Arte & Cultura
Sabato 30 gennaio è stato presentato a Milano presso la Libreria Ancora Store “I panni del saracino”il nuovo libro di Gladis Alicia Pereyra
L’autrice ha voluto introdurre il suo intervento con la lettura del brano che dà inizio al romanzo e che racconta la corsa disperata di un frate tra macerie e corpi mutilati sparsi sulle vie della città cristiana caduta in mano all’oste del Sultano.
Milano, 4 febbraio – “Sono molto contento oggi di presentare un romanzo storico, molto avvincente, che poi avremo modo di approfondire insieme all’autrice, che si intitola I panni del saracino” esordisce Maurizio Calì, dando il via alla presentazione del nuovo romanzo di Gladis Alicia Pereyra. La presentazione ha avuto luogo a Milano presso la libreria Ancora Store di via Lodovico Pavoni 12, organizzata e promossa dall’Associazione Italia Medievale di cui Maurizio Calì è presidente. “Un romanzo che inizia il giorno successivo alla caduta di San Giovanni d’Acri ultimo caposaldo cristiano in Terra Santa dopo l’epopea delle Crociate – prosegue Calì – quindi, in una data ben precisa, sabato 19 maggio 1291, quando la cittadina cadde in mano al Sultano di Egitto Al Malik – Al Ashraf – Khalil. Narra le avventure di un personaggio, Nerino dei Buondelmonte e delle sue peripezie dal momento in cui deve abbandonare la Terra Santa come tutti quelli che erano ancora lì durante quest’ultima fase della presenza cristiana in Medio Oriente. Romanzo storico dove la storia si unisce alla narrativa e alla fantasia nella ricostruzione di scenari, personaggi, vicende e avventure e dove, come in tutte le narrazioni degne di rispetto, la guerra, i duelli, gli scontri, le lotte si combinano anche con i sentimenti, con l’amore che Nerino incontra lungo la sua strada. La parte storica è molto ben ricostruita perché l’autrice ha fatto ricorso a numerose fonti di archivio. Ha fatto un’ampia ricerca, un accurato studio; infatti il lavoro di elaborazione di questo romanzo è stato lungo e faticoso, anche per la difficoltà di trovare informazioni e notizie attendibili su tutta una serie di aspetti che vanno dal discorso della navigazione e dei vascelli che solcavano le acque in quel periodo, al tipo di combattimenti che avvenivano sul mare, ma anche a tante altre cose che riguardano quegli anni. Ci è riuscita bene. Questo è il suo secondo romanzo, il primo, uscito sempre per lo stesso editore, si intitola Il cammino e il pellegrino” conclude Maurizio Calì. L’autrice ha voluto introdurre il suo intervento con la lettura del brano che dà inizio al romanzo e che racconta la corsa disperata di un frate, poi sapremo che si chiama Nerino dei Buondelmonti, tra macerie e corpi mutilati sparsi sulle vie della città cristiana caduta in mano all’oste del Sultano. “Così inizia il libro, con la fuga di un frate, un frate francescano che ha lasciato il suo convento per unirsi ai Templari e questo già dà un po’ l’idea del personaggio” -racconta Gladis – “in realtà per lui lasciare il convento è stato un bene, perché i frati francescani che vi sono rimasti sono stati massacrati, tutti; sembra, tuttavia, che qualcuno si sia salvato perché in qualche cronaca è rimasto il ricordo di un frate che raccontava come il sangue scorreva per le strade e arrivava fino al mare. E’ stato un massacro spaventoso. Quando ho scritto questo libro, è un libro che mi ha portato molto tempo, la bibliografia è piuttosto corposa e, come diceva prima Maurizio, ho trovato grandi difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione delle galee di cui sono rimasti soltanto pochi relitti di scafi, non si sa molto bene, però, come all’epoca venissero equipaggiate. Quando ho scritto questo libro, ripeto, e ho descritto quella strage veramente non pensavo, lo ho detto in più di un’intervista ma lo dico pure qua, non immaginavo proprio che avrei visto