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Attualità

Trump nuovo presidente americano

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La sua “America First” come esempio di Stato Tribuno del Popolo?

di Sergio Bevilacqua

E ora, con Trump?

Un ottimo analista di Difesa e politica connessa, come Gaiani, per sua stessa ammissione, afferma di non essere un economista e contiene le sue analisi sul campo a lui noto, effettua correlazioni con l’indispensabile piano economico solo riferite a ciò che è visibile a occhio nudo, cioè il breve-medio termine, che gli è invece disponibile (interessi di breve termine di approvvigionamento energetico, terrorismo, ecc.) e le evidenze massmediatiche. Ciò che gli sfugge, per sua stessa ammissione, è la prospettiva strategica di origine macroeconomica di lungo termine.

Come si comporterà Trump di fronte al rimescolamento proposto con acume strategico da Putin al mondo intero? America first significa spazio agli altri oppure arretramento difensivo? Gli United States of America si chiuderanno sul loro mondo eccezionale, oppure si avvarranno di questa enorme forza di società democratica per suggerire altre vie all’umanità? Tutte le azioni che riguardano assetti prevedibili di tipo macroeconomico di lungo termine e antropologico generale, non vengono considerate dagli analisti della Difesa: costoro oggi hanno un’opinione pubblica più attenta, perché eccitata dal tanto fumo di bombe esplose e polvere da sparo che si solleva in numerosi angoli del pianeta.

Ovviamente, se si escludono dall’analisi queste dimensioni non visibili ma fortissimamente reali, non si nota che le guerre in corso hanno il senso del confronto tra economie di Trasformazione, secondarie-terziarie ad alto valore aggiunto (e connesse “Società del Desiderio”), contro economie Primarie, estrattive, agricole, ecc. a basso valore aggiunto (e connesse “Società tradizionali del Bisogno”). Gli equilibri di 80 anni fa, che si sono protratti fino a pochi lustri or sono, mostravano un’economia con base stanziale e altezza mercantile, divenuta per la propria via mondiale, fino a che non ha invertito la rotta: le vecchie multinazionali (termine obsoleto, perché indica la referenzialità ineludibile degli Stati-mercato di sbocco e di produzione) sono evolute in realtà organizzativo-societarie globali, non stanziali ma tecnicamente nomadi. Lo spaccamento tra istituzioni statali ed economia ha creato fenomeni socioeconomici del tutto nuovi, ove le politiche keynesiane non funzionano perché la produzione della ricchezza non è più delle Nazioni, a correggere la versione dell’economia classica di Ricardo e Smith e anche l’altro approccio economico-politico, quello marxista-leninista, a maggior ragione opposto alla visione staliniana del comunismo possibile in un solo Paese. Dunque, filosoficamente e sociologicamente, non più economia possibile in un solo Paese: se sul versante liberale la ricchezza diviene un prodotto sempre più non-nazionale, anche sul versante socialista, oggi quasi totalmente teorico, la visione dell’antico internazionalismo leninista radicalizzato da Trotskij ha sommerso totalmente l’approccio di Stalin.

Questa situazione porta a modelli di società dal diverso dinamismo e visione dell’uomo (democrazie, pur con i loro difetti, contro totalitarismi, pur con alcuni pregi…). Tali tipologie di Società generano leadership diverse, ma soprattutto cambia la funzione dello Stato. Nei Paesi cosiddetti Occidentali, infatti, gli Stati non sono più un tutt’uno con l’economia: per le aziende globali di trasformazione la culla è già l’intero pianeta, per cui è corretto chiamarle glob-olistiche. In quelle stesse società, gli Stati sono già soprattutto “tribuni dei popoli”, cioè tutori della miglior vita (welfare) di ciò che è stanziale. Tali Stati hanno ormai di fatto sviluppato strategie soltanto attrattive per ciò che invece non è più stanziale, cioè le attività economiche di trasformazione, che possono anzi devono, per sopravvivenza e conseguente mantenimento della qualità della vita dei lavoratori umani, potersi spostare liberamente lungo tutto l’orbo terracqueo. La strategia vetero-sindacale e politica ottusa di impedire le delocalizzazioni è di corto respiro, e un vero e proprio boomerang sugli Stati che la operano.

