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Chris Obehi: canzoni e sogni del musicista dal cuore nigeriano e palermitano

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Chris Obehi che suona le sue canzoni
Tempo di lettura: 7 minuti

Un lungo viaggio lo ha condotto dall’Africa alla Sicilia, in cerca di una vita nuova; e proprio nell’Isola segue il suo destino: la musica. Parliamo di Chris Obehi, cantante e musicista nigeriano che a ottobre ha pubblicato il video ufficiale del singolo “Non siamo pesci, siamo umani” e dal 20 al 29 ottobre sarà a Teatro Biondo di Palermo nel cast dello spettacolo “Invisibili“. 

Immaginate di osservare un pentagramma a nove linee, o meglio onde del mare. Una quieta e una agitata; tracce su cui surfano note musicali di ricordi belli e difficili cantati da un compositore. Il suo nome è Christopher Goddey in arte Chris Obehi, musicista e cantante nigeriano di 25 anni arrivato in Italia nel 2015, in fuga dalle persecuzioni di Boko Haram. Dal carcere in Libia, fino all’arrivo in Sicilia, la vita di Chris è segnata da esperienze dure, come il rischio di essere venduto e di morire in mare, oltreché fare i conti con una lingua incomprensibile e l’assenza di vitto e alloggio. Ostacoli, superati sempre con la speranza, voglia di fare e la sua fonte di vita: la musica.

Una passione che nasce in Nigeria, dove diventa bassista (non a caso Obehi significa “mani d’angelo” in lingua Esan), e plasma in Sicilia dove si afferma come cantante. Inglese, siciliano, italiano Esan e Pidgin nigeriano sono le lingue usate nelle sue canzoni, nove tracce contenute nell’album OBEHI, pubblicato nel 2020 con 800A Records. Tra queste, la canzone “Cu ti lu dissi” di Rosa Balistreri, omaggio alla Sicilia che gli è entrata nel cuore e nelle corde vocali.   

A ritmo afrobeat, pop e reggae, Chris fa esplorare il suo mondo fatto di amore, ricordi africani e libertà. Un album che è risultato di una lunga gavetta con oltre cento concerti in giro per la Sicilia, Sardegna e Lombardia. E anche eventi, festival e opere, come il memoriale di Peppino Impastato (Cinisi), Mondo Sounds Festival (San Vito Lo Capo), FestiValle (Agrigento) e Meeting Del Mare (Marina Di Camerota); il “Winter Journey” di Ludovico Einaudi al Teatro Massimo di Palermo. Non mancano pure i riconoscimenti. Sempre nel 2019 vince la Targa SiaeGiovane Autore a “Musica contro le Mafie”, mentre nel 2020 a lui va il XIX Premio Rosa Balistreri e Alberto Favara.

Un percorso, che non gli fa mai perdere di vista la sua essenza e le origini; infatti, nel 2020 realizza uno dei suoi grandi sogni: tornare in Nigeria per rivedere la famiglia e registrare musica con gli Egypt80, band di Fela Kuti, musicista nigeriano noto per aver inventato il genere Afrobeat. Una permanenza impressa nel documentario Back to Motnerland sui cambiamenti della sua terra negli anni. 

In cerca sempre del suo tempo intimo per riflettere, leggere e scrivere ecco cosa ci ha raccontato questo artista che suona a orecchio pianoforte, percussione e come dice lui con voce sorridente “campanello, bicchiere, piatti….” che il 3 ottobre ha pubblicato il video ufficiale del singolo Non siamo pesci. Mentre dal 20 al 29 ottobre sarà in scena al Teatro Biondo di Palermo con lo spettacolo “Invisibili” del regista francese Aurélien Bory.  

 Che ricordo hai della tua infanzia? 

«Ho avuto un’infanzia non così difficile, perché dentro la mia famiglia c’era tanta musica. La mamma canta musica gospel, quindi ho da sempre questa relazione con la musica. Quando ero in Nigeria sono andato a scuola e ho dedicato la mia vita alla musica, perché è una cosa che sento. Quando non la sento per un giorno, allora c’è qualcosa che non funziona nella mia vita».   

 

Nella tua vita hai dovuto affrontare momenti difficili come il carcere in Libia e un viaggio in mare. Ci parli di quel periodo? 

