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Diritti umani

La “macelleria” di esseri umani nella nazione più piccola del mondo

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Profughi rinchiusi nel campo di Nauru si suicidano. E’ vietato seppellire i corpi. La madre di una vittima: «Il cadavere di mio figlio nel container accanto al mio».

Di Vito Nicola Lacerenza

A circa tremila chilometri dalle coste australiane si trova la piccola isola di Nauru, uno Stato indipendente, il più piccolo del mondo, dove l’Australia fa dirottare le navi cariche di migranti che tentano di entrare illegalmente nel Paese. Una volta giunti a Nauru, i profughi vengono rinchiusi in un “campo di custodia” recintato e sorvegliato dalla polizia. La struttura, definita “disumana” dagli ex operatori” e “casa delle torture” dai profughi reclusi al suo interno”, costringe i richiedenti asilo a vivere in condizioni di vita degradanti: vivono in tende da catering o container, esposti alle intemperie, al buio e in assenza di servizi igenici; il loro nome è sostituito da un codice alfanumerico.

Abusi e violenze sono all’ordine del giorno e finiscono per logorare la salute psichica dei migranti che, in preda ad attacchi di depressione tentano disperatamente il suicidio, avvelenandosi col sapone, procurandosi tagli sul corpo, dandosi fuoco. Qualcuno fallisce nell’intento, ma altri riescono raggiungere il loro tragico fine. Come Fariborz Karami, immigrato clandestino morto suicida nel campo di Nauru dopo essere caduto in depressione. Sua madre  Fazileh Mansour Beigi aveva scritto più volte al direttore del campo che i propri figli “erano esausti e depressi” e che “spostarli in una tenda migliore avrebbe potuto migliorare il loro umore”. Gelida è stata la risposta del dirigente della struttura: «Se non sei capace di sopportare la situazione, tornatene nel tuo paese».

Fazileh però è richiusa da cinque anni a Nauru e versa in condizioni di salute precarie. Ristornare in Iran la sottoporrebbe ad un viaggio lungo e faticoso per lei, che, spinta dalla disperazione, ha trovato la forza di scrivere di nuovo al direttore del campo per chiedere l’autorizzazione a seppellire il corpo di suo figlio,Fariborz, sequestrato subito dopo la morte e lasciato in un refrigeratore. «In quale altro luogo del mondo si tiene rinchiuso per tanto tempo in un frigo il corpo senza vita  di un figlio nel container accanto a quello dove vive la madre?- ha chiesto la donna, che ha aggiunto, rivolgendosi al dirigente- Mi farò sentire finché  non avrò seppellito degnamente il corpo di mio figlio. Mi hai anche impedito di avere un cellulare. L’hai fatto per paura che parlassi?». Eppure le parole di  Fazileh Mansour Beigi hanno varcato comunque i recinti del campo profughi, finendo sui media internazionali. Il governo australiano ha dichiarato che quanto accaduto ai richiedenti asilo nell’isola “riguarda le autorità di Nauru”, definita nella lettera di  Fazileh una macelleria di esseri umani.

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