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Ambiente & Turismo

Infertilità e inquinamento

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Come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità, alcuni fattori ambientali influiscono sulla fertilità, soprattutto nella fase iniziale della vita (dallo sviluppo intrauterino all’adolescenza) determinando nell’età adulta infertilità, patologie andrologiche e ginecologiche di vario genere.

 di Antonio Virgili – pres. comm. cultura Lidu Odv

I temi demografici riaffiorano periodicamente all’attenzione pubblica, nei vari aspetti delle migrazioni, della crisi demografica per bassa natalità, dell’invecchiamento, delle patologie.  In particolare, la bassa natalità in molti Paesi sembra foriera di una crisi definitiva delle popolazioni europee.  Si trascura che la bassa natalità, oltre ai ben noti fattori economici e sociali che la alimentano (lavoro precario, bassi salari, ingresso stabile nel mondo del lavoro ad età sempre maggiori, minore interesse per la prole, ecc.) è anche un effetto dell’infertilità, cioè della difficoltà a concepire pur adoperandosi a tal fine per uno o due anni con rapporti sessuali non protetti.  L’infertilità in Italia riguarda circa il 15% delle coppie mentre, nel mondo, con grosse variazioni a seconda dei Paesi e delle aree, in media circa il 10-12%. Essa viene definita dall’OMS come una patologia, e può riguardare l’uomo, la donna o entrambi (infertilità di coppia). Può anche accadere che vi sia un’impossibilità per quella particolare specifica coppia di persone a concepire la vita, sebbene ciascuno dei due ne abbia le potenzialità. Aspetto poco considerato di tale problema è che esso risulta causato anche dall’inquinamento ambientale.  Come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità, alcuni fattori ambientali influiscono sulla fertilità, soprattutto nella fase iniziale della vita (dallo sviluppo intrauterino all’adolescenza) determinando nell’età adulta infertilità, patologie andrologiche e ginecologiche di vario genere. Inoltre, l’esposizione ad agenti chimici detti interferenti endocrini (pesticidi o antiparassitari, alcuni metalli pesanti, additivi e conservanti di prodotti industriali e di consumo, sostanze chimiche di origine naturale come i polifenoli) può influire sul sistema riproduttivo.  Anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo rapporto “Prospettive ambientali dell’OCSE all’orizzonte del 2050 “, ha riconosciuto che l’inquinamento atmosferico ha un impatto negativo sulla riproduzione femminile e maschile.   In particolare, molti studi epidemiologici hanno rilevato che i fattori ambientali e l’esposizione ad agenti chimici incidono sulla dimensione, sulla motilità e sul numero degli spermatozoi.

Uno studio italiano pubblicato sulla rivista Environmental Toxicology and Pharmacology, ha utilizzato solo ed esclusivamente il liquido spermatico per misurare l’impatto dell’inquinamento sulla salute maschile, rivelando dati allarmanti ed inequivocabili sulla vitalità e fertilità del seme maschile di chi vive in aree gravemente inquinate, come alcune zone della Lombardia, Taranto o la cosiddetta Terra dei Fuochi in Campania, comparato con quello di chi abita in zone della stessa regione non considerate a rischio. L’evidente differenza tra i due campioni esaminati ha dimostrato che, sia i lavoratori delle acciaierie sia i pazienti che vivono in un’area altamente inquinata, mostrano una percentuale media di frammentazione del DNA dello sperma superiore al 30%, evidenziando un chiaro danno spermatico. I ricercatori hanno suggerito che la valutazione del DNA dello sperma possa essere sia un indicatore della salute individuale e della capacità riproduttiva sia un dato adeguato per connettere l’ambiente circostante ai suoi effetti.  Secondo il Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità, tra le coppie che si rivolgono ai centri specializzati per avere un figlio, la percentuale di uomini infertili è del 29,3% e l’età non rappresenta l’unico fattore responsabile. Negli uomini italiani in generale viene riportato che il numero dei gameti è diminuito del 50% rispetto al passato.

A nuocere sulla qualità degli spermatozoi (aumentando quindi il rischio infertilità) ci sono spesso le condizioni lavorative: quelle che espongono a radiazioni, a sostanze tossiche o a microtraumi. Influiscono negativamente anche gli inquinanti prodotti dal traffico urbano e il fumo di sigaretta.   Smog e polveri sottili, dunque, sono un pericolo anche per la salute riproduttiva, influenzando sia la qualità sia la quantità dei gameti (ovociti e spermatozoi, ovvero le cellule riproduttive femminili e maschili).

