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Quella Musica Classica schiava di Sanremo, con la complicità degli stessi orchestrali

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I musicisti che suonano a Sanremo, mortificati nei loro diritti artistici e umani, prendono solo 50 euro al giorno di compenso. Ma buona parte dei media sono impegnati in sterili polemiche sulla presunta battuta sessista del conduttore Amadeus, sui testi volgari proposti dal rapper Junior Cally, prima di questo episodio sconosciuto ai più, e sulla “tutina trasparente” indossata dal cantante Achille Lauro. 

 

Per gli italiani il Festival di Sanremo, giunto ormai alla 70° esima edizione, continua ad essere un evento fisso da seguire più o meno con entusiasmo, un sentimento condiviso anche dagli orchestrali ingaggiati e ancora una volta platealmente sfruttati (dall’inizio degli anni 2000 ormai si tratta di una realtà consolidata).
Pochi infatti sanno che i musicisti dell’Orchestra dell’Ariston, per suonare una media di circa 10 ore (se non di più) al giorno, sono pagati circa 50 euro a giornata, per un totale di 1.930 € lordi previsti nell’arco di 40 giorni di lavoro e con soli 180 € di rimborso per tutto il periodo di soggiorno. Quest’ultimo quindi può essere finanziato dalla maggior parte degli orchestrali solo attraverso una parte cospicua del misero compenso che, per altro, viene pagato dopo un anno dall’evento.
Uno scenario lavorativo peggiore di questo, per un artista e in generale per un lavoratore che rivendichi i propri diritti, credo sia difficilmente immaginabile, eppure non sembra essere ancora abbastanza per suscitare l’indignazione dei maggiori Media nel nostro paese, impegnati invece nelle interminabili e sterili polemiche sulla presunta battuta sessista del conduttore Amadeus, sui testi all’insegna del femminicidio proposti dal rapper Junior Cally (fra l’altro prima di questo episodio sconosciuto ai più), e sulla “tutina trasparente” indossata dal cantante Achille Lauro durante la prima serata.
Tuttavia anche quest’anno, ovviamente in fondo alla lunga lista dei pettegolezzi sui Social, sono riuscite a trovare un piccolo spazio alcune testimonianze degli orchestrali coinvolti, sottopagati in modo a dir poco indecoroso eppure sempre disponibili, perché conniventi con un sistema per il quale siamo tristemente famosi in Europa e  nel mondo in generale.

Le testimonianze del 2020

L’ennesima, drammatica denuncia della dimensione orchestrale relativa ai musicisti classici del Festival è stata riportata di recente dall’articolo di Stefania Zolotti sulla testata online “Senzafiltro”. La giornalista è riuscita (non senza molti ostacoli, data anche l’omertà spaventosa di cui è vittima la maggior parte degli artisti in situazioni incresciose), ad intervistare alcuni di loro nei rarissimi momenti di pausa tra una prova e l’altra.
Il quadro emerso, allarmante soprattutto per chi combatte ogni giorno al fine di veder riconosciuta come le altre la propria identità di musicista professionista, è scandaloso al punto tale che quest’anno solo un quarto dei membri dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo (l’unica stabile) ha accettato di suonare anche al Festival.
La testimonianza più significativa in merito, l’unica completa di nome e cognome, è del primo violino dell’Orchestra dell’Ariston Franco Invidia, che ricopre questo ruolo dal 1997 nella relativa formazione sinfonica e che pertanto non ha avuto problemi nel denunciare le condizioni in cui lavora.
Grazie a lui abbiamo saputo che la preparazione del Festival inizia circa un mese prima e prevede sessioni di prove che durano dalle 8 alle 10 ore al giorno per 10-12 giorni. Ogni due ore c’è un quarto d’ora di pausa, mentre è prevista un’ora e mezza per la pausa pranzo. L’orchestra si riunisce a Roma dal 3 gennaio e lavora con i cantanti facendo le prime letture dei brani, dopo dieci giorni si trasferisce a San Remo e durante le puntate in diretta lavora dalle 10 alle 21.

Lo sfruttamento di una certa categoria

Il trattamento riservato a tutti i musicisti coinvolti, poi, prevede “figli e figliastri”: i titolari stabili dell’Orchestra Sinfonica percepiscono il loro stipendio oltre al cachet (per altro non pervenuto) per il Festival, mentre i liberi professionisti della seconda orchestra, quella “ritmica” (formata di solito dalle chitarre elettriche, le tastiere, i bassi e le percussioni), possono chiedere compensi esorbitanti per le loro prestazioni (dai 350 ai 500 € al giorno), essendo nel “libro paga” della Rai.
L’orchestra classica del Festival, invece, è pagata dalla Fondazione (altra differenza abissale sotto il profilo economico).
Last but not least, il discorso relativo alla totale incompetenza (per altro del tutto evidente a chi un minimo frequenta la musica), della maggior parte dei direttori di orchestra, arrangiatori prestati a coprire quel ruolo e che, come ha affermato un orchestrale nell’articolo della Zolotti, si perdono non essendo neppure in grado di fare una battuta in quattro. Proprio per questa ragione sia i musicisti che i cantanti hanno un clic nelle cuffie, un metronomo che dà il tempo battendo nelle orecchie. I direttori, quindi, sono esclusivamente scenografici.

Rimane da chiedersi, dopo una serie così desolante di aspetti umilianti, perché i musicisti frutto di un percorso professionistico di dieci anni di Conservatorio circa si prestino ancora a simili pagliacciate, la cui anima è costituita dall’apparenza e dalla finzione scintillante di sorrisi raggianti e abiti di lustrini. Risposte come “È un evento importante” o “È un titolo artistico che mi interessa” suonano come degli alibi insufficienti a giustificare il sostegno all’ennesimo sistema italiano in cui i privilegiati risultano essere una realtà considerata e più o meno accettata da tutti.
Forse i musicisti ancora non sanno che dovrebbe essere l’orchestra a farsi tutelare attraverso una lecita rivendicazione di diritti umani oltre che artistici, manifestando una consapevolezza di sé che in passato così come oggi è sempre stata carente nel mondo della musica, paradossalmente e in modo ancor più grave proprio di quella classica.

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