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Daniele Frontoni e Pesce rosso, il corto sulle seconde possibilità per se stessi

Il pizzaiolo e regista Daniele Frontoni ci racconta di sé e del suo nuovo lavoro “Pesce rosso”. Un corto sulla sfida verso se stessi, oltreché invito a non demoralizzarsi, a lottare e a condividere il dolore.
Il vapore di un forno storico inebria le vie capitoline, mentre proprio accanto in uno studio fotografico la luce carezza Sophia Loren e Ursula Andress. Siamo a Roma e quella che si sta compiendo sotto gli occhi di un piccolo Daniele Frontoni è la duplice visione di quello che sarà il suo destino: gastronomia e regia. Nato a Roma nel 1981, Daniele appartiene alla quarta generazione dei mastri che hanno dato i natali alla pizza romana e nel suo sangue scorre anche l’arte, in quanto nipote del fotografo delle dive Angelo Frontoni e dell’attore degli anni ‘70 Enzo Cerusico.
Acuto osservatore e animo creativo, oggi Daniele dirige una pizzeria tutta sua, con preparazioni a tema (Netflix, Sanremo e Olimpiadi), dove con farina e ingredienti svela identità ed estro. Mentre, con il cinema racconta la disabilità da un punto di vista “romantico” e ciò che scaturisce dalla sua visione della vita, che invece di collassare alle difficoltà vira sempre verso le seconde possibilità.
Così è pure in Pesce rosso, ultimo corto distribuito da Premiere e prodotto da Pmr Studio, di cui sono appena terminate le riprese. Un’opera basata sulla storia di Carlotta, una ragazza che dopo un incidente vive in sedia a rotelle e, invece di abbandonarsi al torpore e chiudersi al mondo nella sua cameretta, reagisce e scopre che un’altra vita è possibile. E così come Carlotta, una seconda possibilità attende anche il suo allenatore Giovanni, tormentato dalla perdita del fratello.
Una vicenda con focus su sentimenti, afflizioni e forza dell’animo umano con uno sguardo al nuoto paralimpico. Risultato di un lavoro corale di reparti cinematografici e, come dice Daniele di “ragazzi degli anni ‘80”, irradiato da una luce vintage, merito del direttore della fotografia Giacomo Greco. A questa, si aggiungono anche un piano sequenza di 3 minuti e inquadrature più lunghe delle tradizionali per «dare più tempo allo spettatore di riflettere su ciò che vede».
Un’opera su problematiche sociali e umane, dunque, che invece del giudizio semplicistico bello o brutto punta all’immedesimazione e alla riflessione oltre lo schermo. Così da raggiungere l’obiettivo di un’arte che per Daniele deve avere un effetto terapeutico sia per chi guarda, sia per se stesso; un po’ come gli altri suoi corti crudi e senza orpelli: Oltre tutto, dedicato alla madre e sulla sclerosi multipla; Effetto pipistrello sui ragazzi non vedenti e il calcio e Maledetta primavera sul sogno quasi impossibile di fare calcio femminile negli anni ‘80.

Daniele Frontoni
Pizzaiolo e poi regista. Quando arriva la passione per la regia?
«Sono cresciuto con queste due entità familiari. Mia nonna mi diceva: “Sogna il cinema ma continua a fare le pizze, perché ti terranno con i piedi per terra nei momenti difficili”. Così ho fatto! La passione per la regia l’ho sempre avuta, perché per me il cinema era casa e lo respiravo con nonno e zio. Figurati che da piccolo pensavo che Ursula Andress fosse mia zia; poi l’ho metabolizzato crescendo.
Vedevo però che a me non piaceva tanto recitare, ma tiare le fila, raccontare qualcosa e dare un vestito ai personaggi. Ho iniziato facendo delle serie sul web e poi mi sono approcciato la mondo dei Festival, perché le cose che facevo erano apprezzate e così mi sono messo alla prova. Rimpiango solo di non aver fatto studi mirati nel cinema, mi ci sono trovato dentro da autodidatta. Se avessi studiato avrei affrontato le cose in maniera diversa; le problematiche, invece, le ho scoperte e affrontate sul set. In ogni set imparo e cerco di trasformare quello che ho imparato, in quello che voglio fare».
Secondo te esistono degli aspetti in comune tra i due ambiti?
«Come no! Sembra assurdo ma la mia visione da regista, che a molti fa ridere o non prendono sul serio, ho imparato ad averla dalla mia pizzeria. In sala ci sono il direttore appunto di sala, di cucina, i cassieri e devi gestire tanti reparti per l’obiettivo finale: il cliente deve andare via felice e aver mangiato bene.
La stessa cosa è il cinema: devi avere il giusto rapporto tra le parti. Il regista è chi ha una visione di qualcosa che poi deve trasmettere ai macchinisti, al direttore della fotografia, agli attori per far sì che poi questi interpreti tirino fuori quello che vede per primo.
Se non riesci a trasferire questa emozione a loro, figuriamoci a chi vede poi il film. Gestire quindi la pizzeria mi ha insegnato a gestire un set, dove ne succedono di tutti i colori. Il regista bravo non è quello che sa fare il compito, ma quello che trova la soluzione quando ci sono inconvenienti. Questo me l’ha insegnato il cinema».
Se il tuo percorso da regista avesse il sapore di una pizza, quale sarebbe?
«Sicuramente sarebbe una pizza complessa e con molti ingredienti in armonia fra loro; come un po’ il cinema fatto di tanti reparti. Gli ingredienti precisi dovrei studiarli; vedi che raccolgo la sfida! (ride)».

