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Diritti umani

La Corte Costituzionale ha decretato, il referendum sull’eutanasia è inammissibile

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Il referendum denominato “abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice Penale, è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Era stato proposto dall’Associazione Luca Coscioni, in merito alla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente.

 di Giordana Fauci

Il 15 febbraio, la Corte Costituzionale, riunitasi in camera di consiglio per discutere sull’ammissibilità del referendum denominato “abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice Penale, ha emesso il suo verdetto, ritenendo inammissibile il referendum proposto dall’Associazione Luca Coscioni, in merito alla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente.

La sentenza sarà depositata nei prossimi giorni. Ma, in attesa del deposito, l’Ufficio Comunicazione e Stampa ha fatto sapere che “la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione – seppur parziale – della norma sull’omicidio del consenziente, non risulterebbe preservata la tutela minima della vita umana, prevista costituzionalmente. E, più in particolare, non sarebbe garantita la tutela delle persone deboli e vulnerabili….”.  

Pertanto, è stato fatto prevalere il “principio di indisponibilità della vita, la cui estromissione dall’ordinamento determinerebbe un insanabile vuoto normativo…”.

La Corte Costituzionale ha al contempo sottolineato la “mancanza di chiarezza del quesito, essendo imprevedibili e incerti gli effetti derivanti dalla parziale abrogazione proposta, in contrasto con la trasparenza che dovrebbe orientare la volontà dell’elettore…”.

Il commento a caldo del Comitato per il “No all’omicidio del consenziente”, presieduto da Assuntina Morresi e rappresentato nel dibattimento davanti alla Corte costituzionale dai giuristi Mario Esposito e Carmelo Leotta, ha espresso “soddisfazione per la decisione della Consulta, che permette ora di affrontare con maggiore equilibrio la discussione parlamentare sul tema dell’eutanasia…”.

 Anche la Senatrice del centro Paola Binetti, ex presidente di Scienza & Vita, ha espresso soddisfazione per la decisione della Corte, così affermando: É passata la nostra linea: sulla vita non si vota…”,  citando lo slogan della campagna di 17 anni fa. Il suo augurio è che, ora, la Camera agisca coerentemente con le decisioni della Corte, visto che a Montecitorio è in discussione la legge che deve recepire la sentenza con cui nel 2017 la Consulta ha depenalizzato l’aiuto al suicidio “in circostanze definite e condizionate…”.

La sconfitta non sembra avere scoraggiato i radicali dell’Associazione Luca Coscioni: “Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Certamente, la cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte costituzionale sul fine vita renderà il cammino più lungo e tortuoso. E, per molte persone, ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza e violenza. Ma la strada è segnata…”.

 Anche se, ad onore del vero, la “strada segnata…” è proprio quella tracciata dalla Consulta, che ha respinto con parole chiarissime la richiesta di ammettere il referendum.

Tuttavia, l’Associazione Luca Coscioni si è detta oltremodo certa che non lascerà nulla di intentato: “Dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari, dal corpo delle persone al cuore della politica…“, secondo il metodo caro alla storia radicale.

E ciò mentre si annuncia un impegno di respiro europeo con “iniziative per la libertà di scelte di fine vita e per l’abrogazione delle norme proibizioniste a livello europeo…”, come dichiara ancora lo stesso Coscioni.

Il leader di Pro Vita & Famiglia Toni Brandi e il presidente del Comitato “No all’eutanasia legale” Jacopo Coghe hanno annunciato di essere “grati alla Corte, per il coraggio con cui non si è fatta intimidire da pressioni politiche e mediatiche di ogni genere…”. A giudizio di entrambi, “la Corte ha indicato un livello minimo di tutela della vita umana, fragile e inviolabile…”. E il progetto sul suicidio assistito viola senza dubbio quel “livello minimo…”. Ora, in ogni caso, ci si aspetta che anche la Camera dia “risposte importanti, che investano sia sulle cure palliative, sia su aiuti ai sofferenti, affinché possano vivere con dignità, anziché farsi ammazzare…”.

Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell’Istituto Luca Coscioni e vedova dell’uomo al cui nome è intitolata l’Associazione e, perciò, si è prodigata nella raccolta di firme per il referendum naufragato, ha annunciato che “non lascerà nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari…”, altresì sostenendo che “il verdetto della Corte Costituzionale rappresenta la conferma che su tanti e tali temi occorre procedere con massima attenzione, prudenza e cautela…”  .

L’Onorevole del PD Alfredo Bazoli ha, infine, reso noto che “la decisione della Corte non incide sull’iter di approvazione della legge sul suicidio assistito…”, di cui è egli stesso relatore, poiché “è già pronta una legge che, a breve, sarà discussa alla Camera e che tratta una tematica ben diversa...”.
 Per il referendum, il tesoriere dell’associazione Marco Cappato aveva depositato in Cassazione oltre un milione e duecento mila firme, utilizzando sia il metodo cartaceo che quello online. Tuttavia, la Suprema Corte ne aveva dichiarate valide solo 543.213: 481.745 cartacee e 61.561 digitali. E proprio queste ultime erano state determinanti per raggiungere la soglia minima di firme richiesta dall’articolo 75 della Costituzione. Il quesito chiedeva – testualmente – “se si era d’accordo con l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale – l’omicidio del consenziente, per l’appunto – , che punisce con la reclusione dai 6 ai 15 anni chi procura la morte di una persona con il suo consenso…”.

Un quesito che, come ampiamente spiegato, è stato ritenuto del tutto inammissibile.

 Del resto, lo stesso presidente della Consulta Giovanni Maria Flick ha rilevato il pericolo di prendere “una china il cui esito non è prevedibile…”. Perché, in tal caso, la mancanza di una legislazione in materia lascerebbe spazio ai referendari. Mentre per Cesare Mirabelli, altro presidente della Consulta, tagliare l’articolo 579 del codice penale potrebbe portare “ben oltre l’eutanasia…”.

Ecco perché, sebbene non siano state rese ancora note le motivazioni della Sentenza della Corte Costituzionale, appare già fin troppo chiara la ratio che ha generato il verdetto e che il giurista cristiano, Avv. Alessandro Benedetti ha ben evidenziato: “Dovremmo essere grati per l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare affinché, attraverso le cosiddette cure palliative, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive inaccettabili che portano ad uccidere. Perché la vita è un diritto, non la morte, che va invece accolta e non certo somministrata…”.

E questo principio etico, a dire il vero, deve riguardare tutti: non solo i cristiani o i credenti. Perché sia le persone malate che le loro famiglie hanno sempre reclamato e tuttora continuano a rivendicare ben altro: non una scelta tra la vita e la morte, bensì che il dolore e la sofferenza fisica si possano affrontare con precisi e competenti presidi farmacologici, oltre che con una seria preparazione specifica.

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