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Diritti umani

A Roma inizia la Peregrinatio Livatino

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La sacra reliquia del Beato Livatino ha raggiunto la Capitale dando avvio alle celebrazioni della settimana rivolta alla prima solenne Peregrinatio dedicata al Giudice martire della mafia.

Il Prof. Armao ha ricordato i tratti fondamentali della formazione giuridica del giudice siciliano

È partita da due giorni, dalla Cattedrale Arcivescovile Metropolitana di Agrigento, la sacra reliquia del Beato Livatino con una scorta a cura del Ministero della Giustizia per raggiungere la capitale e dare così ufficialmente avvio alle celebrazioni della settimana rivolta alla prima solenne Peregrinatio dedicata al Giudice martire della mafia. nella serata del 14, è stata accolta da Monsignor Daniele Libanori, Vescovo Ausiliare di Roma con una funzione strettamente riservata che si è tenuta nella Basilica di San Marco al Campidoglio dove un nutrito gruppo di fedeli ha potuto venerare la reliquia del grande siciliano ucciso dalla mafia nel 1990 con un agguato avvenuto sulla strada tra Canicattì e Agrigento e poi beatificato lo scorso anno.
La reliquia sarà esposta dal 14 al 21 gennaio, nelle sedi delle massime istituzioni italiane, da Montecitorio al Csm, dal ministero della Giustizia al comando della Guardia di Finanza. Previsti due convegni al Senato e in Confindustria, con la Messa conclusiva nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. L’evento fortemente voluto e programmato dalla Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, è organizzato dal Comitato “Peregrinatio Beati Rosarii Livatino“ presieduto dal Primicerio dell’Arciconfraternita e composto da: Mons. Gianni Fusco, Dott. Carlo A. Adami, Dott. Giulio Adamo, Prof. Avv. Gaetano Armao, Dott. Maurizio Gallo, Dott Diego Marchiori, Avv. Dott. Domenico Menorello, Avv. Dott. Stefano Trubian, Dott.ssa Paola Zuliani.
La sacra reliquia è racchiusa in una teca che porta i simboli della vita e della fede di Livatino. La camicia insanguinata indossata il giorno del suo assassinio è conservata in una preziosa struttura in argento sormontata da una croce e dalle lettere ‘S.T.D. – Sub Tutela Dei” il motto che descrive la sua vita cristiana che spesso Livatino riportava nei suoi scritti. Alla base della struttura il Vangelo che sostiene il diritto in una chiara rappresentazione simbolica dell’esistenza di Livatino fondata sulle parole di Gesù e sull’esercizio irreprensibile del suo lavoro di giudice.

Il Prof. Gaetano Armao racconta la vita esemplare del beato Rosario Livatino

Intervenendo all’incontro di presentazione alla stampa della Peregrinatio della Reliquia del Beato Rosario Livatino, tenutasi a Roma nella sala conferenze di S. Salvatore in Lauro, il Prof. Gaetano Armao, del Dipartimento di Scienze politiche e delle relazioni internazionali presso l’Università di Palermo, ha ricordato i tratti fondamentali ed unici della formazione giuridica del beato Rosario Livatino.

“Il beato Livatino appartiene alla schiera dei 10 laureati in giurisprudenza dell’Ateneo palermitano caduti nella difesa delle istituzioni repubblicane contro le criminalità mafiosa, martiri della giustizia; donne e uomini di diritto, magistrati e componenti delle forze dell’ordine, uccisi per la caparbietà delle loro indagini e la solare incorruttibilità.
Segni di contraddizione di una terra a lungo sotto scacco dei poteri criminali e che ha potuto rialzarsi grazie al loro impegno estremo, alla testimonianza di fedeltà alla Repubblica ed ai valori della libertà e dello Stato di diritto, ma anche di istituzioni che per troppo tempo erano, e per alcuni versi sono restate, permeabili ai loschi interessi del potere mafioso.
Permettetemi di ricordarli: Pietro Scaglione (1906-1971), Gaetano Costa (1916-1980), Antonino Saetta (1922-1988), Rocco Chinnici (1925-1983), Giovanni Falcone (1939-1992), Paolo Borsellino (1940-1992), Francesca Morvillo (1945-1992), Giuseppe Montana (1951-1985), Antonino Cassarà (1947-1985) e Rosario Livatino (1952-1990).

