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Attualità

Il ritorno della diplomazia navale e della naval power

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Nel corso dei secoli, una grande flotta militare in grado di navigare indisturbata attraverso gli oceani è stata considerata uno dei principali attributi di una grande potenza.

 di Alexander Virgili

Nel corso dei secoli, una grande flotta militare in grado di navigare indisturbata attraverso gli oceani è stata considerata uno dei principali attributi di una grande potenza. Per lungo periodo la flotta britannica, dopo aver sconfitto quelle spagnola e francese, ha dominato incontrastata, garantendo ai britannici, isolani mai dotati di un esercito molto forte, il sostanziale dominio commerciale e coloniale del mondo.  Ridimensionati in modo definitivo con la Seconda Guerra mondiale, i britannici hanno lasciato il controllo degli oceani agli Stati Uniti.  Dalla crisi dell’Unione Sovietica, la marina degli Stati Uniti non ha avuto più rivali in grado di contrastarla. Può schierare, da sola, venti portaerei di cui undici a propulsione nucleare (le più grandi e potenti navi militari oggi esistenti). Di queste ultime, ne possiede più di tutte le altre marine messe insieme. La capacità degli Stati Uniti di inviare, entro pochi giorni, in ogni parte del mondo, una di queste navi, con il suo convoglio di navi di appoggio, è stato uno dei segni più visibili della superiorità militare statunitense.  Sebbene oggi le strategie militari si stiano in parte modificando per il crescente peso di una aviazione sempre più veloce, precisa e potente, il ruolo della marina resta ancora fondamentale per il controllo di alcune rotte ed aree, per la capacità di trasporto di uomini e mezzi, per l’autonomia complessiva.  Come in altri settori, anche per la marina militare la grossa potenza emergente è quella cinese, che sta potenziando capitali, mezzi e tecnologie per portarsi ai livelli di vertice.

Alla fine del 2017, la marina militare della Cina aveva in servizio attivo 317 navi da guerra, contro le 283 della marina militare degli Stati Uniti. Significa che la flotta cinese è oggi la più numerosa al mondo, con una accelerazione nella rincorsa a quella statunitense proprio a datare dal 2013, con l’ascesa al potere dell’attuale presidente Xi Jinping.   Gli Stati Uniti dispongono ancora di una notevole superiorità qualitativa e tecnologica, e hanno la capacità di impiegare le loro navi in tutto il mondo grazie ad una ampia rete di basi di appoggio; ma la marina cinese sta recuperando anche dal punto di vista logistico.  Se l’obiettivo strategico della marina cinese è proteggere il Mar Cinese, con le sue numerose isole, e impedire l’accesso delle navi avversarie ai tratti di mare contesi, secondo una recente analisi pubblicata dal New York Times, questo obiettivo è stato oramai raggiunto.

Visto che la Cina non può ancora (ma non si sa per quanto) affrontare direttamente la marina degli Stati Uniti, le sue forze si basano soprattutto sulle capacità “A2/AA”, una sigla che sta per “Anti-Access/Area Denial”, cioè impedire l’accesso e negare l’utilizzo di un’area.  È la capacità non tanto di controllare direttamente una certa area geografica, in questo caso un tratto di mare, quanto di impedirne l’accesso alle forze nemiche che rischierebbero di subire danni troppo ingenti.  Ciò spiega anche le recenti esibizioni di forza della marina cinese in quell’area, una sorta di pressione diplomatica navale verso Taiwan, verso il Giappone e la Corea, realizzando pure esercitazioni congiunte con la marina russa.

A proposito di marina russa, alcuni osservatori si sono chiesti se la Cina non potrebbe correre il rischio di lanciarsi in una sfida tecnologica e per gli armamenti simile a quella sovietica, che portò alla crisi stessa dell’URSS per eccesso di assorbimento del bilancio militare sull’insieme delle ricchezze nazionali.

La Cina che, come nel caso del Tibet, gioca sempre sui tempi lunghi ha al momento una spesa militare in crescita ma non tanto da creare problemi all’economia nel suo insieme, per cui la sua capacità militare appare destinata a crescere nel tempo con maggiore stabilità.  In Yemen, nel 2015, all’inizio della guerra civile, navi militari e marines cinesi hanno evacuato 629 cittadini cinesi e 279 stranieri.  Ciò si collega all’altro uso della marina militare, non tanto direttamente bellico quanto di presenza e pressione diplomatica pacifica, appunto la cosiddetta “diplomazia navale”, che alcuni denominano, alla luce delle precedenti vicende storiche, “politica delle cannoniere”.  L’invio di navi ospedale o soccorso è oggi tra le più comuni manifestazioni di “diplomazia navale”. Un tempo realizzate per evacuare i propri feriti da zone belliche, oggi, in particolare dopo un lungo periodo in cui la prospettiva di un conflitto armato su vasta scala è sembrata remota per la maggior parte degli Stati, pochi hanno continuato a investire nei costi associati alla costruzione o alla gestione delle navi ospedale. Dalla metà degli anni 2000, hanno tuttavia goduto di un uso molto maggiore in una varietà di scenari di assistenza umanitaria e soccorso in caso di calamità (HADR) e ruoli di presenza navale, specialmente nel Pacifico e intorno all’America Latina e ai Caraibi. La Cina con la sua nave ospedale più moderna, la Daishan Dao o Peace Ark, è oramai spesso presente in Asia, Africa e America Latina. A parte Stati Uniti e Cina, la Russia ha mantenuto alcune navi ospedale, mentre poche altre nazioni gestiscono un numero di navi (di solito piccole) in ruoli limitati di nave ospedale.

Diverse potenze di medie dimensioni come Francia, Germania, Italia e Giappone si affidano invece alle strutture mediche a bordo delle loro navi militari più grandi, come navi anfibie o ausiliarie, anche per potenziali missioni HADR. Queste non sono navi ospedale, non godono di una protezione specifica in base alle convenzioni internazionali come le navi ospedale e non possono prendersi cura di un numero molto elevato di pazienti. Sono progettate principalmente per svolgere operazioni militari ma, allo stesso tempo, sono risorse versatili ed economiche che possono contribuire a molteplici attività, sia in patria che all’estero.  Inviate, nei tempi andati, per bloccare il transito o, all’opposto, per “invitare” ad aprire dei porti, le navi hanno continuato ad assolvere al compito di remota presenza di un Paese che voglia essere protagonista in giro per i mari.  In un contesto internazionale geopolitico in ulteriore trasformazione, la presenza navale in mari remoti dal Paese di origine sta diventando sempre più frequente: siano esse navi da guerra, navi ospedale o navi da soccorso misto, testimoniano la presenza di un Paese che, forse, si immaginava molto lontano o estraneo.

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