Foto dal set Daniele Frontoni
In che modo tuo zio Angelo Frontoni e tuo nonno Enzo Cerusico ti hanno influenzato nel tuo mestiere?
«Mio nonno è morto quando avevo 12 anni, però mi ha influenzato con la cosa più forte che possa esistere al mondo: il sangue. Nel senso che ho sempre sentito qualcosa dentro; poi ho rivisto tutti i suoi film.
Ecco perché il mio sogno sarebbe fare un film su mio nonno e dato che non posso dirigere lui, mi piacerebbe dirigere Elio Germano nei suoi panni. Zio, invece, l’ho vissuto di più con lo studio accanto alla pizzeria e ho capito quanto fosse importante la luce nel cinema».
“Affronti la disabilità dal punto di vista romantico” si legge di te. Ci spieghi meglio?
«Viviamo in un mondo dove il romanticismo non fa più parte di noi e, magari, si pensa che esso sia espresso con un fiore. In realtà, se prendiamo ad esempio la disabilità, che ho tutti i giorni davanti agli occhi con mamma, e la persona con disabilità questa non vuole fare pena o essere trattata in maniera differente.
Quindi, il romanticismo sta nella delicatezza di far vedere la disabilità sotto un’ottica differente e non suscitare la solita frase “poverina”, perché parliamo di persone che ridono, gioiscono e soffrono come noi. Ho amici con disabilità che per me sono amici, non amici disabili. Se guardi la stessa cosa da un altro punto di vista, ti accorgi dell’altra luce. E se non è romantico questo…».
Recentemente hai terminato le riprese di Pesce rosso. Come nasce l’idea?
«Quando ho fatto Effetto pipistrello e sono andato al campo della squadra di calcio, davanti c’era la Federazione Italiana Nuoto Paralimpico. Mi sono trovato lì e ho visto la forza di alcune ragazze e il modo in cui si approcciavano e ho avuto una visione. Così, mi è venuta la voglia di raccontare questa storia che, poi, ho presentato alla produzione.
La base è la storia romantica, che poi è stata sviluppata con gli sceneggiatori Valerio Molinaro e Thomas Wagner ed è cresciuta piano piano dal punto di vista della fotografia, della strumentazione e della location».

Set Pesce rosso – Giulia Antidormi
Perché questo nome?
«Nella storia l’allenatore ha un pesciolino a cui è legato e, anche se capisce che vivrebbe meglio libero, lo lascia in un’ampolla angusta. Il pesce rosso è una similitudine su di noi, che non riusciamo a uscire dalla boccia e a guardare fuori».
Fra gli attori ci saranno delle giovani promesse: Giorgia Antidormi, Valerio Riondino e i fratelli Gabriele e Flaviano Camponi. In base a quali criteri li hai scelti?
«Avevo in mente già le figure dell’allenatore e della nuotatrice. Poi, li conoscevo e sono stato aiutato dal fatto che in questo ambiente vediamo tanti attori. Per i fratelli adolescenti ho scelto due giovanissimi attori alle prime armi; volevo proprio loro, ragazzi di periferia e romani che rappresentassero la gioventù. Il lavoro con loro è stato di tirare fuori quello che avevano dentro ed essere loro stessi, e per farlo mi ha aiutato l’acting coach Marco Anacleti».
“La vita è come reagisci a ciò che ti capita, una lezione imparata dal cinema” dici. Qual è secondo te il modo migliore per reagire a ciò che capita?
«Sicuramente andare avanti. A ognuno succedono cose brutte, ma il fatto è andare oltre, perché la vita è un ciclo e credo che qualsiasi cosa capiti di brutto bisogna andare avanti. Come quando soffri per amore e non vuoi amare più; non è così, perché un giorno scopri che quell’amore si riaccende e lo ritrovi. Penso sia importante metabolizzare sull’esistenza di cose buone e cattive, e riscattarsi».

Set di Pesce rosso, Daniele Frontoni e Giorgia Antidormi – Foto Giacomo Greco
Nel corto i due personaggi si supportano a vicenda e donano il proprio dolore all’altro. A questo proposito, pensi che il dolore vada vissuto nella solitudine o condiviso per trovare sollievo?
«Sono convinto che, come la felicità se non è condivisa non è reale, il dolore se lo tieni dentro ti uccide. Quindi, va condiviso e tirato fuori. Spesso si ha paura di farsi vedere debole, ma se tieni il dolore dentro non ce la fai ad andare avanti».
É prevista l’uscita del corto nelle sale?
«Se hai la produzione il corto è un prodotto cinematografico di alto livello e se c’è la distribuzione (perché senza è come se faccio bene le pizze e non ho la pizzeria dove venderle) inizia un giro di Festival, nazionali e internazionali, e alla fine dell’anno in base al riscontro positivo del pubblico uscirà in piattaforma o nelle sale. Dunque, vedremo; però avere anche solo una persona che vede il corto e pensa di cambiare la propria vita, per me è già una vittoria».