Studi di ricercatori sulla fertilità femminile, hanno dimostrato che le donne che vivono in aree del mondo dove si respirano quantitativi maggiori di polveri sottili possono correre un rischio tre volte maggiore di avere una bassa riserva ovarica rispetto alle donne che vivono in zone poco inquinate. Una bassa riserva ovarica non indica necessariamente l’impossibilità di concepire ma un potenziale fattore di infertilità più alto, così come una maggiore probabilità di menopausa precoce.  A ulteriore conferma di ciò, una ricerca condotta dall’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinata dal Prof. La Marca, pubblicata su Human Reproduction, che ha preso in esame 1.318 donne residenti nella provincia di Modena, con età media di 38 anni, ha rilevato che l’esposizione a fattori ambientali rischiosi per la salute, come polveri sottili e biossido di azoto, ne ha ridotto la riserva ovarica. Una bassa riserva ovarica è collegata a maggiori difficoltà di concepimento e a un abbassamento della finestra fertile, indipendentemente dall’età.  La finestra fertile di una donna è mediamente ampia tra i 20 e i 30 anni, ma in questa fascia d’età oggi le donne sempre più spesso non sono nelle condizioni economiche, personali e sociali per avere dei figli, ritardando il momento di diventare madri. La probabilità di riuscirci è strettamente connessa all’età, le possibilità di una gravidanza naturale iniziano a declinare già intorno ai 35 anni.  Pure in Cina è stato studiato l’effetto dell’esposizione all’inquinamento atmosferico. Uno studio pubblicato sulla rivista Environment International, condotto dagli scienziati del Center for Reproductive Medicine dell’Università di Pechino, ha valutato più di 18 mila coppie esposte a vari livelli di inquinamento.

Nelle zone più inquinate il tasso di infertilità aumenta del 20% rispetto ai luoghi con esposizioni più contenute.  Il team ha analizzato 18.571 coppie cinesi, considerando il luogo dell’abitazione e l’eventuale infertilità: le donne esposte a un inquinamento da particolato atmosferico (cioè le polveri sottili) superiore ai 10 microgrammi per metro cubo possono correre un rischio di infertilità aumentato del 20 per cento rispetto a quelle che non subiscono tale esposizione, ciò attraverso l’attivazione di stati infiammatori che provocano una minore salute delle cellule gonadiche (ovuli e spermatozoi). Anche uno studio negli Stati Uniti, condotto su 600 donne, ha riscontrato una minore maturazione di ovuli nelle ovaie in caso di abitazione in luoghi ad alto tasso di inquinamento. Inoltre, altri studi hanno notato che l’inquinamento atmosferico è associato a molti eventi avversi durante la gravidanza, e nel 30 per cento dei casi di coppie infertili è impossibile determinare la causa dell’infertilità.

L’inquinamento causa infiammazioni, alterazioni o mutazioni delle cellule, indebolimento del sistema immunitario.  Tali rischi sono presenti sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, come osservato dall’OMS che già nel 2020 ha chiarito che i danni dell’inquinamento atmosferico coinvolgono oramai la quasi totalità della popolazione mondiale e che i danni per l’organismo sono spesso a lungo termine.  Nessuno è estraneo al problema, neppure l’Oceania, visto che in uno studio effettuato a Sidney, da Broome ed altri del 2015, si è stimato che riducendo il particolato (PM2,5) del 10% per 10 anni, si eviterebbero circa 650 morti premature.

Quando gli inquinanti penetrano nel flusso sanguigno per poi diffondersi, ogni organo del corpo può diventare un bersaglio, si parla quindi di danno sistemico.  Le principali modalità di azione sono attraverso: l’attività di disregolazione endocrino-ormonale (le particelle di scarico del diesel contengono ad esempio sostanze con attività estrogenica, antiestrogenica e antiandrogenica che possono influenzare la steroidogenesi gonadica e la gametogenesi);  la generazione di stress ossidativo, che causa alterazioni del DNA, delle proteine ​​e dei lipidi della membrana cellulare; modifiche del DNA, attraverso la formazione di addotti del DNA, generando modifiche nell’espressione genica e/o modifiche epigenetiche, come l’alterazione della metilazione del DNA.

