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Diritti umani

L’oro blu e il rischio di crisi idriche

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L’acqua è tuttora un diritto per pochi, una risorsa fragile e sempre più limitata diventata oggi una commodity e molto spesso causa di guerre.

 di Alexander Virgili

Mentre l’attenzione di quasi tutti coloro che hanno seguito i lavori della Cop 28 – la 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – si è concentrato sull’oro nero (il petrolio) e sui combustibili fossili, minore attenzione è stata data all’acqua (oro blu), fondamentale per la sopravvivenza sul pianeta e del pianeta. La Cop 28 ha inserito l’acqua nell’area tematica: “Cibo, agricoltura e acqua”, area non centrale perché gli interessi dei partecipanti erano volti altrove, appunto alle fonti energetiche, ma comunque strategica.  L’acqua è tuttora un diritto per pochi, una risorsa fragile e sempre più limitata diventata oggi una commodity e molto spesso causa di guerre. Benché la terra sia ricoperta di 1.390 milioni di Km cubici di acqua, solo il 2,5% è acqua dolce, la gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari. Il restante 97,5% è acqua salata. Queste cifre chiariscono che gli esseri umani hanno a disposizione solo 93.000 Km cubici, pari a circa lo 0,5% del totale. e spiega il fenomeno del water grabbing.

Con water grabbing, o accaparramento dell’acqua, ci si riferisce appunto a situazioni nelle quali soggetti potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse. Se nel mondo industrializzato il consumo è cresciuto a dismisura (un cittadino americano consuma circa 1.280 metri cubi l’anno, uno europeo circa 700) nei Paesi in via di sviluppo la situazione è diversa. Un africano consuma in media appena 185 metri cubi l’anno. Nella regione africana del Sahel le famiglie consumano anche meno di 10 litri di acqua al giorno. Per essere ancora più concreti: ci sono 1 miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile nel mondo.  Contemporaneamente con l’aumento dei consumi idrici e della popolazione, la disponibilità pro-capite a livello globale è scesa da 9.000 metri cubi d’acqua potabile a disposizione, negli anni Novanta, a 7.800 nella prima decade del 2000 e si prevede che nel 2025 scenderà ancora a poco più di 5.000 metri cubi.  Ancora oggi circa 2,2 miliardi di persone non hanno servizi di acqua potabile gestiti in sicurezza, mentre 4,2 miliardi non dispongono di servizi igienici gestiti in sicurezza. Così è iniziata e si è alimentata una corsa all’accaparramento delle risorse idriche. Gli effetti dell’accaparramento dell’acqua sono spesso devastanti: migrazioni forzate, privatizzazione delle fonti idriche, controllo forzato per progetti di agrobusiness di larga scala, inquinamento dell’acqua per scopi industriali che portano beneficio a pochi e danneggiano gli ecosistemi, controllo delle fonti idriche da parte di forze militari per limitare lo sviluppo.

Per cercare di regolare almeno in parte il fenomeno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato la Convenzione sulla protezione e l’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Convenzione di Helsinki, o Convenzione Acque), adottata il 17 marzo 1992 a Helsinki da 26 Paesi Membri della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e dalla Comunità Europea, ed entrata in vigore il 6 ottobre 1996. L’obiettivo della Convenzione Acque è la promozione della cooperazione tra i Paesi per la prevenzione e il controllo dell’inquinamento dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali e per l’uso sostenibile delle risorse idriche.  Il trattato sulle acque transfrontaliere per mitigare i rischi di conflitto legati all’acqua però non ha registrato un adeguato impegno, a dimostrazione di ciò, oggi questo documento è stato ratificato da solo 39 stati, e tra i grandi assenti compaiono Stati Uniti e Cina, due grandi consumatori d’acqua e potenze economiche.

Negli ultimi anni le zone più interessate da instabilità legate all’acqua sono il Medioriente, l’America Latina, Africa, Asia e Australia. Secondo vari esperti, l’acqua sarà presto più importante del petrolio e attorno a questo nuovo oro che si combatteranno sempre più guerre. Tra le aree di conflittualità più note quella in Siria, dove la siccità avrebbe, secondo alcuni studi, contribuito all’innesco della guerra civile. Poi quella tra Etiopia e Kenya, dove le comunità che vivevano nella valle dell’Omo sono state costrette a migrare a sud dell’Etiopia, verso il Kenya, alla ricerca di un’altra fonte d’acqua. Scontri anche per il bacino dell’Eufrate e del Tigri, che è suddiviso tra Turchia, Siria e Iraq. In questo caso c’è una condivisione dei fiumi unita anche alle tensioni geopolitiche già in atto tra questi paesi. Alta tensione anche in Sudan e per dell’Indo, che crea continue tensioni fra Pakistan e India.  Controllare l’acqua non significa solo combattere per possederla o difenderla, attualmente si stima che nel mondo ci siano oltre 900mila dighe, di cui 40mila di grandi dimensioni. Questi giganti non servono solo per produrre energia pulita, ma diventano dei meccanismi di controllo dell’acqua, che spesso possono danneggiare regioni e stati a valle della diga. Zone di particolare tensione per tali motivi sono il Mekong, il Brahmaputra e l’Irrawaddy, dove una serie di sbarramenti voluti dalla Cina hanno messo in allarme altri Stati, in particolare India e Vietnam.

