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Italia

L’eterna domanda sul brigantaggio lucano: banditi o difensori della legalità?

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A 156 anni dall’unità d’Italia, il fenomeno del brigantaggio rimane ancora un tema controverso. Un nord progredito incontra una Basilicata rurale, afflitta da profonde ingiustizie sociali, che non riesce a comprendere fino in fondo. Questa incomprensione sarà la bandiera dei briganti.

 

 

di Vito Nicola Lacerenza

 

L’universalità dei diritti e una “legge uguale per tutti” sono concetti che non hanno sempre fatto parte del nostro paese. Soprattutto in Basilicata. «Mi dispiace, ma io so’ io, e voi non siete un cazzo» – disse Alberto Sordi nei panni del “marchese del Grillo”. Nell’omonimo film si vede come, una volta, si potessero arrestare con facilità alcuni “poveracci” solo per un sospetto e fosse impossibile arrestare un marchese, anche se colto sul fatto. Una dinamica di questo tipo è stata quella che nella prima metà dell’ottocento, ha trasformato  Donatello Carmine Crocco, un tranquillo ragazzo di Rionero in provincia di Potenza, nell’uomo simbolo del brigantaggio lucano, meglio noto semplicemente come Crocco. Un pezzo di terra coltivabile, due pecore, un asino e il solo stipendio di “guarda pecore” del padre, resero abbastanza agiata l’infanzia di Crocco. Un bel giorno, però, un signore del posto, durante una battuta di caccia, entrò in quel pezzo di terra e calpestò tutte le piante di pomodori che vi erano.

La madre di Crocco era lì, e si permise di esprimere il suo comprensibile disappunto. Grave errore. Ciccio Crocco, marito della donna, fu arrestato, in quanto potenziale vendicatore di sua moglie, mentre quest’ultima vendette tutti i suoi averi per sopravvivere. Niente di strano, il rapporto tra popolano  e un signorotto era impari “per natura”. Al punto che se quest’ultimo avesse deciso di sposare una bella contadina, questa non avrebbe potuto negarsi senza mettere in pericolo se stessa e la sua famiglia. Fu questo il caso di Rosina Crocco, sorella di Donatello Carmine, il quale nel frattempo si era arruolato nell’esercito borbonico con il grado di caporale. Rosina respinse le lusinghe del signore che, ferito nell’orgoglio, diffamò la ragazza facendola passare per una prostituta. L’obiettivo era semplice: distruggere la reputazione della ragazza in modo che non potesse mai avere una famiglia. Cosa farebbe un fratello in questo caso? Difendere sua sorella da colui che vuole farle del male a buon diritto! “Ma lui era lui” era un signore e il “buon diritto” era sempre dalla sua parte. Ecco perché alla frase “lascia in pace mia sorella” il “galantuomo” risponde con una frustata sul volto di Carmine Crocco, il quale reagisce accoltellandolo a morte. Se anche lui fosse stato un “galantuomo”, si sarebbe trattato di “una questione d’onore” e non di omicidio. Ma non era quello il caso. Al caporale , per sfuggire alla sicura condanna a morte, non rimase altro che fuggire nei boschi e, in poco tempo divenne Carmine Crocco capo di un gruppo di briganti.

Con l’arrivo di Garibaldi non arrivarono soltanto soldati ma speranze. Due in particolare: la grazia a chiunque si arruolasse nell’esercito nazionale e redistribuzione delle terre ai contadini più poveri. Aspettative che si infransero contro una realtà spietata. Crocco non ebbe la grazia e i galantuomini mantennero intatti i loro privilegi, terre comprese. L’unico cambio fu la sostituzione dei gigli della bandiera borbonica col tricolore. Il nemico di chi è povero è uno solo: la fame, frutto di ingiustizie e disuguaglianze sociali. «Noi non intendiamo batterci per il vostro re- scriveva Crocco al generale borbonico Josè Borjes- Per noi un re vale l’altro. I nostri nemici sono i galantuomini che ci negano ogni diritto, ci hanno sempre sfruttato e ci hanno costretti a diventare briganti». Il caso di Crocco non esclude che tra le file dei briganti ci fossero dei puri e semplici criminali, vista l’ampiezza del fenomeno. Eppure la nascita delle leghe contadine nei primi anni del novecento in Basilicata mostrarono come quella ricerca di riscatto dei braccianti sia sempre esistita e fosse legittima. Questi organismi, legalmente riconosciuti, hanno consentito ai contadini di negoziare col proprietario terriero il loro salario e i fitti di terreni dati in affidamento attraverso il diritto allo sciopero. Il primo passo verso una società più giusta.

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