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Salute

Le malattie al femminile, tra sottovalutazioni e silenzi

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Le malattie vulvovaginali, l’endometriosi, dispareunia, vaginismo e vulvodinia sono malattie spesso poco attenzionate  ma molto invasive, e che colpiscono una rilevante percentuale di donne.

di Antonio Virgili                                                                                                                                                                                                          Vicepresidente LIDU onlus e membro Pudendal Neuralgia Association

Ci sono disturbi causati da malattie infettive dei quali si parla molto ed altri dei quali, invece, si sottovalutano diffusione e conseguenze. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità una malattia si considera endemica quando “l’agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato ma uniformemente distribuito nel tempo”. Quelle infettive sono tra le più comuni forme epidemiche e endemiche, ad esempio tutti hanno sentito parlare delle forme influenzali e dei raffreddori autunnali ed invernali. Le malattie infettive possono essere causate principalmente da batteri, virus e funghi.  Quando il corpo umano viene a contatto con un germe si difende adottando sistemi di mantenimento del proprio equilibrio interno. Dopo una prima barriera, costituita dalla cute e dalle mucose, spetta al sistema immunitario provvedere alle difese contro gli agenti microbici.

Altri disturbi, pur essendo diffusi, sono meno oggetto di attenzione e discussione, è questo il caso di vari disturbi dell’area vulvovaginale, forse ritenendo, per vari motivi, poco opportuno parlarne e lasciandoli a margine. Si tratta di tre tipologie che nel loro insieme coinvolgono una ampia parte della popolazione femminile e che sono usualmente meno poste all’attenzione. Come risulta chiaramente dalla letteratura scientifica ed epidemiologica, il 75% della popolazione femminile ha avuto, o avrà nella vita, un episodio di vulvovaginite da Candida, il 40-50% nel corso della propria vita presenterà una recidiva e il 5% della popolazione femminile adulta presenta almeno 4 o più episodi infettivi l’anno. Cifre tutt’altro che marginali.   Le malattie vulvovaginali causate da funghi rappresentano oggi circa il 30-35% delle infezioni vaginali e costituiscono una delle più frequenti cause di consultazione specialistica (ostetrico-ginecologica). La vulvovaginite micotica è una malattia tipica dell’età riproduttiva a diffusione ubiquitaria, piuttosto debilitante per la donna, sul piano sia fisico sia psichico. Il responsabile della vulvovaginite micotica è nella maggior parte dei casi la Candida albicans, una specie microbica che trova nell’ambiente vaginale le condizioni ideali per la sua proliferazione.  Circa il 50% delle vulvovaginiti da Candida è rappresentato dalla specie albicans, il resto è rappresentato dalle forme “non albicans”, ossia da Candida tropicalis, pseudotropicalis, Krusei, glabrata, parapsilosis.  Secondo studi statunitensi, il numero di donne affette da vulvovaginiti micotiche non solo è ancora sottostimato, ma non regredisce quanto potrebbe per approssimazioni diagnostiche che ostacolano interventi mirati specifici. Diagnosi non accurate facilitano infatti la riproposizione dell’infezione a distanza di tempo e il rischio di cronicizzarla.

Non solo forme micotiche e infettive, però. Se da una decina di anni è stata istituita a livello internazionale la “Giornata mondiale dell’endometriosi” è per la consistente presenza di tale problema, in Italia l’endometriosi riguarda complessivamente circa tre milioni di donne e oltre 150 milioni nel mondo.  L’endometriosi colpisce nel nostro Paese più di 1 milione e 800 mila donne in età riproduttiva, ed è dovuta alla presenza di endometrio, la mucosa che ricopre internamente l’utero, all’esterno dell’utero. L’endometriosi ha un notevole impatto sulla qualità della vita, sia per l’aspetto sintomatologico (dolori mestruali, dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali, ecc.), sia per le potenziali ricadute sulla capacità riproduttiva: si stima che tra il 30-40% delle donne che soffrono di endometriosi possa riscontrare problemi di fertilità o sub-fertilità. Lo rileva l’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui negli ultimi 10 anni sono stati registrati più di 113 mila ricoveri incidenti di endometriosi con un tasso di incidenza pari a 0.82 casi per 1000 donne residenti in età fertile (15-50 anni).  Molto spesso chi ne soffre è costretta dal dolore delle mestruazioni a ridurre la frequenza scolastica o ad assumere farmaci, a non fare sport e a ridurre le uscite con gli amici, se coincidono con i giorni del ciclo. A ciò si aggiunge, talora, il non essere adeguatamente supportate da famiglia e dagli stessi medici.  Senza voler generalizzare, si stima che circa il 60% delle ragazze con dolore pelvico associato al ciclo mestruale possa avere l’endometriosi.

