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L’Emigrazione italiana non va soltanto all’estero – Italian migration does not go only overseas

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L’Emigrazione italiana non va soltanto all’estero

Fin troppo spesso abbiamo il vizio di pensare all’emigrazione italiana come un fenomeno di grandi masse di uomini e donne verso l’estero, ma come dimostra il grande film di Lucchino Visconti  “Rocco e i suoi fratelli” il fenomeno ha visto anche il movimento di grandi numeri di lavoratori meridionali verso i centri industriali settentrionali.
Di Gianni Pezzano

Fin troppo spesso abbiamo il vizio di pensare all’emigrazione italiana come un fenomeno di grandi masse di uomini e donne verso l’estero, ma come dimostra il grande film di Lucchino Visconti  “Rocco e i suoi fratelli” il fenomeno ha visto anche il movimento di grandi numeri di lavoratori meridionali verso i centri industriali settentrionali. Il film non ha mai smesso di essere attuale e, come l’emigrazione verso l’estero, continua a svolgere un ruolo determinante per ogni aspetto della vita del paese.

Per noi nati e cresciuti all’estero da genitori italiani, il concetto del paese di origine dei nostri genitori ci fa pensare che l’Italia sia molto più omogenea di quel che è in effetti, e a volte dobbiamo fare un passo indietro e guardare la realtà politica e sociale del motore storico più importante non solo del nostro paese, ma del mondo, l’emigrazione.

La stazione di Vercelli
Una notte alla fine di una visita a mia zia in Piemonte durante un viaggio nel Bel Paese mi trovavo alla stazione di Vercelli, aspettando il treno che doveva portarmi in Calabria dalla famiglia di mio padre. Inevitabilmente è arrivato l’annuncio del ritardo del treno e mi sono seduto su una panchina ad aspettare. Dopo pochi minuti si è avvicinato un signore di una certa età che camminava con l’assistenza di un bastone, per chiedermi con un forte accento calabrese se poteva sedersi. Naturalmente ho risposto di si e abbiamo cominciato a parlare. Quello scambio mi rimane impresso nella mente per molti motivi.

Lui ha iniziato a parlare del ritorno a Condofuri (RC) e gli ho spiegato che dovevo andare a Pardesca  (RC). Poi si è presentato e, come lui, ho risposto con nome e cognome. Dopo pochi secondi mi ha lasciato di stucco quando mi ha chiesto se avessi due zii di nome Giuseppe e Antonio. Non volevo credere che conoscesse la mia famiglia. “Si,” gli ho risposto, “Ma sa che zio Giuseppe è morto nel 1948?”.  “Certo che lo so, abbiamo fatto la guerra insieme e sono anche andato a casa dei genitori per incontrarlo”.

Con quelle poche parole due mondi di emigrazione italiana si sono incontrati.

Lui si trovava a Vercelli perché ci abitava una figlia e ogni anno lui, ormai rimasto vedovo e quindi solo, passava qualche mese con lei ed era di ritorno perché un altro figlio emigrato nel nord del paese doveva tornare per passare l’estate al paese di nascita. Purtroppo non abbiamo potuto parlare più perché è arrivato il treno e dovevamo separarci per fare ritorno in Calabria in cabine diverse di carrozze diverse.

Ma quello scambio mi è sempre rimasto nella mente perché è la faccia della tristezza dell’emigrazione italiana dal sud al nord. Quell’uomo di una settantina di anni era costretto a viaggiare da solo per poter stare con i figli, perché in casa non aveva più nessuno.

Ma questo non è l’unico aspetto della vita degli emigrati italiani nel Bel Paese.

La Zia
Mia zia in Piemonte era emigrata in Australia negli anni 50 e vi trovò il suo marito piemontese. Nel 1968 decisero di tornare in Piemonte con la figlia Marina, che allora aveva quattro anni, per fare una vita nuova nel paese natio di zio. Purtroppo, l’accoglienza dei parenti nuovi non fu affatto quel che lei si aspettava.

Benché nessuno poteva dire che l’avessero trattata davvero male, non è mai arrivato alcun livello di vera confidenza tra lei e i cognati. Sorella di mia madre, originaria del Lazio, non nascondevano il fatto che per loro lei era “terrona” e almeno una cognata decise di parlare con zia con il lei, invece del tu.

Ora zia, come il signore calabrese, si trova solo dopo la morte di Marina a diciotto anni e del marito due anni dopo. Lei non ha mai voluto tornare al paese di nascita per stare con i parenti perché non vuole ancora oggi stare lontana dalla tombe dei suoi cari.

