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La neuromodulazione: potenzialità e prospettive

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La neuromodulazione è un insieme di modificazioni della trasmissione degli impulsi nervosi indotte, a scopo terapeutico, a livello del sistema nervoso centrale (encefalo, midollo spinale) o del sistema nervoso periferico (nervi encefalici, nervi spinali o altre terminazioni) mediante stimolazione elettrica, magnetica, con radiofrequenze o chimica.

di Antonio Virgili – pres. comm. cultura Lidu onlus

Alcune modalità di intervento terapeutico, sebbene non nuove in assoluto, godono talora di rinnovata diffusione quando l’evoluzione tecnologica ne potenzia, amplia o affina le possibilità di applicazione.  Ѐ questo il caso della neuromodulazione, praticata sin dagli anni ’60, ma poco diffusa sia per dei limiti tecnologici che per una ancora molto parziale conoscenza dei neuro-meccanismi, che solo le ulteriori scoperte scientifiche degli ultimi decenni stanno chiarendo.  La neuromodulazione è un insieme di modificazioni della trasmissione degli impulsi nervosi indotte, a scopo terapeutico, a livello del sistema nervoso centrale (encefalo, midollo spinale) o del sistema nervoso periferico (nervi encefalici, nervi spinali o altre terminazioni) mediante stimolazione elettrica, magnetica, con radiofrequenze o chimica (quest’ultima, di solito con somministrazione intratecale di farmaci).

La neuromodulazione può essere invasiva, quando collegata ad un locale intervento chirurgico, o non invasiva, quando non richiede interventi di tipo chirurgico e avviene dall’esterno del corpo o al più con un sottile ago-punta.  Quest’ultima è certo la più promettente, perché più facilmente applicabile a molteplici situazioni e priva dei sia pure contenuti rischi tipici di un intervento chirurgico (infezioni, emorragie, lesioni).  La stimolazione invasiva, detta stimolazione cerebrale profonda (DBS, dall’acronimo inglese Deep Brain Stimulation) richiede un vero e proprio trattamento chirurgico, attraverso una piccola perforazione del cranio ed è volta a ridurre i sintomi motori debilitanti caratteristici di alcune patologie. Buoni risultati con questa tecnica sono stati ottenuti nei disturbi del movimento come il Parkinson, la distonia e il tremore essenziale. Questa procedura è stata utilizzata anche per curare l’epilessia, il dolore cronico e alcune forme di disturbi ossessivo-compulsivi.

La neuromodulazione non invasiva, quindi realizzata dall’esterno, senza interventi chirurgici, quale ad esempio la stimolazione magnetica transcranica (TMS), rappresenta oggi una delle applicazioni più promettenti in medicina, specialmente per la terapia del dolore.  La TMS utilizza un campo magnetico, di cui si può variare intensità e durata degli impulsi, per stimolare, dall’esterno, determinate aree cerebrali in modo assolutamente non invasivo. In alternativa si possono usare lievi correnti con le quali si va a modificare la recettività del nervo sensitivo, realizzando una procedura antalgica mediante la somministrazione di impulsi elettrici che interferiscono con la trasmissione dell’impulso doloroso. Sotto guida TAC si posiziona un sottilissimo ago (elettrodo) vicino alla radice nervosa responsabile della sintomatologia dolorosa e la si disattiva riducendo in modo significativo e spesso completo il sintomo dolore.

La procedura è indolore, rapida ed estremamente efficace in tutte le forme ad interessamento radicolare.    Quando lo stimolo doloroso si protrae nel tempo, entrano in funzione dei meccanismi, detti di sensibilizzazione, che amplificano il dolore.   A livello dei recettori periferici, che si trovano nei tessuti, gli stimoli dolorosi ripetuti innescano poi dei meccanismi di tipo infiammatorio che hanno l’effetto di abbassare la soglia di risposta dei recettori, di provocare delle scariche spontanee e di aumentare la risposta agli stimoli. Questo meccanismo, detto di sensibilizzazione periferica, si manifesta clinicamente come iperalgesia, ovvero aumentata risposta agli stimoli dolorosi, e allodinia, che è una sensazione dolorosa evocata da uno stimolo che in condizioni normali non provoca dolore, come il tatto o lo sfregamento.

