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Diritti umani

Minori stranieri non accompagnati: l’atlante di “Save the children”

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Tra il 2011 e 2016 è drammaticamente cresciuto il numero di minori stranieri non accompagnati arrivati nel nostro Paese. In particolare è triplicato il numero di under 14 e quadruplicato quello delle ragazze .

Sono questi i dati principali contenuti nel primo “Atlante dei Minori Stranieri non Accompagnati in Italia”, Save the Children che raccoglie anche le storie e le mappe dei percorsi di minori migranti, della loro nuova vita in Italia attraverso un periodo di 6 anni a partire dalle “Primavere arabe” del 2011.
La maggior parte dei minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro Paese lo ha raggiunto attraversando il Mediterraneo centrale. Tra gennaio 2011 e dicembre 2016 sono sbarcati in Italia 62.672 minori senza adulti di riferimento, provenienti principalmente da Eritrea, Egitto, Gambia, Somalia, Nigeria e Siria. Il loro numero è cresciuto di 6 volte tra il 2011 (4.209) e il 2016 (25.846)[1], e, mentre la loro percentuale sul totale degli arrivi era il 6% nel 2011, l’anno scorso ben 1 migrante su 6 sbarcato sulle nostre coste era un minore solo. La loro presenza è dunque un fenomeno strutturale, al quale – secondo Save the children – si è data una risposta inadeguata, anche in considerazione di una crescente vulnerabilità legata all’età precoce e al genere.
“Anche se l’81% dei minori non accompagnati presenti a fine 2016 nelle strutture di accoglienza – si legge nell’Atlante – aveva tra i 16 e i 18 anni, si è assistito infatti ad un aumento progressivo della presenza di pre-adolescenti e bambini nella fascia 0-14 anni, passati da 698 nel 2012 a 2.050 nel 2016”. Rispetto al genere, il numero complessivo delle minori sole accolte nel Paese si è quadruplicato tra il 2012 e il 2016, passando da 440 a 1.832 (il 7,6% del totale dei minori registrati a fine 2016), con una presenza crescente di minorenni nigeriane (717), a forte rischio di tratta per la prostituzione, ed eritree (440) [2], che raccontano di essere state in molti casi ripetutamente vittime di violenza sessuale.
Una specifica vulnerabilità riguarda i minori per i quali l’Italia è un paese di transito, i cosiddetti minori “invisibili”, che avendo come meta altri paesi europei dove vivono già familiari o connazionali con cui sono in contatto, si rendono irreperibili al sistema di accoglienza formale e si riaffidano ai trafficanti correndo gravissimi rischi. Una situazione che tra il 2011 e il 2016 ha riguardato, secondo molti dei riscontri sul campo, la quasi totalità dei 22.586 minori soli di origine eritrea (11.251), somala (5.618), siriana (2.927) e afghana (2.790) arrivati in frontiera sud in Italia, e che si è aggravata nel 2016 con la maggiore chiusura rispetto all’accoglienza dei paesi confinanti alla frontiera nord, come confermano i 5.000 minori soli “riammessi” in Italia dalla Svizzera solo tra maggio e novembre. Nel caso degli 8.281 minori egiziani arrivati tra 2011 e 2016[3], con un’età sempre più precoce, tra i 14 e i 16 anni, ma anche 12 o 13, il rischio a cui sono maggiormente esposti nelle grandi città come Roma e Milano, è quello dello sfruttamento nel lavoro in nero, in attività illegali o nella prostituzione, a causa della necessità di restituire rapidamente ai trafficanti il debito di viaggio che grava sulle famiglie e di poterle aiutare economicamente.
Egitto, Eritrea, Gambia, Nigeria, Somalia e Siria sono stati i paesi di origine più rappresentati tra i minori non accompagnati giunti in Italia via mare nel corso degli ultimi 6 anni. Considerando il totale di quelli arrivati nel periodo 2011-2016, il gruppo più numeroso è infatti quello di origine eritrea (17,8%), seguito da egiziani (13,2%), gambiani (10%), somali (9,1%), nigeriani (7,9%) e siriani (5,2%), mentre altri paesi dell’Africa occidentale, come Guinea (4,7%), Mali (4,3%), Costa d’Avorio (3,6%), Senegal (3,3%) e Ghana (1,8%), e del Medio Oriente come Afghanistan (2,8%) e Palestina (1,7%), o dell’Asia (Bangladesh, 2,8%), mostrano percentuali più contenute.