«La mia storia è lunghissima, c’è molto dolore ed è difficile esprimermi perché non è facile.  Prima di arrivare con il gommone a Lampedusa ho passato il Niger, Agadez, e la Libia, dove a un certo punto mi sono sentito malissimo e le persone vicino a me mi hanno aiutato. I soldati arabi picchiavano e sparavano alle persone. Ognuno di noi andava incontro al proprio destino. Ad Agadez, non è stato facile perché ho rischiato di essere anche venduto. Oggi dico sempre che la vita mi ha fatto il bel regalo di vivere e, nonostante le cose che ho vissuto, sono contento; ma sono stanco per i miei fratelli e sorelle rimasti in mare e che non ce l’hanno fatta» 

 

La Sicilia però come dici a La voce di New Yorknon era la destinazione finale, ma alla fine hai deciso di rimanere“. Perché hai deciso di rimanere? 

«Arrivato a Lampedusa mi hanno portato a Messina. Quando ero dentro questa grande nave pensavo che andassimo in un paese dove si parlava inglese, non mi aspettavo un posto dove si parla italiano; perché in Nigeria parliamo inglese come lingua ufficiale. Quindi, sono arrivato nella comunità di Messina, dove mi dicevano “Buongiorno, come stai?” e io non sapevo come comunicare; l’unico modo era l’inglese, a volte capivano e altre no. Dopo 4 mesi a Messina, quando è arrivato il documento, ho pensato che sarei andato in un altro paese sempre dove si parlava inglese, invece sono arrivato a Palermo, a Ballarò.

Da lì, mi sono detto “Dove sono?”; vivere qui non è stato facile. Ho cercato di studiare la lingua e sono stato anche in una comunità per minorenni. A 18 anni mi hanno trasferito in un’altro sprar per migranti e lì ho aspettato per prendere un altro documento. Poi, mi hanno detto che sarei dovuto andare via e quello è stato un momento difficilissimo. Ho trovato lavoro a Vicenza in un TNT; era un bel lavoro, ma mi mancava la musica. Quando ho finito il contratto di 4 mesi, gli amici a Palermo mi dicevano “Dove sei?”,  e così sono tornato in Sicilia. La musica mi ha sempre indicato la via».  

 

Come sei riuscito a trovare un posto dove vivere e lavorare? 

«È stato ancora più difficile. Poi, per fortuna, ho trovato una casa a Ballarò che condivido con un ragazzo gambiano. Ho pensato di fare musica per le strade di Palermo, nei bar e locali con la chitarra in mano. Da lì, ho cantato la canzone di Rosa Balestrieri che ho sentito da un amico palermitano. Poi, ho incontrato amici che mi hanno invitato a fare jam session insieme e ho fatto un po’ di amicizia». 

 

Cosa ti piace di più della Sicilia? 

«Le persone. Dico questo, perché i miei genitori mi hanno sempre insegnato che quando vai in un posto devi essere gentile, perché le persone sono più importanti delle cose. Quando sono arrivato qui, le persone sono state ospitali e alcune non sapevano cosa avevo vissuto o chi fossi, però mi hanno dato le loro chiavi per entrare come un figlio; quindi, anche questa è una cosa speciale. Poi, ovviamente mi piacciono il cibo, la musica. Mi piace tutto» 

Chris Obehi - Ph. Fabio Florio

Chris Obehi – Ph. Fabio Florio

 Qual è la parola siciliana che ti piace usare? 

«Amunì! Quando sono andato a Ballarò sentivo gli amici che mi dicevano “Com’è cumpari a posto? Vai a suonare stasera? Amunì dai, ci vediamo lì” (Ride). Quindi mi piace, come let’s go, let’s go!». 

 

Quando nasce la passione per la musica? 

«Quando ero in Nigeria sognavo di diventare musicista, ma non pensavo di cantare. Suonavo il basso e sognavo di fare musica con altre persone. Nella mia testa ho sempre creduto in questo sogno. Quando sono arrivato in Italia ero timidissimo, cantavo solo in stanza o in bagno. Tutto è iniziato a Palermo quando ho sentito la canzone di Rosa Balistreri; mamma mia! Così ho cominciato a cantare questa e altre canzoni e a scrivere la mia storia». 

