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«Il digitale aiuterà le pmi ma l’Italia è ancora indietro»

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Al B20 La società napoletana nel gotha delle aziende al vertice De Felice (Protom): il progetto di Calenda dev’essere realizzato

  
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Piccole e medie imprese innovative al centro del B20 svoltosi a Berlino. Perché secondo gli esperti del business forum collegato al G20 aperto dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble le nuove imprese digitalizzate, anche se di minori dimensioni, sono considerate l’ asse portante della ripresa, visto che presentano tassi di crescita a doppia cifra percentuale e assumono più di quelle grandi in tutta l’ Ue, soprattutto nel Sud Italia. 
Tra i partecipanti oltre al fondatore del colosso cinese Alibaba Jack Ma e al presidente di Business for Europe (la Confindustria europea) Emma Marcegaglia Fabio De Felice, patron di Protom, azienda napoletana di servizi avanzati di ingegneria e consulenza, che dà lavoro a più di 200 tecnici (tra i clienti Hitachi Rail, Leonardo, Airbus, Fca, Deloitte). L’ imprenditore partenopeo, pro-rettore all’ Università di Cassino, è stato selezionato per aver creato una piattaforma di trasferimento tecnologico da settori come l’ automotive e l’ aerospazio al manifatturiero tradizionale. 
La sfida è dunque la digitalizzazione? 
«Sì, perché per le imprese significa un miglioramento dei flussi informativi interno ed esterno, con un’ automatica capacità di risposta a una domanda globale in costante evoluzione». 
L’ Italia è pronta? 
«Purtroppo no. Svezia, Finlandia e Regno Unito sono i Paesi maggiormente digitalizzati. L’ Italia, invece, è in coda nella classifica europea. Tuttavia nel 2015 siamo tornati a crescere. Possiamo sperare di recuperare nei prossimi anni, anche se il tempo di pensare al nostro futuro è ormai passato. Le regioni italiane più digitalizzate sono quelle del Nord e questo aumenta il divario col Sud. Il motivo? Un approccio culturale di atavico attaccamento a vecchi schemi di funzionamento sia nelle aziende che nella Pa e gli scarsi investimenti infrastrutturali». 
Il piano Industria 4.0 del ministro Calenda aiuterà a cambiare le cose? 
«Sì. È un insieme organico di azioni teso all’ efficientamento delle aziende, all’ incremento di produttività, flessibilità e competitività di prodotti e processi. E agisce anche sulle infrastrutture, favorendo un incremento degli investimenti in ricerca». 
Come deve cambiare, secondo lei, l’ industria manifatturiera italiana? 
«L’ Internet delle cose è una frontiera ancora troppo avveniristica per molte piccole e medie aziende nostrane. Solo la grande impresa può fare da traino e costringere’ le Pmi a guardare con occhio diverso queste innovazioni. Ma il ruolo dello Stato è cruciale». 
La manifattura resta cruciale per la ripresa? 
«Malgrado la mia esperienza imprenditoriale sia orientata ai cosiddetti beni intangibili, sono convinto che la manifattura sia imprescindibile». 
Eppure oggi i colossi mondiali non sono manifatturieri… 
«È vero. Google e Facebook sono più grandi di Fca, Gm o Toyota. Ma riterrei esiziale abbandonare la produzione industriale. Non immagino certo la vecchia fabbrica di Ford di tayloriana memoria, ma una produzione in cui convivano tradizione e innovazione tecnologica».
SERGIO GOVERNALE
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