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Attualità

L’importanza della missione spaziale indiana sulla Luna

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Il 23 agosto scorso l’India è diventata la prima nazione della storia a posare un lander nella regione del Polo sud della Luna e la quarta, dopo Stati Uniti, Russia e Cina, ad aver raggiunto la superficie del nostro satellite naturale.

di Alexander Virgili

Il 23 agosto scorso l’India è diventata la prima nazione della storia a posare un lander nella regione del Polo sud della Luna e la quarta, dopo Stati Uniti, Russia e Cina, ad aver raggiunto la superficie del nostro satellite naturale. La missione Chandrayaan-3, senza equipaggio, spinta nello spazio da un lanciatore Mark III lo scorso 14 luglio, ha allunato il Vikram, un lander da circa 1800 chilogrammi.   Oramai concentrata verso l’esplorazione di Marte, l’opinione pubblica da quasi per facile o scontato l’allunaggio, ma non è così. Negli ultimi anni ben quattro missioni lunari sono fallite: nell’aprile del 2019 l’israeliana Baresheet-1, nel settembre dello stesso anno la precedente missione indiana, la “quasi gemella” Chandrayaan 2, si schiantò sulla superficie. Nel 2023, il Giappone (con la missione privata Hakuto R) e poi la Russia, con Luna-25, hanno dovuto registrare il fallimento.  In effetti, negli ultimi anni la Luna è tornata al centro dell’attenzione e dei programmi delle principali agenzie spaziali mondiali che hanno così orientato verso di essa i loro più ambiziosi programmi di esplorazione spaziale. L’intento, questa volta, non è solo quello di tornarci, bensì di restare stabilendo piccole basi abitabili permanenti (denominate pure outspots) sulla sua superficie. Il posizionamento di queste basi ha però acceso una serrata corsa all’individuazione ed alla conseguente appropriazione delle più importanti risorse naturali. La posta in gioco è importante, per realizzare delle basi permanenti occorre individuare e poi controllare le risorse naturali presenti sulla Luna, fondamentali per il sostentamento stabile della vita per lunghi periodi in un ambiente non idoneo o ostile rispetto agli esseri viventi.

La corsa all’individuazione delle risorse lunari è iniziata più di 30 anni fa, dalla fine delle missioni americane “Apollo” e delle sovietiche “Luna”. È però dagli anni 2000 che si accresce l’interesse per l’esplorazione lunare, da allora ad oggi ci sono state 12 missioni internazionali destinate  all’individuazione e alla caratterizzazione delle risorse lunari, circa una missione ogni due anni.  Quasi metà di queste missioni sono state condotte dall’agenzia spaziale cinese (CNSA) la quale, attraverso il suo programma di esplorazione lunare (noto come Chang’è), ha raggiunto in brevissimo tempo risultati tecnologici e scientifici di grande rilievo. In particolare, con la missione Chang’è-4 (2018) la Cina è divenuta la prima ed unica nazione, sono ad oggi, ad essere scesa con successo sul “lato nascosto” della Luna. Secondo vari osservatori queste missioni proiettano la Cina nel ristretto gruppo delle più avanzate potenze spaziali in grado di poter rivendicare un posto di primo piano per l’approvvigionamento e lo sfruttamento delle risorse lunari. La Luna è tornata quindi al centro delle strategie delle più importanti agenzie spaziali mondiali, per il decennio 2020-2030 le missioni programmate verso la Luna aumentano ulteriormente, giungendo quasi ad un ritmo di dieci all’anno.  Gran parte di queste missioni più che all’esplorazione avranno lo scopo di provare e istallare sistemi robotici per raggiungere ed estrarre campioni di materiali e risorse utili in vista delle future basi stabili.

C’è poi un fattore specifico che orienta verso Sud, infatti grazie alle scoperte degli ultimi decenni, ora si afferma con certezza che le risorse lunari non sono uniformemente distribuite, al contrario, sono fortemente localizzate. I siti lunari, o porzioni di superficie, di interesse da parte delle maggiori potenze spaziali risultano essere in numero limitato e distribuiti in aree di pochi km di estensione. Questo deriva dal fatto che, soprattutto per i siti selezionati come ottimali per la costruzione di avamposti abitabili permanenti, essi devono possedere alcune specificità. Tre sono i requisiti fondamentali di disponibilità richiesti: energia, acqua e riparo dai meteoriti.  Tra i siti considerati preferibili e quindi ambiti ci sono anzitutto i cosiddetti “Picchi di luce eterna”, cioè aree della superficie lunare che, grazie alla combinazione tra la morfologia del suolo e la geometria dell’orbita Luna-Sole, risultano essere costantemente illuminate. L’elevazione di queste aree (da qui la denominazione di “picchi”) fa sì che alcune zone siano quasi costantemente irradiate dalla luce solare, a meno di qualche decina di ore d’ombra all’anno. Tali settori risultano di fondamentale importanza per il l’uso di tecnologie in grado di immagazzinare e quindi poi distribuire l’energia solare.  Queste aree sono prevalentemente localizzate in prossimità dei poli lunari (il Polo Sud, in particolare) e hanno anche estensione limitata.  In queste aree non solo ci si garantisce l’approvvigionamento energetico solare ma si eviterebbero pure le dure condizioni ambientali delle “notti lunari”, quando la temperatura superficiale esterna può raggiungere anche i -180 °C.  Si può immaginare, allo stato attuale delle tecnologie, che in queste aree, le agenzie spaziali prevederanno a installare delle torri di pannelli solari ad alta produzione energetica.