Gli stranieri italiani
Come le esperienze di chi è emigrato all’estero, la vita dei migranti all’interno è segnata dai luoghi comuni, dai sospetti dei nuovi vicini di casa che non si fidano dei nuovi dialetti e le tradizioni diverse. Per darne un esempio, un giorno la famiglia dello zio piemontese ha deciso di organizzare una festa e ogni componente doveva portare un piatto da casa. Zia ha preparato con gioia i carciofi che lei, come mia madre, adorava, solo per sentire dire da un cognato che quello era “roba per meridionali, non per noi piemontesi”.

Esperienze come queste sono molto simili a quelle di noi italiani all’estero e per questo motivo qualsiasi raccolta di storie dell’emigrazione italiana deve comprendere anche la vita di chi si è trasferito da una regione italiana a un’altra.

Allo stesso modo, dovremo guardare la vita degli studenti nelle scuole e i lavoratori nelle fabbriche e non abbiamo dubbi che in molti di questi luoghi l’inevitabile bullismo a scapito dei nuovi arrivati sia stato particolarmente feroce verso “gli stranieri italiani”.

Sentiamo fin troppo spesso le battute verso lo “straniero” di turno, ma è sempre difficile capire quando una battuta sia scherzosa, oppure intenzionalmente offensiva.

Famiglie spaccate
Benché relativamente vicina in paragone all’emigrazione verso l’estero, e in modo particolare a quella oltreoceano, l’emigrazione in Italia ha spaccato le famiglie. Malgrado tutta la buona volontà dei parenti di rimanere in contatto, le distanze e gli ambienti diversi portano le famiglie a spaccarsi, come succede spesso tra parenti in Italia e quelli all’estero

Le esperienze diverse, l’assunzione di nuove usanze e tradizioni, gli inevitabili compromessi nel modo di vivere per evitare scontri con i nuovi vicini di casa e i compagni d lavoro, vogliono dir che chi lascia il paese di nascita torna a casa come una persona diversa e, altrettanto inevitabilmente, anche i parenti rimasti a casa cambiano in quegli anni di separazione.

A volte queste differenze tra parenti si trasformano in insofferenza verso qualche parente perché chi rimane in casa non può, oppure non vuole,  capire quel che l’emigrato a volte deve fare per fare la propria vita nel nuovo luogo e lavoro.

Senza scordare poi, che i figli degli emigrati conosceranno e con il tempo si sposeranno con altri del paese o città di residenza e questo può portare alla rottura definitiva con la famiglia rimasta a casa.

Il Paradosso e le storie
Il risultato di tutto questo è la situazione paradossale che in molti casi chi si trasferisce in altre regioni in Italia ha più in comune con chi si trasferisce all’estero di quel che condivide con chi rimane nel paese d’origine.

Queste similitudini e differenze devono far parte di qualsiasi studio serio sull’effetto dell’emigrazione all’interno di famiglie, come anche alla vita quotidiana di tutto il paese.

Mentre aspettiamo l’invio delle prime storie dagli emigrati italiani all’estero e magari i loro figli e discendenti, non possiamo fare a meno di fare lo stesso appello verso quei milioni di italiani che ora abitano in province lontane da quelle di nascita.

L’emigrazione italiana è una parte fondamentale della Storia del paese, ma è anche una parte che pochi conoscono bene in Italia, in particolar modo da quella grande parte della popolazione che non si è mai mossa dei luoghi di nascita.

Capire le moltissime realtà dell’Emigrazione italiana non è e non deve essere un progetto per pochi, è un progetto che dovrebbe coinvolgere tutti perché, in tutti i sensi, è davvero la Storia d’Italia.

I racconti possono essere inviati a: gianni.pezzano@dailycases.it

Italian migration does not go only overseas

All too often we have the bad habit of thinking of Italian migration as a phenomenon of great masses of men and women moving overseas, but as Lucchino Visconti’s great film “Rocco and his brothers” shows, the phenomenon also saw the movement of great masses of workers from the South of Italy towards the industrial cities in the North of the country
By Gianni Pezzano

All too often we have the bad habit of thinking of Italian migration as a phenomenon of great masses of men and women moving overseas, but as Lucchino Visconti’s great film “Rocco and his brothers” shows, the phenomenon also saw the movement of great masses of workers from the South of Italy towards the industrial cities in the North of the country. The film has never stopped being current and, just like migration overseas, continues to play a decisive part in every aspect of the country’s life.

Then, for us born and raised overseas of Italian parents, the concept we have of the country of birth of our parents makes us think that Italy is much more homogeneous that what it really is and at times we have to take a step back and look at the political and social reality of the most important motor of history not only for our country, but for the world, Migration.

