Attualità
Lucusta, l’avvelenatrice seriale che mise in ginocchio nobili e imperatori

Lucusta, arrivata nella Città Eterna da adolescente come schiava, riuscì negli anni a riscattarsi e ad aprire un emporio sul Palatino. Qui vendeva elisir e veleni di ogni tipo
Lucusta, secondo Alexandre Dumas nel suo Conte di Montecristo, è stata “uno di quegli orribili e misteriosi fenomeni che ciascun secolo produce”. In questo caso specifico parliamo del 1° secolo d.C. e non possiamo che dare ragione allo scrittore che, prima ancora che salisse agli onori della cronaca nera Jack lo Squartatore, senza saperlo, stava descrivendo la prima serial killer riconosciuta della storia.
In effetti, forse, non può essere considerata una vera e propria serial killer così come la definiremmo oggi, ma più un sicario prezzolato ed efficientissimo al soldo, la maggior parte delle volte, dei potenti dell’epoca. I tempi erano, infatti, quelli dell’Impero Romano, in cui le classi più ricche dell’Urbe non esitavano a sbarazzarsi di parenti, amanti e nemici indesiderati, ma erano anche e soprattutto i tempi degli intrighi di palazzo, delle lotte di successione al trono di Roma, terra di vizio, corruzione e potere.
Lucusta, arrivata nella Città Eterna da adolescente come schiava, riuscì negli anni a riscattarsi e ad aprire un emporio sul Palatino. Qui vendeva elisir e veleni di ogni tipo, che preparava lei stessa, grazie alle conoscenze di farmacologia ed erbologia apprese durante la sua infanzia in Gallia, a contatto con i druidi e immersa nella natura. La sua particolare competenza non passò inosservata a Roma tanto che, dei suoi servigi approfittarono anche personaggi illustri del calibro di Messalina, stanca dell’amante Tito, e di Agrippina Minore, interessata a eliminare l’imperatore Claudio, suo marito, per agevolare l’ascesa al trono del proprio figlio Nerone, avuto dal precedente matrimonio con Gneo Domizio Enobardo, ma adottato da Claudio.
Pare che proprio Lucusta, preparò il piatto di funghi della specie Amanita Phalloides, una delle più velenose, che fu letale per l’imperatore. Era il 13 ottobre del 54, festa dei Fontinalia, dedicata al dio Fons. Quel giorno, mentre Agrippina trattenne i figli naturali di Claudio nelle loro stanze nascondendo loro la notizia della morte del padre, Nerone annunciò la triste novella al popolo, convincendolo a proclamare lui come nuovo imperatore.
L’anno successivo Lucusta fu colta in fragrante durante un altro avvelenamento e, secondo una legge del tempo che bandiva maghi, astrologi e streghe, venne condannata a morte. L’intercessione di Nerone, che mandò un tribuno del pretorio a fermare l’esecuzione, le salvò la vita. Ma la clemenza dell’imperatore pretendeva un prezzo in cambio: Nerone le ordinò di avvelenare Britannico, figlio quattordicenne del defunto Claudio e legittimo pretendente al trono. A missione compiuta, Lucusta avrebbe ricevuto la totale impunità delle sue azioni passate e future, oltre che diverse terre in dono.
Lucusta fece diversi tentativi per compiere la sua missione: la prima volta, con l’intento di far sembrare la morte di Britannico un decesso naturale, somministrò una dose di veleno troppo bassa, che provocò solo una scarica di diarrea nella sua vittima. Riprovò testando la sua polvere velenosa su una capra, poi su un maiale e infine su uno schiavo, finché non trovò la giusta dose per uccidere un uomo nel più breve tempo possibile, così come richiesto da Nerone, preoccupato che un protrarsi dell’agonia potesse in qualche modo ritorcerglisi contro.
L’occasione propizia si ebbe a un banchetto a cui partecipava anche Britannico, che però, memore della morte del padre, era solito far assaggiare le pietanze e le bevande prima a uno schiavo. L’intoppo fu risolto in maniera esemplare da Lucusta, che oltre all’efficacia aveva tra le sue caratteristiche anche l’efficienza. Venne servita a Britannico una coppa di vino senza veleno, ma eccessivamente caldo. Al momento dell’assaggio dello schiavo, quindi, questo non ebbe conseguenze letali, però lamentò il fatto che la bevanda fosse troppo calda. Rassicurato Britannico, venne allora aggiunta acqua fredda così da stemperare il vino, con il piccolo accorgimento che la brocca contenente l’acqua era stata avvelenata.
Britannico si accasciò in preda alle convulsioni. Gli occhi dei commensali si puntarono immediatamente su Nerone che, senza battere ciglio, riferì che doveva trattarsi di uno dei tanti attacchi epilettici di cui soffriva il giovane e che presto si sarebbe ripreso. Britannico però fu sepolto la notte stessa, senza clamori né onori, in Campo Marzio.
Lucusta poté così proseguire la sua attività diventando l’avvelenatrice ufficiale di corte e aprendo addirittura una scuola per insegnare le sue arti e conoscenze ad altre giovani donne. La sua escalation di delitti fu interrotta solo con la morte del suo protettore Nerone. Nel 68, infatti, scoppiata l’ultima rivolta contro l’imperatore, fu Lucusta a consegnargli il veleno per potersi suicidare. Nerone non lo usò mai, decidendo di pugnalarsi alla gola, aiutato dal segretario Epafrodito.
Pochi mesi e, il 9 gennaio del 69, durante gli Agonalia dedicati al dio Giano, Lucusta seguì Nerone nella tomba, a seguito della condanna a morte decisa dal nuovo imperatore Galba. Fu riconosciuta responsabile dall’imperatore di 400 delitti, ma oggi si pensa che quelli assolutamente certi non siano più di sette e che probabilmente ne commise altri, senza però toccare le punte millantate da Galba.
Leggenda vuole che la morte di Lucusta sia stata straziante, essendo stata stuprata nella pubblica piazza da una giraffa ammaestrata e in seguito data in pasto a bestie feroci. La versione meno pittoresca, ma altrettanto atroce, è che fu condotta in catene attraverso Roma, poi strangolata e, per finire, il suo cadavere bruciato sul rogo.
Così morì la donna al centro dei maggiori complotti e omicidi politici dell’antica Roma. A chi piace definirla la prima serial killer documentata della storia, si può rispondere che sicuramente fu una pluriomicida, una sicaria eccezionale e tenace, che mise letteralmente in ginocchio nobili e imperatori.