 

Il tuo primo album dal titolo Obehi appunto è uscito nel 2020. Da cosa hai preso ispirazione? 

«Dalla mia vita; tutte le canzoni parlano di quello che mi è accaduto. “Non siamo pesci” parla di quando ero dentro il gommone e ho visto un bimbo che era solo, l’ho preso vicino a me e per fortuna è arrivata la nave; l’ho lasciato, perché dovevano passare prima i bambini con le donne e invece mi hanno guardato e mi hanno detto “Sei con il bambino, vieni con noi” e sono salito con loro a bordo. Hanno salvato centinaia di persone e poi ho visto il gommone affondare; da lì sono rimasto scioccato, perché se il bimbo non fosse stato con me non sarei qui. Quando sono arrivato a Lampedusa l’ho visto e con lui c’era la mamma; mi ha guardato e mi ha lasciato un sorriso. Non l’ho rivisto più, spero sia in qualche posto dove sta bene. Mi ha salvato la vita, come ho salvato lui. 

Mamma Africa” invece l’ho scritto quando ero in una comunità a Palermo; ero solo e non avevo la mia famiglia. Invece “Mr Oga” è arrivato quando ho visto un video sull’ingiustizia del mio paese e ho pensato di denunciare la corruzione e la politica nigeriana. “Walaho” (“per favore”) l’ho scritta per mia mamma, è una canzone dove le dico ti voglio bene e di guidarmi verso la strada giusta».   

 

Il disco è stato ascoltato in 42 paesi del mondo, che effetto fa? 

«Sono soddisfazioni! È una cosa bellissima, vuol dire che le persone sentono e condividono quello che faccio. Tutto quello che è accaduto è stato proprio per una mano d’angelo». 

 

Il 3 ottobre, invece, è uscito il video ufficiale di Non siamo pesci. A chi lo dedichi? 

«Per il video voglio ringraziare il mio amico Giuseppe Mazzola. L’ho conosciuto nell’associazione Arte Migrante qui a Palermo, dove alcune volte vado a suonare; è una persona davvero speciale e un giorno, poiché gli piace “Non siamo pesci”, mi ha detto: “Chris ho fatto un video per questa canzone”. L’ho visto e ho pensato fosse perfetto come video ufficiale per il modo in cui lo ha interpretato; mi ha fatto commuovere. È uscito il 3 ottobre proprio per celebrare la giornata delle vittime del Mediterraneo, le 20.000 persone morte in mare» 

Chris Obehi – Ph. Fabio Florio

 Nel 2021 il ritorno alle origini in Nigeria, dove registri musica con gli Egypt80 gruppo di Fela Kuti. Com’è stata questa esperienza? 

«Bellissima! Dico sempre alle persone, ogni cosa che fai sogna sempre in grande, anche se una cosa che è impossibile. Ho sempre sognato di fare qualcosa con Fela Kuti, che non è in vita, e poi ho avuto il piacere di collaborare con il suo grande gruppo; sono andato in Nigeria e ho registrato con loro e, nel frattempo, ho girato un documentario (che deve ancora uscire) Back to Motherland, che parla della situazione in Nigeria da quando sono andato via, a oggi. Poi, un’altra cosa bellissima è che ho rivisto i miei genitori dopo 7 anni; sono stato con gli amici, ho mangiato e giocato».  

 

Cosa rappresenta per te la musica? 

«La vita! La vita senza la musica non ha senso per me. Quando c’è statala pandemia cosa si faceva? Le persone uscivano in balcone con la chitarra a suonare, perché la musica è una cura per l’anima, fa bene. È come l’aria; quando ti manca cosa succede? Muori. Quindi per me la musica è l’aria. Serve a esprimermi e a sentire me stesso» 

 

 È vero che hai imparato a suonare la chitarra grazie a YouTube? 

«Sì, sono autodidatta. Tutto è possibile!» 

 

Se dovessi scegliere un cantante con cui esibirti, chi sarebbe? 

«I Coldplay, che ho cominciato ad ascoltare quando sono arrivato in Italia; invece artisti italiani Levante, Jovanotti, Ligabue e Alessandra Amoroso». 

 

Qual è il tuo sogno? 

«Un sacco di roba (ride). È un segreto». 

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