Quasi tutte le rotte per raggiungere l’Italia costringono i minori soli ad attraversare lo stesso “inferno”, come raccontano loro stessi, la Libia. Un territorio in buona parte fuori controllo, dove secondo le previsioni la crisi umanitaria causata dal conflitto coinvolgerà nel 2017 1,3 milioni di persone, e la presenza dei migranti supera secondo le stime il numero 256.000. Con la sola speranza di sopravvivere ogni giorno per potersi imbarcare verso l’Europa, i minori soli, come le donne e bambini, subiscono per settimane o mesi percosse, stupri o torture da parte dei trafficanti, o vengono arbitrariamente arrestati e imprigionati nei centri di detenzione, in promiscuità e condizioni disumane senza accesso a cure mediche, acqua potabile, servizi igienici o cibo sufficiente. Dei 34 centri di detenzione conosciuti, solo in 15 vengono condotte attività da parte dell’UNHCR.
Dopo essere sbarcati sulle nostre coste, i minori stranieri non accompagnati sono costretti ad affrontare un percorso non privo di ostacoli attraverso un sistema di accoglienza disomogeneo, e che, nonostante alcuni sforzi fatti negli ultimi anni per migliorare la capacità e gli standard di accoglienza, presenta ancora diversi problemi. La maggior parte dei minori soli fa il suo ingresso in Italia nelle regioni del sud, come nel 2016, quando in Sicilia ne sono sbarcati 17.177, 4.752 in Calabria, 1.841 in Puglia, 1.800 in Sardegna e 276 in Campania. Chi sbarca a Lampedusa, Pozzallo, Taranto e Trapani, viene trasferito in strutture che adottano l’approccio Hotspot. Queste strutture, dalla differente natura giuridica non dovrebbero ospitare i minori soli, e in ogni caso solo per il tempo strettamente necessario all’identificazione, mentre i tempi di permanenza in condizioni non adeguate per loro possono variare da pochi giorni, come nel caso di Taranto, a 2 settimane, come avviene a Trapani o Pozzallo, ma può durare anche mesi, come nel caso di Lampedusa o della stessa Pozzallo, se non si riescono a reperire i posti nelle comunità per minori. Hotspot a parte, il sistema di prima accoglienza dedicato ai minori soli è basato dal 2016 su 21 progetti specializzati ministeriali, che dovrebbero garantire strutture con standard adeguati per un totale di 1000 posti circa distribuiti in 11 regioni: Basilicata (100), Calabria (150), Campania (150), Emilia-Romagna (100), Liguria (50), Piemonte (50), Puglia (100), Sardegna (50), Sicilia (250) e Toscana (50) e Marche. La limitata capacità ricettiva di questi nuovi centri rispetto al flusso di arrivi, fa sì però che a questi si continuino ad affiancare tante strutture temporanee o straordinarie che spesso non offrono condizioni adeguate di accoglienza e protezione con gravi conseguenze per i minori stessi.
Le lacune del sistema di accoglienza – secondo Save the children – sono in parte una concausa dell’altissimo numero dei minori non accompagnati che si rendono irreperibili sul territorio italiano, come segnalano, probabilmente per difetto, i dati delle strutture di accoglienza a fine 2016, con un totale 6.561 “scomparsi”, in prevalenza di origine eritrea (1.381 minori di cui 440 femmine), somala (1.251, di cui 183 femmine) o egiziana (1.468).  La permanenza nel sistema di prima accoglienza è infatti volontariamente brevissima, anche poche ore o giorni, per la quasi totalità dei minori soli eritrei e somali, ma anche afghani e siriani. Per loro, infatti, la meta finale sono altri paesi nel nord Europa, per ricongiungersi con familiari già residenti o comunque nella convinzione di trovare migliori possibilità di integrazione. Difficoltà e lentezza delle procedure per la riunificazione familiare e una colpevole assenza della possibilità di accedere al programma di ricollocamento previsto dall’Unione Europea, privano questi minori anche giovanissimi, di una via legale e sicura per raggiungere la meta e si vedono così costretti riconsegnarsi nelle mani dei trafficanti esposti al rischio di violenze e sfruttamento. Sono i minori cosiddetti “invisibili” per il sistema, ma che, contando solo sulle proprie forze, si ammassano prima a Roma e Milano, città di transito, e poi ai valichi di frontiera nel nord del nostro Paese, a Como o Ventimiglia, dove in qualche caso rischiano la vita per tentare di passare e sempre più spesso vengono respinti in Italia dai paesi confinanti.