Secondo una analisi dell’University College di Londra (pubblicata sul Journal of Pediatric & Adolescent Gynecology), esaminando 19 studi, condotti tra il 2011 e il 2019, su un totale di 1.243 ragazze, di età compresa tra i 10 e i 25 anni, con dolore mestruale cronico, l’incidenza dell’endometriosi è stata riscontrata in sei su 10.  La ricerca scientifica sulle cause ha dato risultati ancora parziali, alcuni approfondimenti preliminari effettuati dall’Istituto Superiore di Sanità mostrano che il rischio di incidenza di endometriosi potrebbe essere associato alla residenza in aree contaminate da inquinanti persistenti che si bio-accumulano, con potenziale azione di interferenza endocrina, quali i policlorobifenili, le diossine, il piombo e il cadmio. Lo studio si basa su approcci di analisi e mappatura del rischio su base comunale, e suggerisce l’opportunità di attivare sistemi di sorveglianza epidemiologica integrati al monitoraggio ambientale in aree fortemente contaminate. Frattanto, secondo dati dell’Agenzia Italiana del farmaco, ogni anno in Italia per il Servizio Sanitario ha un costo di oltre 120 milioni di euro di farmaci per le terapie.

Il terzo insieme è dato da forme algiche di diversa origine che comunque riguardano percentuali abbastanza significative di donne. Dispareunia, vaginismo e vulvodinia sono però ancora meno citate o lo sono in modo riduttivo, forse perché in parte collegabili alla sessualità (tema spesso omesso).  Colpiscono dal 12 al 17% delle donne in età fertile e fino al 44% delle donne in post-menopausa. La dispareunia in post-menopausa è più frequente per l’atrofia progressiva dei tessuti. Questi disturbi possono avere molteplici cause, tra le più comuni sono infezioni e infiammazioni (es.: candidosi), herpes e nevralgie. Ma lo spettro eziologico si può allargare a cause genetiche, traumi, riflessi e tensioni muscolari anomale, ormonali, immunitarie, psicologiche, anatomiche o culturali (quelle causate dalle mutilazioni genitali femminili), l’uso di alcune sostanze presenti nei contraccettivi. Si tratta, comunque, di disturbi che alimentano disagio fisico e psicologico-relazionale e che possono segnare per molti anni. L’OMS e vari istituti specializzati nel settore stanno cercando di migliorare l’informazione e la comunicazione su questi temi, attraverso azioni progressive di censimento emerge una presenza di algie e disturbi che tutti concordano essere stata sottostimata. Nel 2015 è stata elaborata una nuova classificazione di questi disturbi proprio per l’ampia varietà di condizioni cliniche, con differenti eziologie e fisiopatologie, ma tutte con un sintomo comune: un dolore vulvare cronico invalidante, continuo o intermittente, spontaneo o provocato. Sebbene si debba evitare anche una eccessiva medicalizzazione e farmacologizzazione per alcune di queste patologie, una individuazione dei disturbi precoce e corretta consente una migliore gestione della situazione, l’avvio di interventi mirati (sebbene non sempre ci siano terapie o procedure certe e sempre efficaci) e, se non una soluzione definitiva, almeno ottenere una regressione e limitazione del disagio. I primi passi sono una maggiore informazione e comunicazione, l’emersione del problema affinché possa definirsene ancora meglio la diffusione e un maggior sostegno alle donne che ne soffrono.

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