonale, dei quali si conoscono anche ormai alcuni fattori sistemici prima ignorati che interagiscono con i processi cognitivi, peraltro garantiti da un’univoca dimensione della corteccia cerebrale, parte del cervello umano (sede di tutte le funzioni cognitive) tra maschio (M) e femmina (F). Il cervello umano è dunque strutturato allo stesso modo ma può funzionare diversamente nel caso di M e F in relazione alle diverse interazioni ormonali, anche se quasi mai in modo incontrollato.

Mi fermerei qui per il momento, in quanto credo che questi due primi livelli di antropologia fisica siano per il momento sufficienti a stabilire una differenza, la cui composizione o prevalenza si presenti come un aspetto logico abbastanza oggettivo e convincente.

Possiamo quindi affermare che l’umanità sia stata condotta finora con la prevalenza delle caratteristiche antropologiche maschili della specie? Credo che a questa domanda ci sia una risposta ovviamente, ancorché graduata: ed è sì, la specie umana ha avuto una guida maschile e piuttosto evidente fino quasi ai giorni nostri e, su una buona parte dell’umanità, ancor oggi in modo addirittura giuridico (l’Islam in generale).

Giusto? Sbagliato? Chiedere una risposta alla Storia è impossibile. Invece è possibile una risposta dall’Oggi, dalla correntezza dell’Umano.

L’antropologia maschile ha dunque guidato l’umano nel suo rapporto con l’ambiente, secondo il nostro modesto sistema di conoscenze. È stato giusto, vantaggioso, o ingiusto, sbagliato? La prima risposta è che l’umanità come realtà naturale, ha operato nel senso di ottenere il miglior risultato nel rispetto della sua varietà e opportunità complessiva (olismo).

E se invece l’antropologia femminile fosse stata migliore? O se lo fosse ora? Alla luce di quanto detto, finora l’avremmo vista confusa in una logica di subordinazione oppure concentrata su alcune funzioni diciamo infrastrutturali strategiche (come nella riproduzione della specie), e non sistemiche a tutto tondo… Qualche raro caso fino al XIX secolo ha dimostrato che la donna può avere risultati simili a quelli dell’uomo, anche se inserita in ambiente antropologicamente maschile, quindi fatto per altra tipologia di soggetto umano (il M appunto). Ma la nostra ottica è deformata da nessun possibile confronto

Per capire l’opportunità storica delle due antropologie occorre dunque considerare l’evoluzione dell’Uomo, che, grazie alla Scienza e alla sua figlia legittima, la Tecnologia, ha compiuto enormi passi avanti, in primis il concetto di automazione tecnologica e il suo stadio attuale. Cambia qualcosa rispetto all’antropologia col Transumanesimo (dalle protesi all’IA), le fecondazioni eterologhe, l’ingegneria genetica, l’organizzazione civile di Stati con i loro servizi e aziende? È qui che troviamo la risposta che sconvolge la partita: l’Umanità è pronta per rivoluzionare i suoi valori, e passare da un’antropologia maschile a una femminile.

Cari Uomini occidentali, oppure anche uomini tout-court: guardate negli occhi le vostre fidanzate, mogli, sorelle, madri, nonne… Troverete lì il vostro futuro!

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