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Politica

Referendum, le ragioni del No di Unità Repubblicana

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Perché No

no

La Costituzione è la legge fondamentale di una collettività di uomini e donne che si identifica in una unità statuale nazionale. In essa sono contenuti i diritti e i doveri di ogni cittadino, nonché le regole sulla loro rappresentanza, sulla formazione delle leggi, sui poteri e i limiti  di chi è chiamato a governare la comunità.

In essa sono previsti anche i “pesi e contrappesi”, ovvero tutte le garanzie di quell’equilibrio dei poteri, che è il principio su cui si basa ogni autentica democrazia rappresentativa. La Costituzione, perciò, quando sia democratica, ovvero espressione della collettività dei cittadini, deve essere condivisa da tutti, o quantomeno da una larghissima, molto larga, maggioranza di essi.

 La Costituzione deve unire un popolo, non dividerlo. Se lo divide perde la sua legittimazione. Così è stato per la Costituzione del ’48, tuttora in gran parte in vigore, che è stata approvata da una assemblea costituente eletta con un sistema rigidamente proporzionale, che, in quanto tale, garantiva la rappresentanza reale, e non alterata, di tutte le forze politiche del paese. La Costituzione del ’48, approvata dalla grandissima maggioranza di quella assemblea, legittimata dal voto popolare, è stata, quindi, la carta dei diritti, dei doveri e delle regole che ha ridato identità nazionale e unità al popolo italiano devastato da anni di dittatura, da una lunga guerra, ma anche da lunghissimi mesi di una fratricida guerra civile. La Costituzione repubblicana del ’48 ci ha uniti.

Non vi è alcun dubbio,  però, che una Costituzione, per quanto sia stata scritta per durare nel tempo, non possa essere considerata eterna. Cambia e si modifica la società, cambia la sua composizione sociale, e possono emergere esigenze di adeguamento. Non a caso l’art.138 della Costituzione vigente affida alle Camere la possibilità di revisionarla con una specifica procedura di garanzia. Si badi bene, però, il potere delle Camere è quello di approvare leggi di “revisione” della Costituzione, ovvero di “manutenzione” della Carta e non certo di stravolgimento e alterazione dei suoi principi fondativi.

Tutto ciò premesso, il 4 dicembre i cittadini italiani  sono chiamati a esprimersi su una modifica della Costituzione, che non è una semplice “revisione”, ma una palese alterazione dei principi di rappresentanza e di equilibrio dei poteri. Già aver messo in piedi questo procedimento può essere considerato un pericoloso vulnus costituzionale. Ma vi è di più. La Camera che ha approvato questa riforma costituzionale era composta da deputati che sono stati eletti con una legge elettorale che la Corte Costituzionale ha dichiarato anticostituzionale. Quindi, quei deputati, in quanto eletti illegittimamente. non erano legittimati a modificare la Costituzione, ma avrebbero dovuto limitarsi ad approvare una nuova legge elettorale e a dimettersi subito dopo, o, al massimo, alla semplice gestione ordinaria. Anche questa circostanza produce un secondo vulnus costituzionale. C’è, poi, un ultimo, ma non meno inquietante, aspetto da considerare.  Questa riforma della Costituzione è stata imposta al parlamento dal presidente del consiglio che se ne è assunta in pieno la paternità politica, ha partecipato in prima persona alla campagna elettorale ed ha voluto trasformare il referendum  in un plebiscito sulla sua persona. Non a caso Maurizio Crozza ( spesso la satira coglie nel segno) ha detto che ancora una volta il referendum è tra monarchia e repubblica. Può una riforma della Costituzione essere imposta da un governo? La domanda è ovviamente retorica, perché la risposta non può essere che un no, alto e forte. Questo è, senza alcun dubbio,  il vulnus costituzionale più grave.

Ma se tutto ciò non bastasse ci sarebbe un’altra dirimente considerazione da fare. La Costituzione deve unire una collettività di cittadini. Questa sottoposta a referendum ha, invece, diviso gli italiani e la vittoria del sì finirebbe per lacerare irreparabilmente quel tessuto connettivo che ne fa una nazione, con conseguenze gravissime. Non a caso un settimanale rigoroso attento e prudente come l’Economist ha invitato a votare no, intravvedendo nel referendum-plebiscito di dicembre il pericolo di una deriva autoritaria.

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