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Usa vs Corea del nord: la scena del fallimento diplomatico

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Quali sono le vere intenzioni dell’America di Donald Trump? E quanto il mondo sta rischiando un nuovo conflitto che parte dal continente asiatico?

 

Di Gianni Pezzano

Nel corso della campagna elettorale il Presidente americano Donald Trump promise che avrebbe istituito una linea politica di “America First”, cioè nel gergo politico italiano “Prima gli americani”. Nei primi 100 giorni del suo mandato i fatti hanno dimostrato che una tale politica è controproducente per la prima potenza mondiale, e tutto grazie alla Corea del Nord.

La penisola coreana è teatro politico da oltre un secolo di controversi accadimenti e alleanze politiche. Dapprima colonia del nascente Impero giapponese, alla fine della seconda guerra mondiale si divide in Corea del nord e del sud, restando quest’ultima tuttora in alleanza con il Giappone e gli Usa.  La  Corea del Nord del dittatore Kim Jong-un, invece dal momento della divisione interna diventa alleata della Cina comunista .

Già nel corso della campagna elettorale esperti diplomatici avevano espresso i loro dubbi sulle capacità trumpiane verso il regime di Kim Jong-un . La mancanza d’esperienza di Donald Trump era già apparsa evidente con le prime indiscrezioni dalla nuova Casa Bianca, con il diktat di Trump sulle modalità da usare per gli aggiornamenti quotidiani al Presidente da parte dei suoi consiglieri di sicurezza: devono essere brevissimi, di non oltre tre pagine, con un numero massimo di parole, quasi come i tweet. In effetti meno di un quarto delle informazioni fornite dai consiglieri al suo predecessore Barack Obama.

Nel primo incontro di Trump con un capo di governo straniero, il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, la Corea del Nord ha messo in prova un missile balistico in contravvenzione con gli accordi precedenti. A nessuno è sfuggito che l’occasione coinvolgeva l’ex potenza coloniale della penisola, il Giappone.

L’unico alleato vero del dittatore Kim è la Cina, ma anche essa è coinvolta in una situazione delicata con gli Stati Uniti, principalmente per la decisione della Casa Bianca di rivedere gli accordi commerciali tra i paesi. Il rapporto tra i due presidenti è iniziato male con il commento di Donald Trump sul voler riconoscere l’indipendenza di Taiwan, che la superpotenza asiatica considera una provincia ribelle. Il Presidente Trump ha smentito questa sua dichiarazione dopo pochi giorni.

Allo stesso tempo la Cina è in fase di espansione delle sue forze militari, con grandi investimenti in armi e navi nuove e soprattutto con la costruzione di isole artificiali nel Mare della Cina del Sud,  che sta preoccupando gli alleati asiatici degli Stati Uniti, come le Filippine e l’Indonesia che reclamano la loro sovranità su quei settori del mare. La preoccupazione principale delle isole artificiali è che sembrano poter essere, in seguito, anche potenziali basi militari per futuri conflitti nella zona.

Kim Jong-un sta diventando sempre di più la scheggia impazzita della zona, che preoccupa persino i cinesi. Le dichiarazioni aggressive degli americani, compreso anche il Segretario di Stato Rex Tillerson, sembrano l’anteprima di attacchi preventivi per prevenire che la Corea del Nord schieri armi nucleari nel futuro.

Il fallimento fino ad ora delle varie prove coreane con i suoi missili dimostra che le ambizioni di Kim sono più grandi della sua capacità militare, ma prima o poi potrebbe essere in grado di armarsi con armi nucleari efficaci.

La Corea del Sud guarda le azioni dei suoi cugini con non poco timore, visto che la loro capitale Seul si trova a  un tiro di cannone dal confine tra i due paesi, e dunque a rischio di attacchi immediati nel caso di uno scontro armato.

In questa situazione la mancanza di un programma politico preciso e a lungo termine da parte degli Stati Uniti, potrebbe creare le condizioni per un peggioramento della situazione, ma allo stesso tempo fornisce al governo cinese la possibilità di agire come intermediario tra i contendenti.

Infatti, la Cina da tempo dimostra segnali chiari di impazienza con il suo scomodo alleato e la sua insistenza di provocare gli Stati Uniti, soprattutto il suo nuovo Presidente inesperto.

La settimana scorsa la dichiarazione di Trump dell’invio di una flotta militare americana per fare una dimostrazione di forza ai coreani del nord, si è dimostrata subito un bluff quando la stampa mondiale ha scoperto che in effetti la flotta capeggiata dalla portaerei USS Carl Vinson si dirigeva verso l’Oceano Indiano, per esercizi con la marina militare australiana. Benché ora la flotta abbia preso rotta verso il mare vicino alla penisola coreana, il passo falso della prima dichiarazione non ha fatto niente per migliorare l’impressione di un’amministrazione americana poco seria.

Le prossime settimane saranno importanti per sapere se i consiglieri di sicurezza del Presidente Trump, saranno in grado di fargli capire che le tattiche dell’uomo d’affari non sono sufficienti per affrontare una situazione internazionale delicatissima.

Infatti, il Presidente Trump stesso, ha ammesso in un’intervista recente che prima di incontrare di persona il Presidente cinese Xi Jinping non sapeva che la storia tra la superpotenza asiatica e la Corea fosse centenaria e complicatissima. L’ammissione del presidente americano potrebbe essere lo spiraglio che sia pronto ad ascoltare voci moderate per trovare una soluzione pacifica a questo rebus diplomatico.

Sapremo nel corso della settimana prossima se l’arrivo della flotta americana farà calmare la volontà di Kim Jong-un nel mettersi alla prova contro il paese più potente del mondo, oppure se il giovane dittatore  farà scattare una crisi militare che il suo paese non potrebbe mai vincere.

Nel frattempo il mondo può solo aspettare e sperare che la Cina possa giocare il ruolo di mediatore tra due Presidenti imprevedibili sulla scena internazionale. Siamo in quel che i cinesi chiamano “tempi interessanti” che di solito definisce un periodo burrascoso. Speriamo di sbagliare.

 

 

 

 

 

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