Livatino visse con dedizione ed impegno il periodo della formazione universitaria, dimostrando, già in fase precoce, la passione per lo studio del diritto e la convinzione che il cattolico deve offrire il massimo di sè nelle cose che fa. In pochi anni conseguì la laurea in giurisprudenza, con ottimi voti e con il risultato finale di 110 e la lode discutendo una tesi in diritto penale dal titolo “L’autore mediato”, relatore il prof. Antonio Pagliaro, nell’anno accademico 1974-75.

Subito dopo si iscrive al corso di laurea in Scienze Politiche (allora ancora interna alla facoltà di Giurisprudenza) conseguendo il diploma plausibilmente uno/due anni dopo2 insieme a quello di perfezionamento in diritto regionale. Ancora non abbiamo rinvenuto la dissertazione finale per la quale sono in corso le ricerche presso l’Archivio Storico dell’Ateneo e che renderemo pubblica con il Rettore ed il Direttore del Dipartimento di scienze politiche a breve.

Come emerge dalle notizie biografiche il dott. Livatino prese servizio presso l’Ufficio del Registro di Agrigento dal 1 dicembre 1977, dopo aver vinto il concorso nell’Amministrazione finanziaria, per poi passare, daI 18 luglio 1978, quando presta giuramento presso il Tribunale di Caltanissetta dove svolge il periodo di uditorato prima in Tribunale, poi in Procura ed infine presso la Pretura, ed alla carriera di magistrato sino alla nomina di magistrato di Tribunale ad Agrigento. Proprio per la sua attività, inquirente prima e giudicante dopo, è ucciso senza pietà, colpito alle spalle, dai sicari delle famiglie mafiose di Palma di Montechiaro, il 21 settembre 1990 sulla strada per Agrigento.

Vorrei richiamare alcuni dei pensieri che si rinvengono in conclusione alla tesi di laurea, proprio per la valenza emblematica nella concezione del diritto di questo giovane giurista siciliano, che ha ispirato la propria azione ai valori della dottrina sociale.
Fra questi ve n’è uno che sintetizza la concezione del diritto che costituirà il pilastro della sua vita professionale: “Ciò che bisogna tenere sempre vivo nella mente di chi opera nel mondo del diritto è che esso è costruito per l’uomo, a misura d’uomo a salvaguardia della sua dignità naturale e sociale. Mal ne incoglierebbe a tal dignità se si volesse r[a]ccostare a tale termine ‘uomo’ quello di mero ‘strumento’. E non è, codesta, affermazione di poco momento, né tanto meno generica affermazione di scontati postulati o mero e retorico riempitivo. Essa è condizione imprescindibile e ineliminabile, vieppiù che mai nella materia penale: in essa molto più arduo è trovare la giustificazione dell’ergersi di un soggetto a giudice di un altro per pronunciare nei suoi confronti volontà di restrizione del più connaturale dei diritti umani: quello alla libertà”.

Emerge già nel giovane laureando la precoce ma matura visione del diritto inteso strumento per garantire la giustizia al caso concreto, che trova nella persona e nella sua dignità l’ineludibile parametro di riferimento dell’ordinamento e non come arida tecnica applicativa di regole e precedenti, magari volta a consolidare posizione di potere e dominio dell’uomo sull’uomo. Per una società nella quale il diritto non viene considerato come riconosciuto, concesso, dato, conferito dal diritto oggettivo, ma considerato come preesistente ad esso ed inerente alla struttura ontologica della persona e dei valori e dei principi fondamentali e non negoziabili.

Questa la passione e la forza morale del giovane Livatino che ne farà un giurista motivato, un magistrato integerrimo, un siciliano convinto che il riscatto della propria terra passasse per il lavoro, l’onestà, la correttezza e nulla potesse concedere al prepotere mafioso ed alla sua brama incessante di potere e soldi, che ne fa un esempio per tutti, del quale rinnovare la memoria per le nuove generazioni di giuristi e di cittadini.

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