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Attualità

Filosofia, Ideologia e Sociatria

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Il punto del sociologo e sociatra Sergio Bevilacqua su Filosofia, Ideologia e Sociatria.

Di Sergio Bevilacqua

I sostenitori delle filosofie, che sono anche i sostenitori delle ideologie, sono capaci di bellissimi testi e dissertazioni, che colpiscono l’immaginario culturale post-scolastico che rimane per molti anche l’unico, dopo magari una formazione universitaria specialistica anche importante come quella in ingegneria o medicina. Resta, cioè, un imprinting ove si idolatra la forza del solo pensiero e la produzione di idee teoriche, astratte dal contesto reale e non verificate in alcun modo con le prassi. È chiaro a tantissimi però che il mondo di oggi è particolarmente complesso, che tutto è integrato a partire dai punti cardinali, a passare all’economia, a procedere con le migrazioni e le fusioni culturali, a seguire con la immensa disponibilità di informazioni per ognuno rese disponibili dalla ipermediatizzazione dovuta alla composizione di web e telefonia cellulare, e senza concludere ma citando l’altro fattore dirompente caratterizzato dalla emersione della Donna, del femminile nelle società umane e nell’antropologia. Non condivido l’approccio di chi non è stato sul campo, di chi si avvale di posizioni accademiche per presentarsi come profeta (falsamente umile nel migliore dei casi) e proporre il suo gioco combinatorio intellettuale e solo teorico, fatto d’informazioni raccolte sui libri per scrivere libri grazie a una idea ulteriore semmai scoperta combinando senza prove di realtà un sapere che anche i pratici devono avere, ma che mai si sognerebbero di assolutizzare. In particolare, in certi campi, come quelli delle Scienze sociali, che operano in regime di sistemi aperti e non di chiusi e oniriche ipotesi teoriche.

È proprio una diversa epistemologia, quella di Psicologia, Sociologia, Antropologia,  Linguistica, Economia e altre scienze dell’uomo, come ben sanno gli storici, i quali, se sono seri, mai e poi mai sosterrebbero ipotesi senza il supporto di un rapporto di campo con le loro caratteristiche fonti, stabili magari per loro fortuna, a differenza delle fonti dinamiche e cangianti delle discipline di cui sopra, ma pur sempre concrete e conclamate, fino a PROVA contraria.

Malgrado la mia opposizione gnoseologica a quel modo filosofico di affrontare materie che sono tutt’altro che padroneggiabili col solo pensiero, senza la clinica cioè, io capisco i filosofi e sono in grado di seguirli, perché il loro sapere è solo una parte di quello che necessita un VERO sociologo, per cui la prassi è condizione fondamentale di sapere, nel senso di saper fare, e la filosofia una importantissima ginnastica intellettuale e i suoi contenuti e lavoro una parte centrale della prima fase del processo conoscitivo ad esempio sociologico, cioè l’Euristica: ma lì si comincia, cari filosofi della società, non si finisce! Non condivido l’ideologia oggi e il solo lavoro filosofico nell’orientamento delle masse investite dalla comunicazione: sono concretamente pericolose nel mondo diluviano della Quadrivoluzione. E non è vero che non c’è alternativa al solo pensiero: esiste la prassi clinica delle società umane che ne dispiega la potenzialità e ne mostra i limiti, che agisce in termini dinamici e di work-in-progress sia nei casi specifici che nel sapere generale.

Non ho nulla contro la ideologia, ma non considero l’ideologia in generale e la sola filosofia anacronistica e pericolosa per l’orientamento politico sempre necessario al di sopra dell’esperienza pratica: che deve esserci, a sua volta al di sopra della preparazione filosofica, operativa di funzionamento e culturale.

In tutto ciò c’è molta più scienza di ciò che crede la gente, viziata da una credenza di un sapere paludato e libresco, d’antica accademia e d’erudizione vacua.

In realtà, anche coloro cui manca una gamba, quella della prassi confermatrice figlia del metodo sperimentale, dicono lo stesso: quando sono seri e non vuotamente arrivistici (l’ambiente dell’Accademia e dei talk-show è molto avvincente…) l’istanza del sapere vero la condividiamo, i valori sono molto simili. Solo, la strada nelle scienze dell’uomo è molto diversa, perché essere scienziati di campo implica una organizzazione del sistema scientifico molto diverso: lo sanno benissimo i medici, lo sanno gli psicologi, i migliori economisti quanto la clinica sia rilevante nel trattare i sistemi aperti nei quali viviamo la gran parte della nostra esistenza.

Occorre una migliore organizzazione del sapere nelle scienze umane. E, in particolare, in Sociologia, la via della clinica, la via sociatrica, come già in psicologia, definisce un diverso statuto del sapere che lascia da parte il super-opinionismo, avveduto al massimo di quattro dati statistici e sparutissima conoscenza di casi. L’Umanità e l’Italia europea, occidentale, eurasiatica e globale hanno bisogno di una rinnovata via alla politica, che non neghi i dati oggettivi e il loro agire dinamico nella mutevolezza delle società umane. E che così, acquisisca quella consapevolezza antropologica che vede il tertium datur, oltre a Psiche e a Pragma: l’esistenza di ORGA, del soggetto societario, da cui deriva la concreta evoluzione della gestione dell’Umano Consorzio, oltra l’individualismo e il collettivismo: il societarismo. Il societarismo non è il trito ed erroneo collettivismo e nemmeno lo squallido individualismo. È un passo avanti, l’abolizione di questo dualismo. Evita, ad esempio, il palese oscurantismo putiniano e la pretesa omologazione a stelle e strisce.

Ma chi ha in mano lo sviluppo della nuova organizzazione gnoseologica di tipo sociatrico? La scienza? Certo, la base è la scienza. Con i suoi elementi di certezza maggior e minore e, sopra di essa, sempre sociatrica, c’è la politica che deve agire tramite un efficiente modello democratico. Questo perché l’epistemologia di cui parliamo è quella di sistemi aperti che, da una parte sono sistemi, ma dall’altra lo diventano il più possibile con la corretta azione operativa e organica, in process e con feed-back. Tramite, diciamo, meccanismi di cultura manageriale (nell’accezione anglosassone, cioè di organizzazione e direzione. Ma, attenzione, atleti accademici e intellettualistici dell’accidia: nessun misticismo manageriale, bensì organicismo puro informato della trascendenza.

Da esperienza sociatrica riflettuta anideologicamente, le organizzazioni private producono risultati societari migliori e meno entropici delle pubbliche amministrazioni. Per lo sviluppo sono essenziali, estesamente. Le organizzazioni pubbliche invece garantiscono maggiormente i livelli di sussistenza, ma non sono fatte per lo sviluppo.

Dunque, le nuove Società Umane Globali Antropoceniche Ipermediatizzate e Ginecoforiche devono vedere la dialettica non bellica tra imprese e Stati, per lo più in ottica funzionale, consortile e sinergica.

I partiti hanno un ruolo fondamentale in democrazia sociatrica: essi devono essere organizzati e acculturati per costituire la cinghia di trasmissione tra Paese reale e Paese legale (lo Stato nella veste limitata di cui sopra).

Ovviamente è solo un approfondimento della punta dell’iceberg.

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