Vercelli railway station
One night at the end of a visit to an aunt in Piedmont during a trip to Italy, I was at the Vercelli railway station waiting for a train to Calabria to visit my father’s family. Inevitably there came the announcement of a delay and I sat on a bench to wait for the train. After a few minutes an aged gentlemen of with a walking stick asked me in a strong Calabrese accent if he could sit next to me. Naturally I said yes and we began to talk. For many reasons that conversation has remained stamped on my mind since then.

He began talking about his return to Condofuri in Calabria and I told him that I had to go back to Pardesca not too far away. Then he presented himself and, as did he, I answered with my name and surname. After a few seconds he asked me if I had two uncles called Giuseppe and Antonio. I did not want to believe he knew my family. “Yes,” I answered, “But do you know that uncle Giuseppe died in 1948?” “Of course I know, we fought together in the ear and I even went to his parents’ home to meet up with him”.

With those few words two worlds of Italian migration met.

He was in Vercelli because a daughter lived there and every year, he was a widow and therefore alone, he spent a few months with her and he was going back because another son who had migrated to the north of the country was going back to spend the summer in his home town. Sadly we could not talk further as the train had arrived and we had to go our separate ways to go back to Calabria in different cabins of different wagons.

But I always remembered that exchange because it was the face of the sadness of Italian migration from the south to the north. That seventy something old man was forced to travel alone in order to stay with his children because he no longer had anybody at home.

But this is not the only aspect of the lives of Italian migrants in Italy.

The aunt
My aunt in Piedmont had migrated to Australia in the 1950s and there she met her Piedmontese husband.  In 1968 they decided to go back to Piedmont with their daughter Marina who was then four years old, to start a new life in his home town. Sadly the welcome by the new relatives was not at all what she expected.

Although nobody could say she was treated truly badly, there was never any level of true confidentiality between her and the in-laws. My mother’s sister and from the Lazio region they never hid the fact that for them she was a terrona (prejudicial term for Southerner) and at least one sister in law decided to speak to her with the highly formal “lei”, instead of the friendly “tu”.

Now my aunt, just like the gentleman from Calabria, is alone after the deaths of Marina at eighteen years of age and her husband two years later. She never wanted to go back to her home town to live with relatives because, even today, she does not want to be far away from the tombs of the loved ones.

Italian foreigners
Just like the experiences of those who migrated overseas, the lives of those who migrated within the country is marked by stereotypes, the suspicions of the new neighbours who do not trust the new accents and dialects and the different traditions. To give one example, one day my uncle’s Piedmontese family decided to organize a party and everyone had to bring a plate from home. My aunt happily prepared artichokes which she then, just like my mother, only to have a brother in law say “this stuff is for Southerners not for us Piedmontese”.

Experiences such as this are very similar to us Italians overseas and for this reason any collection of stories of Italian migration must also include of those who moved from one Italian region to another.

In the same way we must look at the lives of students at school and workers in factories and we have no doubt that in many of these places the inevitable bullying of the new arrivals was especially fierce towards the “Italian foreigners”.

Too often we hear jokes towards the “foreigner”, but it is always hard to understand if the joke is meant to be funny, or intentionally offensive.

Families divided
Although relatively close compared to migration overseas, and especially to those in other continents, migration in Italy has divided families. Despite the goodwill of relatives to keep in touch, the distances and the different settings mean that families are divided, as often happens between relatives in Italy and those overseas.

Different experiences, taking up new habits and traditions, the inevitable compromises in lifestyle in order to avoiding clashing with the new neighbours and work colleagues mean that who leaves the home town comes home a different person and, just as inevitably, even the relatives who stayed at home changes over the years of separation.

Sometime these differences become intolerance towards a relative because who stays at home cannot or does not want to understand what the migrant sometimes has to do to make their lives in a new place and job.

Without forgetting that the children of migrants will meet and over time marry with others in the town or city of residence and this brings about the definitive division with the family left at home.

The Paradox and the stories

The result of all this is the paradoxical situation that in many cases those who migrated to other regions have more in common with those who moved overseas than what they share with those who stayed in the home town.

These similarities and differences must form part of any serious study of the effect of migration within families, just as on daily life in all the country.

While we await the arrival of the first stories from Italian migrants overseas and hopefully their children and descendants, we cannot do less than make the same appeal to those millions of Italians who now live in provinces far away from their places of birth.

Italian migration is an essential part of country’s history, but also a part that few know in Italy, especially that vast majority of the population that never moved from their places of birth.

Understanding the many realities of Italian migration is not and must not be a project for a few; it is a project that should involve everybody because, in every way, it is truly Italy’s history.

The stories can be sent to: gianni.pezzano@dailycases.it

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