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Attualità

La Cina non è un altro pianeta, parte IV — China is not another planet, part IV

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Tempo di lettura: 7 minuti
di emigrazione e di matrimoni

La Cina non è un altro pianeta, parte IV

di Marco Andreozzi

Sempre a seguito della crisi globale dei mutui erogati ai clienti “ad alto rischio”, ingenerata negli USA e pietra miliare sull’economia d’inizio millennio, l’incipiente sofferenza economica della repubblica popolare cinese resta secretata perché ignorata dai media (tutti controllati dal partito comunista), ma si rivela agli occhi di chi sa guardare (e si trova in loco) anche grazie al tangibile ulteriore giro di vite sul controllo delle informazioni internazionali. Infatti, nel 2009 Facebook e YouTube vengono bannati, seguiti l’anno dopo da Google. Al solito, l’obiettivo è come minimo duplice: migliorare sempre la propaganda di regime e il controllo dei cittadini, ed avviare un nuovo bell’affare economico. Sicché nel 2011 nasce WeChat, la super applicazione cinese che include al suo interno un po’ di tutto quello che è stato sviluppato in USA e resto dell’Occidente, inclusa la possibilità di colloquiare in tempo reale come copia-incolla di WhatsApp (lanciata in California proprio nel 2009).

I tre Paesi europei che, nonostante tutto, hanno continuato a credere nella Cina con attitudine oltremodo mercantilistica su esportazioni ed investimenti sono Germania, Olanda e Francia. Se nel 2022 il più grande importatore di beni cinesi è stata proprio l’Olanda (valore raddoppiato in una decade), il più grande esportatore è stata la Germania (+ 20% in dieci anni), entrambi con un dato simile intorno a cento miliardi di euro. Da fonti OCSE, Bloomberg, e The Economist per il 2020 – l’anno-covid – l’esposizione tedesca verso la Cina (esportazioni più ricavi delle sussidiarie) vale ben il 10% del PIL, quasi il 7% originato dal fatturato delle filiali. L’esposizione olandese vale circa il 5,5% del PIL, con lieve prevalenza dagli investimenti; per la Francia è il 5%, l’1% da esportazioni (manufatti e servizi), più degli USA (e della Gran Bretagna) poco sopra il 4% con un’esplosione del dato simile a quella francese.

Da questo angolo, si comprende chiaramente il perché di alcuni movimenti, dichiarazioni ed azioni anche recenti di quei tre governi, che hanno dimostrato proprio negli ultimi anni di interpretare l’appartenenza all’Unione Europea con una modalità contraddittoria e poco congruente con lo spirito di Altiero Spinelli e degli altri “padri fondatori”. In particolare, hanno colpito le ultime inopinate dichiarazioni del presidente francese, in visita in Cina esclusivamente (ed ingenuamente, anche) pro domo propria e del proprio bassissimo saggio di gradimento in patria, che si aggira intorno ad appena il 30%. E proprio in un momento storico in cui l’Europa deve costruire più unità, vista la debolezza di Putin ormai palese da qualche giorno. Mai scordare che tra la mole di conoscenza che i regimi russo e cinese hanno appreso dai tremila anni di storia d’Italia va senz’altro inserito anche il mantra latino “divide et impera”.

L’esposizione italiana verso la Cina al 2020 vale invece il 2% del PIL. Poco più di un terzo di questo valore è dato dalle esportazioni, che valgono circa cinquanta miliardi di euro al 2022, con un grande balzo in avanti di quasi il 50% proprio dal 2020. L’esposizione risulta in aumento, quindi, ma sempre a livelli accettabili e la conclusione che se ne può trarre è una situazione di forza ulteriore in cui l’Italia si trova rispetto ai principali competitori economici europei in relazione ad una nazione tanto enorme quanto impantanata nella spirale di decrescita in cui era precipitata già prima della pandemia. In questo contesto, bene ha fatto il governo italiano ad esercitare il proprio “potere aureo” nei giorni scorsi: prima sulle innovazioni propietarie italiane di Pirelli (la cui maggiornaza è cinese, insieme ad un fondo russo); poi bloccando un ennesimo tentativo di acquisizione cinese rispetto a un’eccellenza nel settore dell’alluminio, la Slim Aluminium che la proprietà tedesca intendeva vendere alla Cina (e i tedeschi sono recidivi in queste modalità); in ultimo annunciando il possibile intervento rispetto agli assetti italiani (6000 dipendenti) di Electrolux, che profilava un’altra possibile acquisizione cinese (notare che è inutile citare i nomi delle aziende cinesi giacché sono tutte de iure o de facto in mano allo stato). Sta di fatto che le città d’arte italiane sono stracolme di turisti in questi giorni, tanto che è difficile camminare. Ma chi sa guardare (e si trova in loco) vede bene che sostanzialmente mancano i cinesi. Segue