Il fiume che attraversa l’Etiopia e arriva fino in Kenya invece è stato interrotto da cinque sbarramenti, mentre il lago Turkana, che bagna sia Etiopia sia Kenya, è ai minimi storici sia a causa dell’intervento umano, con la costruzione delle dighe, sia per l’aumento delle temperature nel Corno d’Africa. Il water grabbing è definito come uno dei più gravi crimini perpetrati, perché l’acqua è il bene più prezioso, al pari dell’aria e della terra. Per la tutela di quest’ultima la Corte penale internazionale ha considerato il land grabbing un crimine contro l’umanità, in Cambogia, e perseguibile in quanto tale. Il “furto della terra” è però intimamente legato a quello dell’acqua, che è vitale ed è un bene in pericolo. Pur essendo considerata una risorsa rinnovabile, l’umanità si basa su una piccolissima parte di acqua di superficie che costituisce solo lo 0,4 % della disponibilità totale di acqua dolce.

Fiumi, laghi e zone umide sono sempre più sotto pressione, poiché l’uso globale dell’acqua è aumentato ad un tasso annuo dell’1% dagli anni Ottanta del XX secolo a oggi.  Secondo il report del 2019 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in aree a un livello più o meno elevato di stress idrico. Ecco perché in molte zone del mondo sono scoppiati conflitti, molti dei quali tuttora attivi: per difendere il diritto all’accesso all’acqua. Questa situazione drammatica potrà solo peggiorare con la crescita della popolazione e l’impoverimento costante delle fonti d’acqua potabile. E a questo scenario si lega indissolubilmente il problema del water grabbing, che è un fenomeno che va al di là del semplice “furto idrico”: esso riguarda il potere di decidere come e per quali scopi le risorse idriche saranno utilizzate ora e in futuro.  L’acqua, come altre risorse naturali, non è un semplice fattore di produzione da convertire in prodotti di base, per molte comunità locali, l’acqua non è non è solo un fattore di produzione ma costituisce anche la base del loro sostentamento.

L’acqua è implicata in tutta una serie di attività che abbracciano l’alimentazione, l’energia, il settore minerario e climatico. Dai progetti agricoli e di biocarburanti su larga scala, alle industrie estrattive, agli schemi idroelettrici, alla privatizzazione dei servizi per l’acqua potabile e sanitaria. Si può quindi parlare di un accaparramento globale dell’acqua che si estende oltre i confini nazionali e collega diverse lotte per il controllo per il controllo delle risorse idriche in tutto il Nord e il Sud del mondo. Ciò a volte avviene mediante un’appropriazione violenta, a volte invece gli accaparratori fanno un uso distorto della legge. In altri casi, la cattura dell’acqua è chiaramente illegale, in palese violazione della legge statale; in altri è perfettamente legale anche se non legittima.  In Ghana, per esempio, il fatto che i sistemi di governo della terra e dell’acqua fossero separati e che il coordinamento delle politiche fosse scarso, ha permesso ad alcuni investitori di appropriarsi delle fonti d’acqua per le piantagioni di biocarburanti, ignorando i precedenti utenti locali.  Nella Valle di Ica, in Perù, lo 0,1% degli utenti (potenti agro-esportatori) controlla un terzo dell’acqua totale, mentre i piccoli agricoltori, il 71% degli utenti della valle, hanno accesso solo al 9%.  In quasi tutti i casi, l’accaparramento dell’acqua non è adeguatamente evitato, o limitato, dallo Stato, per interessi speciali o immaginando di favorire gli investimenti.

Dietro agli accaparratori d’acqua spesso ci sono interessi di grandi latifondisti, o anche di imprese. Dallo sfruttamento per uso agricolo alla produzione di energia e per la manifattura si stima che le imprese sono responsabili di oltre il 70% dell’uso e dell’inquinamento dell’acqua, in particolare dai settori alimentare, tessile, energetico, industriale, chimico, farmaceutico e minerario. Poi c’è l’allevamento (tradizionalmente antagonista dell’agricoltura), ma anche la produzione di energia, l’idroelettrico in alcune zone è una delle cause maggiori se si pensa all’aumento del numero di dighe. Solo per i mega progetti, si è passati dalle 10 mega-dighe nel 1950, alle 305 nel 1995. Nello stesso periodo, il numero totale di grandi dighe è salito da 5.000 a 40.000. A livello globale, tra i 40 e gli 80 milioni di persone sono state sfollate a causa delle dighe costruite sulle loro terre.  Una diversa causa è il fracking, spesso dove si effettua si segnala un cambiamento preoccupante nell’uso dell’acqua con nuovi accordi che regolano l’accesso e il controllo dell’acqua a favore delle grandi compagnie dell’industria del petrolio e del gas che hanno bisogno di grandi quantità di acqua per tale tecnica di estrazione.  Infine, la pratica dell’accaparramento coinvolge anche tutti quegli attori le cui attività e i cui profitti dipendono dal commercio di “acqua virtuale“.  Oltre all’acqua reale, c’è infatti anche quella acquisita in un Paese e sfruttata in un altro. L’Unione Europea è il più grande “importatore” virtuale di acqua al mondo, lo ha evidenziato uno studio del Parlamento Europeo, per acqua virtuale si intende la quantità di acqua dolce utilizzata nella produzione e nella commercializzazione di alimenti e beni di consumo. La definizione più generale tiene conto anche dell’acqua necessaria per l’erogazione di servizi: secondo tale definizione, l’acqua virtuale è definibile come il volume d’acqua necessario per produrre una merce o un servizio.  Ad esempio, si stima che per produrre una tazza di caffè sono necessari 140 litri di acqua, utilizzati per la coltivazione e il trasporto del caffè.