In questa visione, in itinere, ma di destino antropologico, si spiega quasi tutto ciò che accade, anche le apparenti contraddizioni tattiche: con Al Qaeda – contro Al Qaeda, per Israele occidentale, ma a favore dei palestinesi con finanziatissimi movimenti di opinione dei Paesi occidentali, con l’Ucraina-ma-poi-non-del-tutto con filosofie incomprensibili in regime di guerra, su uso di armamenti e strategie di attacco-difesa.

L’obiezione a semplici analisti militari è che, in quest’incompletezza orgogliosa dei criteri che escludono le variabili economiche meno evidenti, appare una dimensione ideologica e d’opinione mascherata di tecnicismi militari e geopolitici, che diviene appoggio per semplici convinzioni popolari dello stesso livello, parziale e un pò romantico. Sono i GGG (Grandi Gruppi Globali) che non vogliono guerre pericolose per la leadership globale che già detengono, non quello Stato o quell’altro, quell’organismo internazionale o quell’altro: per Trump questa è acqua fresca, il suo America First parte da ciò. Per certi enti mondiali, l’esigenza organizzativa di documentare le proprie posizioni, dovute alla struttura comunitaria, vedi ONU, crea degli effetti di gigantismo informativo, che condizionano l’opinione pubblica in modo falsato. Invece i GGG, che non hanno tali obblighi d’informazione estesa, operano in modo meno pubblico e sostengono in modi concreti (finanziamenti, risorse varie) le azioni favorevoli alle loro strategie economiche, sfuggendo, salvo rari casi oggetto di specifico giornalismo d’inchiesta, alla documentazione di giornali e mass-media in genere.

Da ciò, e dalle insufficienze culturali ed empiriche di analisti ribattuti dalla grancassa massmediatica, perdura una patetica e infantile visione “imperiale”. Non possono esistere imperi senza solidità economica-e-amministrativa, e questa evidenza ha connotato in modo palese l’immagine dell’America di oggi, con Trump in sella. Non sarà mai Impero uno Stato o Federazione di Stati che non abbia alla base il radicamento inossidabile di economie stanziali. È dunque un errore marchiano pensare che esista un Impero americano: senza gambe economiche vere, gli Stati non fanno imperi e anche se può sembrare che un grande assetto militare sia sufficiente per indurre una padronanza reale sulle società umane, ciò è falso se ad esso manca la possibilità di condizionare l’economia. È sempre più vero invece l’inverso, e non da ora: la lezione della II WW è ancora viva e accesa e, se qualcosa sembra non quadrare in quest’ottica, è perché invece è stata la struttura degli Stati e delle Nazioni a cercare di seguire l’economia, che però ha rotto gli argini e oggi balla da sola, scegliendo il partner più vantaggioso, a scanso di qualunque ideologia e nazionalismo, se le condizioni tecnico-economiche sono favorevoli.

Dunque, nessun Impero americano. America First di Trump sarà una strategia concreta di attrazione di cervelli e ricchezza economica, ben sapendo che nulla è possibile per averli se non uno scambio con ciò che lo Stato può fare, direttamente e con la civiltà del suo popolo stanziale.

E la Russia è tecnicamente imperiale? Fatte le debite proporzioni, che sono in effetti un pò complesse da effettuare, invece sì, la Russia la è, perché la sua economia è legata al territorio in quanto primaria e gli oligarchi di fatto, per portare avanti le loro strategie economiche, possono e devono comandare lo Stato, che infatti è divenuto sempre meno democratico a partire dalle riforme putiniane di 12 anni fa. Così, anche, da 1400 anni, i paesi islamici. Pure i Paesi africani e sudamericani allineati alla Russia. Ecco che, per le vie culturali, religiose e morali, si sviluppa un asse strategico che si collega alle società preindustriali e alla loro cultura medievale, fatta di trascendenze varie portate a sistema politico, atteggiamenti fideistici terreni e ultraterreni, conservatorismo a oltranza e oscurantismo deliberato.

S’intenderanno come sembra, Trump e Putin? America First e lo Zar di tutte le Russie (attuali e future…)? Non ci sono particolari controindicazioni: rispetto a Harris la strada è in discesa, ma i temi caldi rimangono tali. L’Europa dovrà affrettarsi a mettere i pantaloni lunghi, e trovare un suo spazio non da super pensionato ma da attore volitivo e tenace, importante e consapevole, altrimenti le sue enormi ricchezze verranno gestite da altri. E i popoli del Vecchio Continente, divenuto piccolo piccolo nella mappa mondiale, non saranno contenti, come già si nota qua e là…

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