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Diritti umani

‘Non solo carcere’ un testo che rivoluziona il mondo del detenuto

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L’ultimo libro dell’architetto Domenico Alessandro De Rossi, scritto con esperti del settore penitenziario, punta a smuovere ed affiancare il mondo politico sulla penosa situazione carceri in Italia. ‘La pietra condiziona la mente’ dice De Rossi con evidente richiamo alla rieducazione del detenuto ( art.27 della Costituzione)

di Tiziana Primozich

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‘Non solo carcere’ ( edizioni Mursia) è il testo presentato mercoledì 16 novembre presso la sala Zuccari di Palazzo Giustiniani in un convegno dal titolo ‘ Ruolo dell’architettura penitenziaria nell’attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena’, grazie all’impegno del senatore Enrico Buemi, che ha visto tra i relatori a confronto Felice Casson, Luigi Manconi, Nico D’Ascola e Francesco Nitto Palma,  moderatore Errico Novi, giornalista de “Il Dubbio” . Il libro, pubblicato  dopo “L’universo della detenzione” del 2011, è scritto e curato da Domenico Alessandro De Rossi che si è avvalso della collaborazione di esperti del settore penitenziario,  ed affronta il problema degli istituti di detenzione con una visione d’insieme.

‘La pietra condiziona la mente’ ha esordito De Rossi che, come nel primo libro, mette al centro  la progettazione architettonica, la “pietra” come elemento determinante della qualità della pena. Il libro infatti più che un atto di denuncia vuole essere il punto da cui partire per ripensare il nostro sistema carcerario restituendo dignità in tema di rieducazione del detenuto, come stigmatizzato dall’articolo 27 della Costituzione. Ed in effetti quasi nulla è stato fatto all’indomani della sentenza Torregiani della Cedu del 2013 che condanna il sistema penitenziario italiano e le condizioni disumane in cui sono costretti i nostri detenuti. ‘Il disegno di legge 2067 che riforma il sistema carcerario è ancora in itinere’, spiega il senatore Felice Casson vicepresidente della commissione Giustizia intervenuto all’incontro, ‘ ed è più che mai urgente completarlo perché siamo carenti in rieducazione su tutti i fronti, a partire dal diritto all’affettività’ .

Un sistema che fa acqua da tutte le parti quello penale e che necessita con urgenza di riforme tanto da essere definito‘elefantiaco’ dal senatore Nico D’Ascola, presidente commissione Giustizia, che ha evidenziato che serve una riforma non solo di settore ma di sistema. “Serve una intera legislatura per mettere mano al diritto penale e al suo sistema punitivo tradizionale. – ha spiegato ai presenti D’Ascola  dopo una interessante relazione sul funzionamento del nostro diritto penale, “Una logica basata sulle sanzioni amministrative punitive potrebbe essere una strada per la semplificazione più rapida e anche efficace. Insomma una riforma da ripensare nel suo complesso. Il diritto penale deve fortemente dimagrire e trovare un’alternativa al carcere con metodi sanzionatori che siano punitivi ma non per forza detentivi”.  “Una pena esorbitante – ha continuato D’Ascola – non è rieducativa. Le pene previste dal nostro ordinamento sono mediamente superiori di un terzo rispetto alla media europea. Poi vi è la annosa questione della custodia cautelare. Chi si trova in questa condizione infatti subisce il carcere e le sue condizioni senza che su di sé gravi una sentenza”, concludendo che la custodia cautelare deve essere una estrema ratio e non una prassi abituale. Anche perché quando non strettamente necessaria per i motivi del pericolo di fuga,  della reiterazione del reato o dell’occultamento di prove, sottopone l’individuo alle stesse condizioni del detenuto condannato, spazi angusti da dividere con molti altri, dove non esiste la privacy neanche nell’espletamento dei singoli bisogni corporali.

Un problema poco sentito anche dal mondo politico perché ‘il carcere è il luogo meno remunerativo in termini di voti e di consenso elettorale’, come affermato dal senatore Luigi Manconi presidente della commissione sui Diritti Umani e quest’anno premio Paolo Ungari da parte della Lidu presente in platea con Antonio Stango pres. appena eletto ed Alfredo Arpaia pres. Onorario. ‘ Spazi angusti’ ha spiegato Manconi ‘ producono pensieri stretti. Ed i nostri detenuti nel 50% dei casi sono costretti per lo più a passare le loro giornate sulle brande, in assenza totale di spazi vitali. In questa dimensione di promiscuità coatta la possibilità di conservare la dignità viene costantemente messa alla prova”. Aggiungendo che il problema è talmente scabroso per la normale vita sociale da aver spinto l’architettura penitenziaria a costruire carceri fuori dalle città, in luoghi isolati dove, lontano dalla vista dei normali cittadini, si potesse realizzare un isolamento completo dei detenuti ‘nella direzione di sottrazione dalle relazioni sociali, dalla comunicazione tra il dentro e il fuori’.

Ma ‘Il carcere è il luogo dove, in linea con la pena da scontare per aver commesso un reato, si subisce il sequestro del tempo – ha spiegato il senatore Enrico Buemi ricordando che la stessa realtà del detenuto è vissuta per la maggior parte della giornata anche da chi deve vigilare su esso. In un ambiente talmente degradato che numerosi sono stati in quest’ultimo anno anche i suicidi delle guardie penitenziarie. La finalità della detenzione ultima, oltre la pena, è la rieducazione e dunque si interroga Buemi “Questa finalità è rispettata o no? Io penso assolutamente di no” evidenziando che in queste condizioni dove in primis le strutture carcerarie non sono adeguate ai primari bisogni di un individuo, il tempo sequestrato per infliggere una punizione non si traduce quasi mai  in  una educazione positiva che è l’unica strada per permettere al reo, una volta scontata la sua pena, di reinserirsi in un tessuto sociale sano. “Ogni detenuto costa 180 Euro al giorno – specifica Buemi -Complessivamente sono due miliardi all’anno. E senza nessuna funzione educativa da parte dello Stato”.

Perché sequestro del tempo non vuol dire annientamento della dignità, al contrario, spiega al termine dei lavori De Rossi, in maniera allegorica il punto centrale è proprio il lavoro sulla pietra, intesa come struttura carceraria da adeguare ai principi educativi ma anche come evoluzione culturale del detenuto attraverso la vivibilità degli spazi in cui è recluso e dove deve svolgere delle attività che lo aiutino ad evolversi, magari con l’introduzione di premialità nel corso della detenzione. Perché il rispetto dei diritti umani non è un mero esercizio di buonismo, ma l’unica strada possibile per realizzare una vita sociale rispettosa dei propri bisogni e di quelli altrui. Un detenuto che torna in libertà al termine della pena senza un benefico e costante sforzo per elevarsi culturalmente ed imparare il rispetto delle regole, è un problema per sé stesso e per gli altri.

 

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