Così i flussi di acqua virtuale sono determinati dal contenuto di acqua virtuale delle merci importate o esportate.  Un gruppo di ricercatori dell’Università di Notre Dame, del Politecnico di Milano, dell’Università della California, Berkeley, della Colorado State University, dell’Università del Delaware e dell’Università Vrije di Amsterdam hanno analizzato 160 accordi fondiari fatti tra il 2005 e il 2015 in Europa, Sud America, Africa e Asia per uno studio pubblicato su Nature Communications. I modelli idrologici utilizzati per simulare la coltivazione futura di questi accordi hanno trovato quasi due terzi di questi accordi sono insostenibili. La necessità di disporre di acqua porta a tensioni e conflitti, secondo il Pacific Institute for Studies in Development, Environment and Security, ci sono state 507 dispute internazionali riguardanti le risorse idriche negli ultimi 50 anni, 37 di queste sono diventate violente.  Tra i conflitti per l’acqua, va citato quanto accaduto in Nigeria, dove la desertificazione che ha colpito il Lago Ciad ha portato a tensioni tra gli agricoltori e i pastori seminomadi di etnia Fulana per il controllo delle risorse idriche.

Nel giugno del 2018 le tensioni si sono tramutate rapidamente in veri atti di guerriglia, già definibili come water conflict, che hanno causato la morte di 86 agricoltori nigeriani. Solo in quell’anno, il conflitto tra pastori e agricoltori ha causato la morte di quasi mille persone.  Il conflitto più lungo, legato anche all’acqua, è quello che coinvolge Israele e Palestina. Israeliani e palestinesi condividono due fonti idriche: il fiume Giordano e la falda acquifera montana, sotto il controllo di Israele. Gli Israeliani consumano in media 280 litri d’acqua giornalieri a persona nei confini dello stato e 350 negli insediamenti nelle zone occupate, i palestinesi solo 70.

L’Assemblea generale ONU dal 2010 ha esplicitamente riconosciuto il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici e ha riconosciuto che l’acqua potabile e i servizi igienici sono essenziali per la realizzazione di tutti i diritti umani. La risoluzione chiede agli Stati e alle organizzazioni internazionali di fornire risorse finanziarie, aiutare la costruzione di capacità e il trasferimento di tecnologia per aiutare i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, a fornire acqua potabile e servizi igienici sicuri, puliti, accessibili ed economici per tutti.  Negli ultimi anni il tema del rischio dei conflitti legato all’accesso e controllo delle risorse idriche ha assunto una rilevanza mondiale. L’acqua sta diventando sempre più un bene scarso e a scontare tale penuria sono soprattutto le aree del pianeta maggiormente sottosviluppate. La crescita mondiale della popolazione metterà a dura prova i sistemi idrici, specialmente nei contesti urbani in cui si verificheranno sempre più congiuntamente i fenomeni di scarsità d’acqua e stress idrico inteso come alto impatto del consumo di acqua mediante prelievi e usi industriali e domestici.

In Asia ed Africa le popolazioni si incrementeranno in misura maggiore rispetto agli altri continenti, perciò i problemi relativi all’approvvigionamento e spreco di acqua, in particolar modo in alcune aree sono oramai presenti tra quelli di maggior urgenza.  Si prevede che nel 2050, 993 milioni di persone residenti nei centri urbani soffriranno perennemente la carenza d’acqua e 3 miliardi subiranno carenza di acqua nelle stagioni più calde. La carenza della risorsa idrica oltre ad essere un freno allo sviluppo, è in grado di deteriorare il livello di salute delle popolazioni, specie quelle maggiormente povere. Correlato all’innalzamento del livello demografico, c’è lo spreco alimentare generato dalla iperproduzione di cibo non consumato. La crescente presenza di Co2 rivoluziona l’andamento della temperatura e il ciclo delle precipitazioni, le quali si presentano con maggiore intensità nei mesi estivi sotto forme di bombe d’acqua, causando danni ai raccolti ed alle infrastrutture.  I mutamenti climatici alimentano la condizione di scarsità d’acqua, perciò in diverse aree si stanno incrementando gli accaparramenti della risorsa idrica, in cui sono coinvolti gruppi, multinazionali e Stati.

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