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Trump, un’amara ‘Luna di miele’

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Sabato scadono i 100 giorni del Governo americano di Donald Trump, in gergo ‘La luna di miele di un nuovo Governo, il tempo utile ad una continuità politica negli Usa. Quanti gli obiettivi politici realizzati dal nuovo presidente in patria e su piano internazionale?

Di Gianni Pezzano

Questo sabato scadranno i primi cento giorni del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tradizionalmente questo periodo è considerato la “luna di miele” di qualsiasi neo eletto presidente americano durante il quale si consolida la sua base elettorale mentre cerca di mettere in opera le sue promesse elettorali. Nel caso dell’uomo d’affari diventato politico, la realtà non è stata proprio quel che lui aspettava prima di candidarsi per la poltrona più scomoda del mondo.

Già nel corso della campagna elettorale la sua totale mancanza di esperienza nei campi del governo, la diplomazia e le forze armate aveva suscitato i dubbi dei suoi critici, sia nel Partito Democratico che nel suo Partito Repubblicano. Aveva avuto una carriera imprenditoriale quasi unica, iniziandola con un prestito di (allora) $14milioni di dollari fino ad arrivare a un patrimonio che la rivista finanziaria Forbes giudica all’intorno i 6 miliardi di dollari americani. Una cifra che lui contesta, ma con il suo rifiuto di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi non siamo in grado di sapere la verità.

A porre ancora più dubbi sulle sue capacità imprenditoriali sono non soltanto le migliaia di processi per mancanza di pagamenti a contrattori e operai, ma soprattutto  le sei volte che ha  dichiarato bancarotta per poter usufruire delle agevolazioni finanziarie sotto la legge Americana.

L’unico punto indubbiamente positivo di questo periodo è stato il successo del suo programma televisivo reality “The Apprentice”, che è stato riproposto anche in Italia con Flavio Briatore come conduttore. Ma la versione italiana non ha avuto il successo e la longevità del suo predecessore americano.

Un punto a favore del neo eletto imprenditore doveva essere la maggioranza repubblicana del Congresso e il Senato che, almeno in teoria, potevano assisterlo a superare le inevitabili difficoltà d’inizio mandato. Malgrado qualche voce dissonante tra i compagni di partito, come quelle dei Senatori John McCain e Marco Rubio, sembrava che il partito fosse pronto a dare il massimo appoggio al suo nuovo leader.

Il nuovo residente della Casa Bianca ha iniziato il suo mandato firmando decreti per mettere in azione le promesse più controverse della sua campagna elettorale. Il primo è stato l’ordine per iniziare la procedure per abrogare la legge di salute pubblica conosciuta come “Obamacare”, la legge obamaniniana più contestata e odiata dai repubblicani. Questo decreto ha immediatamente scatenato un’ondata di proteste nazionali da gente che temeva di perdere la su copertura medica, oppure che rischiava aumenti enormi delle spese per l’assicurazione medica.

Questo decreto ha avuto anche l’effetto di spaccare il Partito Repubblicano in due ali, la prima di quelli che lo consideravano troppo severo e l’altra all’opposto di coloro che lo consideravano troppo debole. Alla fine, la proposta di legge è stata ritirata nel timore che sarebbe stata sconfitta in aula.

Gli altri due decreti che hanno scatenato controversie nei primi giorni sono sul tema dell’immigrazione sul quale Trump aveva costruito la sua vittoria elettorale.

Il primo era per costruire il muro sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico, per bloccare i milioni di messicani che lavorano clandestinamente negli Stati Uniti e che in alcune zone come la California, forniscono la maggiore parte della mano d’opera in agricoltura. Questo decreto è tutt’ora in stallo perché molti dei repubblicani rifiutano di finanziare quel che considerano un lavoro inutile.

Il secondo decreto era quello di proibire a profughi musulmani di sette Stati mediorientali di emigrare negli Stati Uniti, per paura che tra di loro ci sarebbero stati terroristi, questo malgrado il fatto che nessun terrorista da questi paesi abbia mai compiuto attentati negli Stati Uniti.

Questo decreto ha scatenato una protesta enorme nel pubblico americano e persino migliaia di avvocati in giro per il paese hanno offerto i loro servizi gratuitamente a coloro che erano colpiti dal decreto. Nel giro di pochi giorni il decreto è stato bloccato da numerose corti federali in Usa, perché incostituzionale e anche un secondo decreto disegnato per evitare questo blocco ha subito la stessa fine. Ora si aspetta l’inevitabile ricorso alla Corte Suprema per la decisione finale sui due decreti.

Il destino di questi decreti ha dimostrato inequivocabilmente che il Presidente Trump non aveva fatto i conti  con il fatto che i poteri Presidenziali hanno limiti costituzionali e legislativi. Può firmare decreti, ma devono rispettare la Costituzione del paese e devono anche superare le due Camere che hanno l’obbligo di assicurare che il Tesoro abbia i mezzi per metter in azione le decisioni della Casa Bianca.

Mentre il Presidente Trump si trova ancora oggi ad imparare il meccanismo legislativo americano, deve anche combattere una battaglia che mette a rischio il futuro del suo mandato. Nel corso della campagna elettorale giravano voci di interferenze russe sul voto americano a favore del candidato repubblicano. Queste voci sono diventate accuse di collusioni tra membri della squadra di Trump e agenti russi. Le accuse hanno già avuto una vittima eccellente, con la costrizione alle dimissioni del Generale Michael Flynn, il Consigliere Nazionale per la Sicurezza della Casa Bianca, a causa dei suoi contatti con l’ambasciatore russo agli Stati Uniti.

Le accuse ora sono sotto inchiesta non solo da parte dei servizi segreti americani, ma anche dalle commissioni per la Sicurezza dei due rami del Parlamento americano. Infatti, nel corso di una seduta pubblica della commissione del Congresso James Comey, il controverso capo del FBI, ha confermato non solo l’esistenza delle inchieste da parte delle agenzie, ma anche che le accuse non erano campate in aria.

Ora, mentre la Casa Bianca festeggerà sabato la fine della sua “luna di miele”, i sondaggi dimostrano un nuovo presidente con livelli storici bassissimi di popolarità per i primi mesi, a dir poco, burrascosi del suo mandato e anche sotto l’ombra di accuse gravissime, in attesa di conferme o smentite. In ogni caso, abbiamo visto sin dall’inizio una delle amministrazioni americane più controverse della Storia.

Come in tutti i casi, dobbiamo aspettare per sapere l’esito delle indagini, come anche dell’iter giudiziario dei due decreti per capire se siano semplici incidenti di passaggio, oppure se siano segnali di una Casa Bianca incapace di mettere in azione un programma politico che cambia di giorni in giorno secondo i sondaggi.

Tutto questo mentre bollono fronti internazionali importanti come il Medioriente e la Corea del Nord, che hanno bisogno di un Presidente degli Stati Uniti al massimo delle sue capacità e non distratto da incidenti facilmente evitabili da parte di un politico che abbia un minimo di esperienza governativa.

Il mondo ora può solo aspettare e sperare che le risposte non arriveranno troppo tardi, soprattutto in campo internazionale.

 

 

 

 

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