Altri siti di estremo interesse sono le cosiddette “cold traps”, quelle porzioni di suolo lunare contenute all’interno dei crateri, rimaste in ombra a temperature anche inferiori ai -180 °C per milioni di anni, intrappolando all’interno preziose risorse come l’acqua.  Anche questi siti risultano essere concentrati prevalentemente al Polo Sud lunare, dove la stessa NASA, nel 2020, ha confermato la presenza di importanti riserve di acqua. Terza caratteristica dei siti di interesse per l’installazione di basi lunari permanenti sono le cosiddette “caverne lunari”. Sono depressioni del terreno che, se accessibili ed esenti da crolli, potrebbero fornire uno straordinario rifugio dove proteggere astronauti e attrezzature dalle radiazioni solari e dal possibile impatto di meteoriti. Sulla Luna, in assenza di atmosfera, anche piccoli meteoriti cadono al suolo e possono arrecare danni. Ad oggi, 221 di queste “caverne lunari” di interesse sono state censite, alcune delle quali si presuppone siano la “porta di accesso” a veri e propri canali sotterranei scavati da antica attività lavica.

Acqua, ossigeno ed energia illimitata sono gli obiettivi di risorse base più importanti, ma certo non le uniche, infatti, ad esse si aggiungono le risorse minerarie.  Sono anche di grande interesse quelle porzioni di suolo lunare “ricche” di elementi come Torio ed Uranio che, una volta estratti, sarebbero utili per la produzione di combustibile nucleare. Sembra siano solo 34 i siti ad oggi individuati sulla superficie lunare ricchi di questi due elementi, per un totale di poco meno di 80 km di estensione. Discorso simile, ed altrettanto strategico, per le cosiddette “terre rare” abbondanti in alcune zone della superficie lunare come l’Oceanus Procellarum: il sito di atterraggio della sonda cinese Chang’è-5. Un fatto questo che sembra essere sfuggito ai più, ma che invece posiziona la Cina in vantaggio sugli altri attori spaziali.  È probabile che nei prossimi due decenni si assista ad un potenziale incremento di controversie per assicurarsi le più preziose risorse lunari. Obiettivo che, con altrettanta probabilità, sarà un ulteriore incentivo alle più creative interpretazioni di quello che attualmente è l’unico trattato internazionale applicabile in materia: l’Outer Space Treaty (OST) del 1967. Interpretazioni che sono già realtà come nel caso degli Artemis Accords, attraverso i quali gli Stati Uniti puntano al superamento normativo e legislativo anche del trattato OST. Iniziative che hanno portato ad una profonda “spaccatura” del clima di collaborazione che da più di 20 anni a questa parte ha sempre contraddistinto buona parte delle attività spaziali.

Lo Spazio era l’unica dimensione in cui nazioni anche fortemente contrapposte sulla Terra riuscivano a trovare unità di intenti, generando grande progresso scientifico e tecnologico per l’intera umanità. Nell’OST viene anche definito che, qualora l’attività di un soggetto possa causare una interferenza dannosa per le attività di altri Stati, le parti possono autonomamente avviare le relative e necessarie consultazioni per ovviare alla questione. Contraddittorio tra le parti che negli Artemis Accords (sottoscritti dall’India ma non dalla Cina) verrebbe in parte meno e, considerando l’alto numero di missioni in programma, ne deriva il rischio che i soggetti operanti potrebbero invocare le loro attività di ricerca come una “giusta causa” per cercare di escludere da aree ad esse limitrofe le attività di altrui Stati o soggetti competitori, in quanto rappresentanti rischi di interferenza.  La nascita di controversie circa il vero e corretto significato e l’applicabilità del testo dell’OST sulle “interferenze dannose” e sulla “reciproca considerazione” saranno tanto più accentuate, quante più missioni si concentreranno proprio su quelle poche decine di siti lunari in cui sono concentrate ampie quantità di risorse strategiche.

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