A differenza dei minori stranieri non accompagnati che vogliono raggiungere altri paesi europei, la maggioranza di quelli che arrivano in Italia vogliono rimanere nel nostro Paese per andare a scuola e cercare un lavoro, come confermano anche dai dati sui richiedenti asilo. Nel 2016 l’Italia risulta infatti anche al secondo posto in Europa, dopo la Germania, per le richieste di asilo dei minori stranieri non accompagnati, con 6.020 richieste (+50% rispetto al 2015), soprattutto da parte di minori originari dei  i paesi dell’Africa occidentale (66% del totale delle richieste), a differenza di quello che accade negli altri paesi europei dove a richiedere la protezione internazionale sono soprattutto eritrei, somali, siriani e afghani, prima transitati in Italia o in Grecia. La capacità complessiva del sistema di seconda accoglienza, che dovrebbe garantire un servizio di tipo educativo orientato all’integrazione, si è rivelata spesso carente sottolinea Save the children – – rispetto al numero di chi vuole rimanere, anche se le strutture SPRAR per i minori soli richiedenti asilo, aperte anche ai non richiedenti, sono state potenziate fino a raggiungere 2.000 posti circa, distribuiti in quasi tutte le regioni italiane ad esclusione di Abruzzo e Valle d’Aosta, con in testa la Sicilia (554 posti), e a seguire Emilia Romagna (289), Puglia (232), Calabria (200), Lombardia (115) e le altre regioni. Più in generale, a parte i pochi che beneficiano dell’affido familiare soprattutto grazie ad alcune esperienze positive a Venezia e in Toscana, la distribuzione dei 17.373 minori stranieri non accompagnati nelle strutture al 31/12/2016 si concentra perlopiù in Sicilia (7.097), Calabria (1.418), Emilia Romagna (1.081) e Lombardia (1.065), con Lazio (919), Puglia (879), Campania (876), Sardegna (752), Toscana (656), Friuli Venezia Giulia (637), Piemonte  (539) e Veneto (304), e le altre regioni, nessuna esclusa, a seguire.
Lungo la via per l’integrazione, la prima sfida è costituita dal non sempre facile accesso a corsi di Un’altra sfida importante, riguarda più dell’80% dei minori soli presenti in Italia, che hanno tra i 16 e i 17 anni, e non possono completare il percorso di integrazione sociale e civile di 3 anni previsto per legge entro il compimento del 18° anno e necessario per la conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso per motivi di studio o accesso al lavoro o di lavoro subordinato o autonomo. Dall’analisi dei pareri ministeriali emessi dalla Direzione Generale per l’Immigrazione sulla conversione del permesso di soggiorno raggiunta la maggiore età, emerge un’utile indicazione sul tipo di percorso svolto. L’analisi dei 9.369 pareri positivi emessi tra il 2013 e il 2016 fa rilevare che la maggior parte riguarda minori presenti nel Lazio (2.816), Emilia Romagna (1.172) e Lombardia (1.274), che sono nell’80% dei casi egiziani, albanesi o bengalesi. L’85% dei minori con parere positivo ha realizzato in brevissimo tempo, a volte anche in pochi mesi, un percorso scolastico o formativo, mentre per gli altri 1.142 si è trattato di un percorso di inserimento socio-lavorativo in prevalenza come operai (408), meccanici (286) o elettricisti (217), ma anche come pizzaioli, cuochi, panificatori o camerieri (697) o in altri tipi di lavoro.
A partire dal 2011, il flusso crescente di migranti in arrivo via mare in Italia è stato affrontato con un approccio prettamente “emergenziale”, in particolare per quanto riguarda l’accoglienza e la protezione dei minori non accompagnati, con una serie di aggiustamenti in corso d’opera per aumentare la capacità e migliorare la qualità di alcune strutture, ma sempre in assenza di un sistema integrato e strutturato organico. Per questo, Save the Children ha promosso nell’ottobre 2013 la prima proposta di legge per l’accoglienza e la protezione dei minori stranieri non accompagnati, sostenuta fin dall’inizio da molte organizzazioni e associazioni umanitarie e da uno schieramento politico trasversale. Dopo 4 anni di mobilitazione, modifiche ed integrazioni al testo che hanno visto anche l’importante contributo dei Sindaci e dell’Anci, e durante i quali ci sono stati alcuni provvedimenti importanti, anche se parziali, per l’adeguamento del sistema di accoglienza in linea con la proposta elaborata, il disegno di legge è stato finalmente approvato in via definitiva in Parlamento lo scorso 29 marzo. La nuova legge, prima in Europa nel suo genere, supera l’approccio emergenziale fin qui seguito, e prevede un sistema nazionale strutturato ed efficace, dalle procedure per l’identificazione e l’accertamento dell’età alla necessità di rispettare gli standard minimi per tutte le strutture di accoglienza, dalla promozione dell’affido familiare alla figura del tutore volontario, dalle cure sanitarie all’accesso all’istruzione, e semplifica le procedure di conversione del permesso di soggiorno al compimento del18° anno di età per maggior tutela del percorso di integrazione.
Se l’Italia con il varo della nuova legge si è impegnata a compiere un passo avanti importante per i diritti dei minori, lo stesso non può dirsi per molti altri paesi europei. E’ assolutamente necessario conclude Save the children – che l’Unione Europea renda effettivi e acceleri i piani di ricollocamento da Italia e Grecia dei minori stranieri non accompagnati e rafforzi anche gli altri strumenti come i visti umanitari, i ricongiungimenti familiari, i visti per motivi di studio o lavoro. E’ necessario attuare un piano d’azione specifico per i minori non accompagnati che giungono sul territorio dell’Unione Europea, anche alla luce della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 12 aprile scorso.
Fonte: Regioni.it
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