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Arte & Cultura

Evoluzione nella critica d’arte: il sistema estetico anti-longhiano

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Il lavoro del Longhi ci mostra come la pittura si è adoperata a dare costanza e persistenza alla memoria in un’era in cui solo il disegno, il colore e la forma in modo congiunto potevano farlo.

Di Sergio Bevilacqua

Il vortice dell’arte più odierna risalta nella sua originalità proprio per le infrazioni alla tradizione del gusto in accezione longhiana e il conseguente rinvenimento di un nuovo senso estetico. Prendiamo il maestro di tali regole: Roberto Longhi appunto. La decodifica dell’opera d’arte fatta dal piemontese è preziosa guida nella lettura e interpretazione dell’arte storica, diciamo del secondo millennio, prima dell’avvento tecnologico che ha sconvolto non solo la domanda di arte visiva ma anche i principi dell’estetica e della poiesi: la fotografia. Il lavoro del Longhi ci mostra come la pittura si è adoperata a dare costanza e persistenza alla memoria in un’era in cui solo il disegno, il colore e la forma in modo congiunto potevano farlo. La fine del millennio, con la piena affermazione di un altro modo di dare corpo alla memoria, e la quadrivoluzione in corso hanno sconvolto i canoni millenari. I riferimenti di “gusto” e “storia” sono stati totalmente divelti. Scrive Longhi: “Un’opera ci piace, è gusto; un’altra ci piace per le stesse ragioni che scopriamo essere ragioni di espressività lineare, supponiamo, o coloristica. Porre la relazione tra le due opere è anche porre il concetto della Storia dell’Arte, come almeno l’intendo io, e cioè null’altro che la storia dello svolgimento degli stili figurativi. Le vicende della linea del colore della forma per opera degli artisti di genio (…)” (R. Longhi, Breve ma veridica storia della pittura italiana).

La posizione del grande maestro degli storici dell’arte è chiarissima: impossibile rinunciare alla figurazione, al suo virtuosismo e alle infinite possibilità della sua espressione. Linea colore e forma, nel “cubo della tela” dominano il lavoro della pittura e la figurazione è regina dalla rappresentazione.

Il terzo millennio colpisce duramente sia il criterio estetico longhiano che la sua prospettiva storica: Linea colore e forma si ricavano uno spazio amletico, e l’analisi e il confronto lasciano il passo al rapporto sempre più immediato con la fruizione. La Storia riappare, ma come vestale impotente, allarga le braccia e afferma, da vera magistra vitae, che essa non è magistra vita nell’era delle quattro rivoluzioni contemporanee: non la è stata nemmeno quando sono avvenute rivoluzioni singole, figuriamoci in questo tourbillon…

Il buon artista avverte tutto ciò. Sa di essere un rivoluzionario, e per questo può essere in ansia e vivere nascosto, con la popolazione delle sue opere, icone interpretative della realtà, magari per la via della pittura e delle manifestazioni ad essa più contigue, collage: alto e basso rilievo, scultura, estrazione iconologica dalle nuove cave, concettuale.

Oggigiorno.

Nel bel mezzo dell’Apocalisse della società umana millenaria. Quella di Longhi in pittura: durata poco, va detto… Il tempo di capire come funzionava la memoria fino alla fotografia, ed ecco scatenarsi lo tsunami della quadrivoluzione, a travolgere tutte le certezze… La linea? Un virtuosismo da neofiti. Il colore? Una cifra di gusto sì, ma personale. La forma? Esiste se infranta. Il cubo della tela? Sventrato dall’allargamento alla cornice, in un movimento addirittura verso l’etere.

E dunque, se tutto ciò cessa, se gli storici dell’arte vagano accecati, a vendere i loro mammuth e dinosauri ermeneutici, addormentando i loro seguaci con la favola ormai del passato, e li fanno sdraiare addormentati sui cadaveri di almeno sei secoli di storia dell’arte (dal XIII al XIX e oltre), mentre gli aedi dell’Estetica (cosa mai ci sarà di bello in quest’apocalisse…) cantano le glorie del passato e fanno credere che possano essere ancora quelle dell’oggi… Canti funebri, requiem per la vecchia arte. Roma brucia.

L’arte dell’oggi è arte diluviana, disperata e tragicamente concreta, ti prende per il bavero o per il collo e ti grida in faccia la sua angoscia o il suo allarme o la sua ironia ferale, non puoi evitare i contatti organici, la saliva che investe il tuo viso mentre avviene la disperata comunicazione. Non c’è tempo per la linea, non c’è tempo per il colore, non c’è tempo per la forma, il cubo della tela è sventrato già da mezzo secolo, forato e tagliato da Fontana, bruciato da Burri…

Un artista moderno può essere tutto questo. Ma con classe. Perché si può vivere la propria dimensione diluviana con orgoglio e riservatezza, signorilità di confine ad esempio tra la luce della clamorosa per sempre civiltà veneziana e il rigore milanese, con la fuga del Garda verso orizzonti mitteleuropei. Eccetera eccetera.

Piccole e preziose gemme prismatiche sono sempre le opere d’arte.

Buon 2024 d’arte.

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