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Ferrara, i cancelli e i cognomi fatali- Ferrara, the gates and the fatal surnames

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Tempo di lettura: 8 minuti
di emigrazione e di matrimoni

Ferrara, i cancelli e i cognomi fatali

È sempre un piacere andare a Ferrara e la recente visita non è stata un’eccezione. Ferrara non è una conosciuta abbastanza fuori del paese, non solo per via del suo timbro ufficiale come sito UNESCO Patrimonio dell’Umanità, ma perché ha svolto un ruolo fondamentale nella Storia d’Italia, sia a livello artistico che politico.

Ma in questo articolo vogliamo concentraci su un aspetto della Storia nel nostro paese che molti ancora non conoscono, e che troppi, e in questo caso solo uno sarebbe troppo, non vogliono conoscere, e Ferrara fa capire benissimo come questo successe…

Mentre la nostra guida Maria Antonietta ci mostrava le mura della città che sono parte fondamentale del riconoscimento UNESCO, lei ha nominato prima il cimitero ebraico della città, e poi un parco/giardino che avevamo già visitato nel passato, senza conoscere la sua importanza. Conoscevamo già quel luogo perché ci avevamo passato due ore indimenticabili in una delle nostre prime visite a Ferrara.

Quel parco/giardino fu l’ispirazione del celebre romanzo di Giorgio Bassani, “Il giardino dei Finzi-Contini”, diventato poi un film del grande regista Vittorio De Sica, Premio Oscar per miglior film in lingua straniera del 1972, e che ora porta il suo nome.

E questi due punti dell’itinerario hanno creato un filo conduttore che ha legato la nostra visita a un aspetto, allo stesso tempo grande e tragico, della nostra Storia.

Pochi sanno che gli Ebrei erano già in Italia sin ai tempi dei Romani, per cui l’attuale Quartiere Ebraico dovrebbe essere parte di qualsiasi visita alla Città Eterna.

Ma, dopo l’arrivo del Cristianesimo a Roma come religione ufficiale, gli Ebrei sono sempre stati trattati male, non solo nei territori romani, ma in tutta l’Europa.

E il motivo è semplice, erano considerati come “Deicidi”, per la morte di Gesù Cristo. Una definizione che la Chiesa Cattolica ha mantenuto fino al 1965 quando con una Bolla, “Nostra aetate” (Nel nostro tempo) Papa Paolo VI dichiarò che gli Ebrei non dovevano più essere imputati per la morte di Cristo. Purtroppo, esistono ancora sette cristiane che applicano questa definizione agli Ebrei.

Nel 1492, con la cacciata degli Ebrei dopo la “Reconquista” della Spagna dai Mori, Ercole d’Este, Duca di Ferrara, invitò quel che ora chiameremmo profughi, a stabilirsi nella città.

Il Duca aveva bisogno di fondi perché all’epoca gli Ebrei erano banchieri visto che la Chiesa non permetteva ai propri fedeli di prestare soldi per interessi, cioè, usura, e quindi proibita dalla Bibbia. In seguito, la comunità componeva fino al 10% della popolazione, con ben sette sinagoghe e il proprio cimitero.

E bisogna dire che altre città italiane, come Modena, videro l’arrivo degli Ebrei spagnoli.

Gli Ebrei facevano sempre parte attiva della vita della città, ma le condizioni di vita cambiarono secondo il potere dominante di turno, particolarmente lo Stato Pontificio, come descritto nell’articolo link

Però, malgrado i limiti della loro vita sotto lo Stato Pontificio, con cancelli che chiudevano a chiave gli ebrei nel loro Ghetto dal tramonto fino all’alba, l’episodio più grande degli Ebrei arrivò nel ventesimo secolo, prima con le Leggi Razziali del 1938, quindi sotto la Dittatura di Mussolini, che tolse loro la cittadinanza e il lavoro, e poi, peggio ancora, l’occupazione tedesca.

E in quella visita a Ferrara abbiamo potuto vedere i segni inconfondibili di quelle disgrazie verso i nostri concittadini.

Certo, il Ghetto aveva i cancelli nel passato, ma, come raccontato dall’ebreo ferrarese Giorgio Bassani nel suo romanzo “Il Giardino dei Finzi-Contini”, la prova più difficile, non solo a Ferrara, ma in tutta la penisola, fu il rastrellamento e la deportazione nei lager degli Ebrei sotto i nazisti, e, la vergogna più grande, con l’appoggio di una parte della nostra popolazione.

Già l’idea di dovere essere rinchiuso sottochiave ogni notte per secoli fa orrore, e vedere la prova di quei cancelli fa venire i brividi. Però, due altri momenti di quel giro della città ha spiegato l’orrore di quel periodo nel suo vero contesto.

Abbiamo visto il palazzo che ospitavano la vecchia Sinagoga Spagnola, ovviamente per gli ebrei spagnoli e i loro discendenti che avevano vissuto nella città per oltre 400 anni, ma la Sinagoga non esiste più, distrutta dai nazisti, e il palazzo viene utilizzata come deposito per un’impresa commerciale della stessa via. Naturalmente, vi è una lapide, ma un palazzo del genere dovrebbe essere un tesoro del nostro Patrimonio Culturale, e non solo un vago ricordo di quella tragedia.

Pochi minuti dopo abbiamo visto il costo umano di quel periodo, le lapidi alla Sinagoga di Ferrara che documentano l’accaduto tragico e i nomi dei ferraresi che non fecero più ritorno alla loro città di nascita è un dettaglio che rivela tutto l’orrore di come furono catturati.

Guardando bene la foto dei nomi delle vittime si vedono non solo ben quattro Bassani, ma i cognomi di molti altri che portano i nomi di città, Fano, Ravenna, Senigallia, Pesaro, Rieti e Trevi.