Gli iperfluorati, usati in una varietà di prodotti di consumo, gli ftalati, impiegati nei giocattoli per bambini, i parabeni, usati soprattutto nei profumi e nei saponi, e il bisfenolo A, utilizzato per la produzione di plastiche quotidiane, sono solo alcuni dei moltissimi agenti e sostanze inquinanti che ogni giorno impattano sulla nostra vita. Senza dimenticare i fumi tossici (diossina) sviluppati dagli incendi di materiale plastico e dai rifiuti di ogni genere abbandonati nell’ambiente. Gli studi hanno evidenziato che l’esposizione a queste sostanze, nel corso della gravidanza possono provocare mutazioni epigenetiche nel feto, con trasmissione trans-generazionale delle stesse, dagli effetti irreversibili.     Per comprendere gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla riproduzione umana sono stati pure condotti studi su pazienti sottoposti a fecondazione in vitro. In 7403 donne sottoposte al loro primo ciclo di fecondazione in vitro, sono stati valutati gli effetti degli inquinanti atmosferici in quattro diverse fasi della procedura: dal primo giorno di stimolazione ovarica al prelievo ovocitario (T1); dal recupero degli ovociti al trasferimento degli embrioni (T2); dal trasferimento degli embrioni al test di gravidanza (T3) e dal trasferimento degli embrioni all’esito della gravidanza (T4). L’inquinante con maggior impatto negativo in questo studio è stato l’NO2 (biossido di azoto) in ​​tutte le fasi del ciclo di fecondazione in vitro eccetto per la T4, mentre per altri inquinanti non sono stati osservati effetti significativi sul tasso di nati vivi. In un altro studio, invece, è stato evidenziato un aumento, statisticamente significativo, del 5% del rischio di aborto precoce all’incremento di ogni unità di PM10 nella fase follicolare.

Da alcuni studi si è osservato un significativo allungamento dei cicli mestruali (oligomenorrea) accompagnato da una diminuzione del numero di follicoli antrali con una riduzione della riserva ovarica nei gruppi più esposti agli inquinanti. Analogamente, negli studi sulle donne esposte a solventi aromatici, si è notata una maggiore incidenza di donne con oligomenorrea, con una risposta dose-dipendente. Un diverso studio sull’impatto dell’esposizione agli inquinanti, su donne poliziotte assegnate al controllo del traffico, ha rilevato un anomalo livello di estradiolo.  Da uno studio del 2012 condotto dall’Institut Marquès de Barcelona su un campione di donne di età inferiore ai 40 anni, è pure confermata una notevole correlazione fra inquinamento ambientale e infertilità femminile: l’80% delle donne con ciclo mestruale regolare non riesce a rimanere incinta a causa di tossine o altre sostanze inquinanti, che si sono accumulate nel loro organismo con il passare degli anni.  Secondo questa ricerca spagnola il rapporto fra inquinamento e infertilità femminile è prenatale, in quanto entro i primi 5 mesi il feto femmina già contiene tutta la propria riserva ovarica e, se nel grasso della madre si accumulano troppe tossine, questa riserva diminuirà e avrà una qualità inferiore.

Circa la fertilità maschile, negli ultimi decenni, nei paesi industrializzati si è assistito a un calo della qualità del liquido seminale, in termini di: riduzione della motilità degli spermatozoi, alterazione della loro morfologia (aumento dei difetti), riduzione della loro concentrazione e della loro vitalità; aumento delle anomalie nella compattazione e nella frammentazione del DNA spermatico e aumento delle aneuploidie (alterazione nel numero dei cromosomi); alterazioni ormonali, con livelli inferiori di testosterone nel sangue e, viceversa, livelli maggiori di FSH (ormone follicolo-stimolante). Oramai molti giovani già presentano situazioni alterate, come sottolineato in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Environmental Research and Public Heatlh, parte del progetto di ricerca “Eco Food Fertility“, coordinato dal Dott. Luigi Montano. Questo studio, in particolare, condotto da ricercatori della Rete Interdisciplinare Salute Ambientale e Riproduttiva (R.I.S.A.R.) con la partecipazione dell’Istituto per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), del Centro Hera di Catania, e delle Università di Napoli (Federico II), di Brescia, di Salerno e di Varese, individua negli spermatozoi le prime sentinelle dell’inquinamento ambientale, ovvero biomarcatori affidabili e anche predittivi di impatti futuri sulla salute umana.

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