La sensibilizzazione periferica è però un fenomeno potenzialmente reversibile: al cessare dello stimolo doloroso la reazione infiammatoria si riduce gradualmente, in modo spontaneo o con l’aiuto di farmaci, e la risposta dei recettori torna progressivamente normale.        Se invece lo stimolo doloroso si protrae ulteriormente, i meccanismi di sensibilizzazione si possono estendere alle vie nervose ascendenti che conducono il dolore, coinvolgendo i gangli delle radici dorsali, i corni posteriori del midollo spinale e le vie talamo corticali.     Questo processo di sensibilizzazione, dalla periferia al centro, può portare alcune modificazioni irreversibili delle vie centrali di conduzione ed elaborazione del dolore, che hanno come risultato la persistenza cronica del dolore anche quando venga meno lo stimolo nocicettivo che l’aveva inizialmente scatenato.

Questo genere di dolore patologico, che cessa di essere il sintomo di una malattia o di un danno dell’organismo per diventare esso stesso una malattia, va sotto il nome di dolore neuropatico cronico.    Il trattamento di questo tipo di dolore è complesso e si basa su criteri sostanzialmente differenti da quelli utilizzati per trattare il dolore nocicettivo.   Attraverso la neuromodulazione si attivano procedure che vanno ad interferire, per lo più per mezzo di campi elettromagnetici, con i meccanismi responsabili della genesi, dell’insorgenza e del mantenimento del dolore neuropatico.    Per certi versi è un meccanismo analogo a quello delle riflessoterapie, sulle quali ancora persiste un ingiustificato scetticismo di fondo.

L’uso dei campi magnetici, grazie alla permeabilità dei tessuti al magnetismo, è utilizzato anche per lo studio delle diverse aree cerebrali, osservando come diverse parti del cervello rispondono alla stimolazione di una determinata zona, evidenziando pure le interconnessioni tra aree cerebrali.     Ma la stimolazione magnetica transcranica può inviare anche una serie di impulsi ripetuti per lunghi periodi di tempo (rTMS), e ciò apre prospettive terapeutiche, quali la possibilità di promuovere la cosiddetta plasticità sinaptica, il meccanismo attraverso il quale il cervello apprende e recupera. Potenziare questa capacità nei neuroni può dare un contributo importante al processo di neuroriabilitazione, come nel caso di una persona che sia stata colpita da un ictus cerebrale e che debba recuperare funzioni cerebrali perdute.  Altre ricerche stanno esplorando la possibilità che un trattamento ripetuto possa essere usato per la terapia della depressione o delle dipendenze. Negli Stati Uniti la stimolazione magnetica transcranica è già approvata e talora rimborsata, per il trattamento della depressione, proprio come fosse un farmaco. Ma i suoi effetti devono ancora essere indagati a fondo, e risultano ancora limitati nel tempo.

Nel frattempo, alcune industrie si sono lanciate in quello che viene intravisto come un possibile business del prossimo futuro: la stimolazione elettrica transcranica (tDCS).  Nella tDCS non viene usato un campo magnetico, ma una piccola corrente elettrica applicata attraverso elettrodi posti sul cranio. È molto più semplice rispetto alla TMS, che invece richiede personale specializzato, addirittura potrebbe essere usata a casa. Però le conoscenze sugli effetti, sia quelli benefici che, soprattutto, quelli potenzialmente nocivi, sono ancora molto limitate.   Ad evitare equivoci con le famigerate terapie psichiatriche da eletroshock dei primi anni del ‘900, va chiarito che qui si parla di campi magnetici ed elettrici di bassissima potenza, non avvertibili, mirati ad aree specifiche e di metodologie non paragonabili alla “clave” della prima psichiatria.  Oggi l’elettroceutica, ovvero il campo della medicina bioelettronica in cui si fa uso di stimolazioni elettriche per influire e modificare le funzioni del corpo umano, è ormai considerata una delle dieci tecnologie emergenti dal World Economic Forum (2018), aprendo nuove prospettive nel campo della salute e della terapia medica. In questo contesto, vi sono aziende che hanno lanciato un ambizioso piano settennale per lo sviluppo di soluzioni innovative o che stanno sviluppando neurotecnologie per la produzione autogena di neurotrasmettitori, aprendo nuove frontiere nella comunicazione neurale.

Al centro di questo progresso, la comunicazione intracellulare, che è guidata da segnali elettrici e biochimici, mediate dal passaggio di ioni attraverso i canali della membrana cellulare. Questi segnali dipendono dal potenziale di membrana a riposo, determinato dalla differenza tra l’ambiente interno ed esterno e dalla concentrazione ionica. La stimolazione di questi canali ionici induce modificazioni funzionali, fornendo una nuova forma di terapia informativa ad esempio per diabete, infertilità, artrite e disordini autoimmuni.  Scenari che saranno ulteriormente ampliati dall’uso dell’Intelligenza Artificiale.

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