La Cina non è un altro pianeta – Marco Andreozzi – Libro – Mondadori Store

di emigrazione e di matrimoni

China is not another planet, part IV

by Marco Andreozzi

Again following the global crisis of mortgages granted to “high risk” customers, generated in the USA and a milestone in the economy trends of the beginning of the millennium, the incipient economic suffering of the People’s Republic of China remains secret because it is ignored by the media (all controlled by the communist party), but it reveals itself in the eyes of those who know how to look (and are on the spot) also thanks to the tangible further tightening of the control of international information. Indeed, in 2009 Facebook and YouTube were banned, then Google the following year. As usual, the objective is at least twofold: to continuously improve the propaganda of the regime and citizens control, and start up a new profitable mass-business. In fact, in 2011 WeChat started up, the Chinese super application that includes within it a bit of everything that has been developed in the USA and the rest of the West, including the possibility of communicating in real time chats as a copy-paste of WhatsApp (launched in California just in 2009).

The three European countries that, despite everything, have continued to believe in China with an extremely mercantilist attitude on exporting and investing are Germany, Holland and France. If in 2022 the largest importer of Chinese goods was precisely Holland (value doubled in a decade), the largest exporter was Germany (+ 20% in ten years), both with a similar figure of around one hundred billion euros. From OECD, Bloomberg, and The Economist sources for 2020 – the covid year – German exposure to China (i.e. exports plus revenues from subsidiaries) is worth a good 10% of GDP, almost 7% originating from the turnover of branches. The Dutch exposure is worth about 5.5% of GDP, with a slight prevalence from investments; as for France it is 5%, 1% from exports (manufactured goods and service exports), more than the USA (and Great Britain) just above 4% with a breakdown of the figure similar to that of France.

From this angle, one can clearly understand the reason for some movements, declarations and even recent actions by those three governments, which have demonstrated precisely in recent years that they interpret membership of the European Union in a contradictory way that is not very congruent with the spirit of Altiero Spinelli and the other “founding fathers”. In particular, the latest unexpected statements by the French president have struck, on his visit to China exclusively (and naively, also) pro domo propria and his very low approval rating at home, which is around just 30%. And just at a historic moment in which Europe must build more unity, given Putin’s weakness which has been evident for a few days now. Never forget that among the mass of knowledge that the Russian and Chinese regimes have learned from three thousand years of history of Italy, the Latin mantra “divide et impera” (divide and conquer) must certainly be included.

Italian exposure to China in 2020 is worth 2% of GDP instead. Just over a third of this value is given by exports, which are worth around fifty billion euros in 2022, with a great leap forward of almost 50% from 2020. The exposure is therefore increasing, but always at acceptable levels and the conclusion that can be drawn from it is a situation of further strength in which Italy finds itself compared to its main European economic competitors in relation to a nation as enormous as it is bogged down in the downward spiral into which it had already plunged before the pandemic. In this context, the Italian government has done well in exercising its “golden power” in recent days: first on the Italian proprietary know-how (tyres) of Pirelli (whose shareholding majority is Chinese, together with a Russian fund); then by blocking yet another Chinese takeover attempt with respect to an excellence in the aluminum sector, Slim Aluminum that the German ownership intended to sell to China (and the Germans are repeat offenders in these ways); finally announcing the possible intervention with respect to the Italian assets (6000 employees) of Electrolux (home appliances), which outlined another possible Chinese acquisition (nota bene: it is useless to mention the names of the Chinese companies since they are all de jure or de facto in the hands of the state). The fact is that the Italian cities of art are packed with tourists these days, so much so that it is difficult to walk. But those who know how to look (and are on the spot) can clearly see that the Chinese are essentially missing. To be continued

La Cina non è un altro pianeta – Marco Andreozzi – Libro – Mondadori Store

Marco Andreozzi, è Dottore in Ingegneria Meccanica, Economia/Amministrazione (Politecnico di Torino), tecnologo industriale e specialista del settore energetico, proviene da esperienze professionali in cinque multinazionali in Italia e paesi extra-europei, e come direttore generale; nomade digitale dal 2004, e sinologo, parla correttamente il mandarino.
Marco Andreozzi, is Doctor of mechanical engineering (polytechnic of Turin – Italy), industrial technologist and energy sector specialist, comes from professional experiences in five global corporates in Italy and extra-European countries, and as business leader; digital nomad since 2004, and China-hand, he is fluent in Mandarin.

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