in televisione immagini identiche a quelle che avevo scritto, anzi, se devo dire la verità, per il periodo quel massacro era abbastanza normale, diciamo, se si può chiamare normale un massacro, le armi che si usavano per uccidere erano quelle dell’epoca e i prigionieri non venivano crocefissi, crocifiggere è qualcosa che i musulmani di allora non facevano, quindi, non devo raccontare quello che è successo ad Acri perché purtroppo somiglia molto a ciò che avete visto in questi giorni in televisione.” La scrittrice continua spiegando il perché del titolo. Il francescano ha trovato rifugio nella casa, che crede deserta, di un suo amico fiorentino ma presto si accorge che nella stanza accanto a quella in cui si trova, c’è un uomo. Si tratta di un saracino, un ladruncolo al seguito dell’esercito del Sultano che data la sua condizione si deve accontentare degli avanzi del saccheggio. Il frate si nasconde dietro a una cassapanca e lì trova una mazza d’armi abbandonata. Nella dura lotta interna che l’arma scatena in lui, tra l’istinto di sopravvivenza e l’etica francescana, vince il primo. Chiamata dalla situazione straordinaria che mette la vita in pericolo, affiora decisamente in superficie la sua ombra, il suo doppio, un gemello crudele, selvaggio, da sempre nascosto nel profondo di sé. In quei frangenti, il doppio viene in suo aiuto, lo salva. Il francescano non avrebbe mai potuto impugnare la mazza è uccidere, non avrebbe potuto neanche concepire l’idea; aveva bisogno della determinazione e dell’audacia dell’altro. Tutto l’agire del giovane dal momento in cui prende la mazza è guidato dal doppio che in quel momento rappresenta il primordiale istinto di conservazione, di conseguenza, la sua energia è positiva e, dopo che ha ucciso il saracino e ha indossato i suoi poveri panni, è sempre l’altro che lancia la mazza sull’abito talare abbandonato per terra, compiendo così l’uccisione simbolica del francescano. Perché nelle difficili circostanze che il giovane sta vivendo, la parte negativa è proprio quella del francescano; se a guidarlo fosse stato il francescano lui sarebbe sicuramente morto. E il vero trauma che subisce il protagonista è proprio l’accorgersi, anche se non chiaramente, che il suo mondo si è capovolto e che il bene e il male si sono scambiati i posti perché, per quanto lo riguarda, il male che sarebbe l’uccidere è stato la sua salvezza, dunque, il male è diventato il bene. Questo trauma che segnerà la sua vita futura, che lo porterà a identificarsi con il suo doppio e a compiere le azioni più scellerate è rappresentato nel romanzo dai panni del saracino ucciso che lui porterà sempre con sé e che indosserà per la finale resa dei conti con se stesso. Chi è questo frate? Si chiama Nerino dei Buondelmonti, è un nobile fiorentino di antica casata, una delle più potenti di Firenze, Fiorenza come si chiamava allora ed era tra le città più ricche di Europa. E’ poco più che ventenne, straordinariamente bello, costumato, colto, amante della musica e della poesia, e non si sa per quale capriccio di gioventù abbia voluto prendere l’abito e andare a rinchiudersi in quel monastero così lontano dalla sua terra e chissà se quella forza determinata a uccidere, che si è svegliata in lui quando la sua vita era in pericolo, avrebbe avuto modo di svilupparsi e prendere il sopravento se non fosse intervenuto il caso. Il caso si presenta sotto le spoglie di una galea pirata che assale la nave genovese sulla quale Nerino, dopo la rocambolesca fuga da Acri, riesce a imbarcarsi. Nerino viene fatto prigioniero e portato a bordo della galea che diventerà il luogo della sua trasformazione in il Frate, lo spietato corsaro al servizio di Genova nella guerra contro Venezia.
Un pubblico attento e partecipe ha seguito con grande interesse gli interventi e alla fine ha posto all’autrice numerose domande.