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Attualità

La soluzione dei due Stati in Palestina, novant’anni tra polemiche e veti

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La soluzione dei due Stati in Palestina per porre fine al sanguinoso conflitto che infiamma la regione dal 7 ottobre scorso, richiede una riflessione storica sugli eventi che si sono susseguiti nel corso di questo ultimo secolo.

di Alexander Virgili

In questo periodo è un gran parlare di Palestina e di questioni palestinesi, a volte in modo confuso, per una migliore comprensione delle vicende odierne alcuni riferimenti storici e cronologici possono essere utili per meglio inquadrarne le radici. La ricerca di soluzioni pacificatrici per le tragiche vicende in corso nella striscia di Gaza, tra attentati, distruzioni e violenze, sta, ad esempio, riportando in discussione la oramai vecchia tesi dei due Stati, che risale agli anni Trenta del Novecento. Con una veloce sintesi, va ricordato che la Palestina, prima della progressiva islamizzazione, era territorio bizantino che comprendeva tre gruppi etnico-religiosi principali: samaritani, ebrei e cristiani (melchiti, di lingua greca e aramaica). Successivamente il territorio palestinese restò nell’Impero ottomano per circa quattro secoli, cioè sino al XX secolo, con la Prima guerra mondiale.

Tra fine ‘800 e primi del ‘900 in Europa stavano alimentandosi e diffondendosi il nazionalismo, così come l’antisemitismo e pure il sionismo, movimento, quest’ultimo, che aspirava alla creazione di un nuovo Stato in quella che era definita “Terra di Israele”, in grado di offrire una patria agli ebrei dispersi nel mondo. Proprio negli ultimi decenni del XIX secolo si intensificò la corrente migratoria ebraica verso la Palestina, originariamente motivata da motivi religiosi ma poi rinvigoritasi, a partire dal 1882, a seguito di una serie di pogrom nell’Impero Russo. Con tale ondata migratoria, durata circa vent’anni, quasi 30 mila ebrei si stabilirono in Palestina, favoriti dalla creazione del Fondo Nazionale Ebraico, finalizzato alla raccolta di fondi per l’acquisto di terreni in Eretz Yisrael, la “terra promessa”. Nel frattempo, con l’apertura del Canale di Suez il territorio palestinese aveva visto aumentare la sua importanza strategica.  Nel 1897 Theodor Herzl fondò l’Organizzazione Sionista Mondiale, che incentivava e sosteneva l’emigrazione ebraica in Palestina.

Nella scia di questi eventi, nel 1917, una lettera scritta dall’allora Ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild, referente del movimento sionista, affermava che il Governo britannico “guardava con simpatia” alle aspirazioni del movimento sionista di creare una “dimora nazionale ebraica” in Palestina (la cosiddetta Dichiarazione Balfour). La Dichiarazione venne recepita dal Trattato di Sèvres (1920), firmato tra le potenze alleate della Prima guerra mondiale (escluse Russia e Stati Uniti) e l’Impero ottomano. Con il Trattato si privava l’Impero ottomano di gran parte dei suoi territori e la Palestina passava sotto il controllo del Regno Unito.  Il trattato non fu riconosciuto dal leader nazionalista turco Muṣṭafā Kemāl Atatürk, che, al termine della guerra di liberazione turca (1920-1922), ottenne la revisione delle condizioni imposte alla Turchia con il Trattato di Losanna (1923).

Nel cercare di risolvere l’instabilità creatasi nella zona, l’ipotesi di creare due Stati fu formulata dalla Commissione Peel, riunita nel 1937, durante la Grande Rivolta Araba (1936-1939), essa prevedeva una ripartizione dell’area del Mandato britannico della Palestina in tre sezioni: una araba, una ebraica e una piccola continuazione dell’area del Mandato (sotto controllo internazionale) con Gerusalemme. La Commissione, nel suo rapporto finale, suggeriva anche, per ridurre i probabili motivi di conflittualità, di trasferire parte della popolazione delle due etnie tra i due Stati creando due nazioni di popolazione etnicamente omogenea, come era avvenuto nel 1922 tra greci e turchi al termine della guerra greco-turca. La Commissione era consapevole che tale trasferimento avrebbe creato problemi, soprattutto nella parte araba, a causa della scarsità di territorio coltivabile disponibile che si sarebbe rivelato insufficiente a ricevere un gran numero di nuovi residenti, e suggerì che questa situazione avrebbe potuto essere uno stimolo per un piano di irrigazione della regione, i cui costi elevati avrebbero però richiesto un attivo ruolo finanziatore del Regno Unito, in quanto potenza mandataria a cui era stato assegnato il governo della regione.