Difatti, questa era l’usanza del passato, di utilizzare la città di origine per cercare di non fare capire che fossero ebrei e quindi non soffrire i pregiudizi e le discriminazioni che ne seguivano.

E, tragicamente, in molti casi furono proprio i cognomi a tradire gli ebrei rastrellati, e questo non sarebbe accaduto se non ci fossero stati altri italiani ad aiutare le forze d’occupazione naziste.

Ferrara, conserva benissimo il suo passato e serve da esempio. Ma non basta commemorare i defunti della Shoah, bisogna insegnare come furono traditi dai loro concittadini, come bisogna ricordare chi non era ebreo e ha sacrificato la propria vita per salvare gli ebrei.

E questo sarà il soggetto di un articolo il 15 novembre prossimo, il giorno di una cerimonia a Padova che renderà onore a un nostro concittadino che si sacrificò per salvare i perseguitati di quegli anni bui.

Solo ricordando questi episodi potremo evitare di ripeterli nel futuro.

Ferrara, the gates and the fatal surnames

It is always a pleasure going to Ferrara and the recent visit was no exception. Ferrara is not known well enough outside the country, not only because of its official stamp as a UNESCO World Heritage Site, but because it has played a fundamental role in Italy’s history, both artistically and politically.

But in this article, we want to focus on one aspect of our country’s history that many still do not know, and that too many, and in this case only one would be too many, do not want to recognize, and Ferrara makes it very clear how this happened…

While our guide Maria Antonietta showed us the city walls that are an essential part of the UNESCO recognition, first she mentioned the city’s Jewish Cemetery, and then a park/garden that we had already visited in the past during one of our first visits to Ferrara.

That park/garden was the inspiration of Giorgio Bassani’s famous novel, “Il Giardino dei Finzi-Contini” (The Garden of the Finzi-Continis), that then became a film by the great director Vittorio De Sica, winning the 1972 Oscar for the Best Foreign language Film, and that now bears his name.

And these two points of the itinerary created a common link that tied our visit to an aspect, both great and tragic, of our history.

Few know that the Jews were already in Italy at the time of the Romans, so that the current Jewish Quarter should be part of any visit to the Eternal City.

But after the arrival of Christianity in Rome as the official religion, the Jews were always treated badly, not only in Roman territories, but throughout Europe.

And the reason is simple, they were considered “Deicides” (God killers) due to the death of Jesus Christ. A definition that the Catholic Church maintained until 1965 when, with a Papal Bull, “Nostra aetate” (In our time) Pope Paul VI declared that Jews were no longer to be blamed for the death of Christ. Unfortunately, there are still Chrisitan sects that apply this definition to the Jews.

In 1492, with expulsion of the Jews following the Reconquista of Spain from the Moors, Ercole d’Este, Duke of Ferrara, invited who we would now call refugees, to settle in the city.

The Duke needed funds because, at the time, the Jews were bankers since the Church did not allow its faithful to lend money for interest, in other words, usury, and therefore forbidden by the Bible. Subsequently, the community comprised up to 10% of the population with as many as seven synagogues, and its own cemetery.

And it must be said that other Italian cities, such as Modena, saw the arrival of Spanish Jews.

The Jews were always an active part of the activities of the city, but the conditions of their lives changed depending on the ruling power of the time, especially the Papal State, as described in the article, link.

However, despite the limits on their lives under the Papal State, with gates that were locked the Jews within their Ghetto from dusk till dawn, the biggest episode of the Jews came in the 20th century, first with the Racial Laws of 1938, therefore under Mussolini’s dictatorship which took away their citizenship and work, and then, worst of all, the Nazi occupation.

And on the visit to Ferrara, we were able to see the unmistakable signs of those disasters to our fellow citizens.

Of course, the Ghetto had its gates of the past, but, as told by the Jewish Ferrarese Giorgio Bassani in his novel “The Garden of the Finzi-Continis”, the greatest ordeal, not only in Ferrara, but throughout the peninsula, was the rounding up and deportation of the Jews to the concentration camps under the Nazis, and, most shamefully, with the support of a part of our population.

Already the thought of being locked in every night for centuries is horrifying, and seeing the evidence of those gates makes one shiver. However, two other moments of that tour of the city put the horror of that period in its true context.

We saw the building that housed the old Spanish Synagogue, obviously for the Spanish Jews and their descendants who had lived in the city for more than 400 years, but the synagogue no longer exists, destroyed by the Nazis, and the building is now used for storage by a business in the same street. Of course, there is a plaque, but such a building should be a treasure of our Cultural Heritage, and not just a vague memory of that tragedy.

A few minutes later we saw the human cost of that period, the plaques of Ferrara’s Synagogue that document the tragic event and the names of the people of Ferrara who never returned to their city of birth and one detail reveals all the horror of how they were captured.

Looking closely at the names of the victims in the photo, the reader can see not only four Bassanis, but the surnames of many others that bear the names of cities, Fano, Ravenna, Senigallia, Pesaro, Rieti, and Trevi.

In fact, this was the habit of the past, to use the city of origin to try to not let it be known that they were Jews, and therefore not suffer the prejudice and discriminations that followed.

And tragically, in many cases the surnames were what betrayed the Jews being rounded up, and this would not have happened if there had not been other Italians helping the Nazi occupation forces.

Ferrara preserves its past very well and serves as an example. But it is not enough to commemorate the dead of the Holocaust, we must teach how they were betrayed by their fellow citizens, just as we must remember those who were not Jews and sacrificed their lives to save Jews.

And this will be the subject of an article on November 15th, the day of a ceremony in Padua that will honour one of our fellow citizens who sacrificed himself to save the persecuted in those dark years.

It is only by remembering these episodes that we will avoid repeating them in the future.

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