L’idea della spartizione del territorio in due Stati venne ripresa l’anno seguente della Woodhead Commission, che, partendo da quando suggerito dalla Commissione Peel, elaborò tre possibili scenari di spartizione, ma questi vennero respinti sia dalla popolazione araba che da quella ebraica, portando la Commissione a ritenere praticamente impossibile applicare queste soluzioni.  Al termine della rivolta araba, con il “Libro bianco” del 1939, il Governo britannico rassicurò la popolazione arabo-palestinese che non era nelle intenzioni della potenza mandataria la creazione di una nazione ebraica, richiamando analoghe rassicurazioni contenute nel “Libro bianco” del 1922. Il Regno Unito con il “Libro bianco” decise di mettere in atto alcune limitazioni all’immigrazione ebraica e annunciò la creazione di un unico Stato palestinese, da realizzare entro 10 anni, la cui creazione avrebbe posto termine al mandato. Dopo l’indagine conoscitiva portata avanti dall’UNISCOP (United Nations Special Committee on Palestine), il comitato dell’ONU comprendente 11 nazioni che aveva analizzato la situazione e proposto la soluzione a due Stati, la ripartizione in due nazioni divenne la proposta ufficiale del Piano di spartizione dell’ONU del 1947. Il Regno Unito però si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti, annunciando che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948.

Dopo questa fase turbolenta di primi tentativi di soluzione, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, risalenti al giugno 1976, riprendevano la suddivisione dell’area in due Stati basata sulle linee pre-1967, ma su tali risoluzioni fu posto il veto dagli Stati Uniti.  L’idea aveva tuttavia avuto il supporto schiacciante da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite fin dalla metà degli anni ’70. Negli anni ‘90 la necessità urgente di una pace nell’area aveva nuovamente portato l’idea dei due Stati al centro della scena. Verso la fine del decennio il notevole lavoro diplomatico aveva prodotto un negoziato tra le due parti per raggiungere un accordo sulla soluzione dei due Stati, tale negoziato comprese gli Accordi di Oslo e il Summit di Camp David, seguito poi da altri negoziati a Taba nel gennaio 2001.  Dal punto di vista della condivisione popolare, la maggior parte dei palestinesi e degli israeliani, così come la Lega Araba, avevano dichiarato che avrebbero accettato la soluzione dei due Stati basata sulle linee pre-1967, così come riportato in un sondaggio condotto nel 2002  (il 72% dei palestinesi e degli israeliani era favorevole a tale accordo di pace) a patto che ogni gruppo avesse la certezza che la controparte sarebbe stata cooperativa nel fare le concessioni necessarie per un tale insediamento. Tuttavia, nessun governo di entrambe le nazioni avrebbe accettato una linea di demarcazione che avesse previsto il controllo condiviso del Monte del Tempio.

Nel 2002, il principe ereditario Abd Allah dell’Arabia Saudita propose un’iniziativa di pace araba, la quale ottenne il sostegno unanime da parte della Lega Araba. L’allora Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush annunciò il suo sostegno per uno Stato palestinese, appoggiando la risoluzione 1397 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, favorendo la soluzione dei due Stati. Anche le comunità cristiane in Israele dichiararono di sostenere tale soluzione. Nel 2005 gli Israeliani evacuarono la striscia di Gaza lasciandola ai palestinesi, ma l’ascesa al potere nel 2007 del movimento fondamentalista Hamas, scontratosi anche con una parte dell’ANP riaccese la conflittualità. A partire dal 2009, sia gli Stati Uniti d’America che l’Unione europea hanno esercitato pressioni sul governo israeliano al fine di rispettare gli impegni presi riguardo alla soluzione dei due Stati. Così nel marzo 2009 i ministri europei esortarono il governo israeliano, guidato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu a riconoscere lo Stato palestinese.

Il 4 giugno 2009, il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama durante un discorso tenuto presso l’Università del Cairo, sostenne la soluzione dei due Stati.  Il 14 giugno 2009 il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante un discorso presso l’Università Bar Ilan di Tel Aviv, sostenne l’approvazione di uno Stato palestinese ad ovest del fiume Giordano, ma subordinando tale concessione alla richiesta da parte dell’ANP di rompere completamente con Hamas. Così, veti e ostacoli reciproci sono proseguiti. Nel 2011 la Palestina ha visto rifiutato il riconoscimento come Stato membro alle Nazioni Unite dal Consiglio di Sicurezza, ma ha ottenuto l’ammissione all’UNESCO. Il 29 novembre 2012 lo Stato di Palestina è stato ufficialmente riconosciuto a livello legale con una risoluzione dell’Assemblea generale passata a larga maggioranza, configurando la realizzazione formale, ma tuttora incompleta sul piano pratico, della soluzione a due Stati.

Il 23 dicembre 2016 la risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedeva ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme est. Sempre dinanzi all’Assemblea generale, nel 2022, il premier israeliano Yair Lapid aveva dichiarato che la soluzione dei due Stati è “giusta per la sicurezza di Israele, per la sua economia e per il futuro dei nostri figli”, a condizione che il futuro Stato palestinese rimanga pacifico e non si trasformi in “una base terrorista come accaduto con Gaza”. Attualmente solo una parte dei Paesi riconosce lo Stato palestinese, e l’area di Gaza non è comunque equivalente allo Stato palestinese. Gli estremisti religiosi e le destre nazionaliste di entrambe le parti continuano a ostacolare sistematicamente tale soluzione, occorrerebbero quindi una svolta ed una lettura diversa rispetto alla riproposizione dei due Stati, che è quasi logora e non è sicuro che riesca ad avanzare concretamente, sia pure solo a piccoli passi, tra veti, scontri e estremismi politico-religiosi.

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