Connect with us

Italiani nel Mondo

L’Argentina secondo gli occhi di Giampaolo Scarton. Un poeta delle immagini

Published

on

Tempo di lettura: 7 minuti

Giampaolo Scarton è un biologo ed imprenditore italiano, emigrato in Argentina, è anche un fotografo amatoriale che viaggia per tutto questo paese alla ricerca di persone con una storia umana da raccontare.

di Edda Cinarelli

Giampaolo Scarton è un imprenditore italiano, emigrato in Argentina, è anche un fotografo amatoriale che viaggia per tutto questo paese alla ricerca di persone con una storia umana da raccontare. Le incontra, gli parla a lungo per capirle, per immedesimarsi con loro e poi le fotografa. Si definisce un cacciatore di storie, un “narratore” di esperienze di vita che trasmette con la luce. Ogni sua foto quindi ritrae un momento specifico da cui si risale alla vita della persona o delle persone ritratte cioè ogni foto ritrae un momento specifico ma trasmette la storia intera di una persona o di un gruppo.

È inevitabile parlandogli ricordare Syria Poletti, Antonio Dal Massetto, Giuseppe Tomasi, scalabriniano brillante giornalista, Manrico Zago, e gli altri incredibili narratori di storie che l’immigrazione italiana ha espresso in Argentina.

 Si considera uno scrittore?

No, sono uno scrittore della Luce perché racconto storie con la luce.

 Viaggia molto, La seguo nei suoi viaggi. Mi pare che sia stato nella maggior parte delle province argentine.

Direi che lavoro per poter viaggiare, detto in un altro modo quello che guadagno lo spendo in viaggi.

Come è nata questa passione?

in famiglia. Mio padre ha avuto la bella idea di farmi crescere con lui. Gli piaceva giocare a carte e mi diceva:” Vuoi venire a vedere come si gioca a carte?”. Lo accompagnavo, guardavo e lui mi trasmetteva tutti i suoi stati d’animo. Alcuni li condividevo, altri no, però le carte per me sono state una passione perché vedevo mio padre fare partite con gli altri e notavo le sensazioni umane: la rabbia, l’astuzia, la voglia di vincere e l’eventuale arrabbiatura verso il compagno di gioco. Era un mare di emozioni, un’esperienza coinvolgente. Così quando avevo diciassette, diciotto, venti anni, ho iniziato ad andare con un amico a giocare a carte nei paesetti d’Italia. Andavamo paese per paese a giocarci una bottiglia di vino, la minestra. Ho vissuto quindi con le persone grandi, le persone che hanno fatto la Resistenza, quelle che hanno combattuto nella Seconda Guerra Mondiale. Il fatto che si giocava a carte, si vinceva o si perdeva non era importante, lo era vivere le vite degli altri, conoscere il passato e farlo proprio come fosse stato un’esperienza personale. Con il passare del tempo, queste persone sono scomparse per un fatto biologico ed è finito questo mondo. In Italia è morto non c’è più. Non ci sono più le bettole, dove gli anziani andavano a giocare a carte e permettevano agli estranei di unirsi al gioco. Ora si continua a giocare a carte ma le persone sono gelose del loro tavolo da gioco e non permettono agli estranei di partecipare. Diffidano, sospettano che possano essere dei truffatori, quindi è un mondo che, secondo me, è scomparso ed ho ritrovato in Argentina.

Dove?

Nei paesi, tu vai in qualunque paese e trovi gente che ha voglia di parlarti, di aprirsi. Ho detto quindi a degli amici di andare insieme a documentare questo mondo che probabilmente sparirà anche qua, come è scomparso in Italia. Così abbiamo cominciato a viaggiare alla ricerca di personaggi e di storie. In questo ultimo viaggio, che abbiamo fatto nel Sud di Salta, a Catamarca e a Tucumán, avevamo bisogno di qualcuno che ci potesse presentare persone rappresentative di quella cultura. Abbiamo cominciato a fare delle telefonate. Poi abbiamo trovato un posto splendido che si chiama Finca Albarossa, di proprietà di un italiano che vive a Santa Maria, un comune di Catamarca al confine tra le questa Provincia, Salta e Tucuman, anche lui con una storia impressionante. Gli ho telefonato, non lo conoscevo, e gli ho detto: “Senti, sono io ed un altro fotografo, ci vorremmo ospitare da te però alla condizione che ci faccia conoscere persone con delle esperienze di vita da raccontare”. Abbiamo cominciato a parlare, lui si è appassionato ed ha risposto: Sì, mi piace l’idea. La persona che lavora con me conosce tanta gente, voi venite e noi vi facciamo scoprire storie di vita.

Chi vi ha fatto conoscere?

Per incominciare Candelaria, la donna più anziana della Provincie di Catamarca, Salta, e Tucuman. Ha 110 anni, è nata nel 1913. Siamo andati a intervistarla ed è stata un’esperienza straordinaria.

È lucida? Si ricorda del suo passato?

Di tutto. C’è stato un momento in cui ha fatto una riflessione da pelle d’oca. Stava raccontando di quando lei aveva sette anni e viaggiava con il padre, per tre giorni a cavallo, per andare a Tucuman a pelare la canna da zucchero. Lavoravano praticamente due giorni, quasi senza dormire, pelando questa canna. Lei ha riflettuto: “Io a quell’epoca guadagnavo un peso però valeva, oggi neanche un milione di pesos ha lo stesso valore di quel peso di prima”.

Ma allora i lavoratori a giornata i “giornalieri” non stavano tanto male?

No, nel senso che quello che Candelaria guadagnava le ha permesso di avere una vita, di sposarsi ed avere sette figli e crescerli. Durante l’intervista accanto a lei c’erano due dei suoi figli. Questa signora, l’anno scorso ha avuto un grave problema di salute e la sua famiglia ha fatto una colletta per farla operare.

 Aveva 109 anni?

Sì, e si è potuta operare grazie all’aiuto dei figli. Raccontava che tutti i lavoratori ospedalieri, medici, infermieri, maestranze le stavano intorno perché erano sorpresi dal fatto che era uscita dall’operazione in maniera perfetta.

Ma perché il sistema sanitario ha operato una donna di 109 anni?

Perché i figli le vogliono un bene enorme, l’hanno protetta in una forma che si può capire solo stando lì con lei e i suoi figli. Il sorriso che avevano! È stato anche divertente perché prima di farle la foto, mentre le parlavo, le ho mostrato il simbolo L.O.L e gliene ho spiegato il significato. Le è piaciuto e ha voluto che la fotografassi mentre lo faceva lei, Sono riuscito a farle fare il simbolo di L.O.L. Non c’è un’altra donna di quell’età che faccia L.O.L., che spirito!

Un’altra persona?

Da lì siamo andati nella bottega artigianale di una signora che ancora oggi fila la lana a mano. Le abbiamo chiesto di mostrarci come faceva, che significa per lei oggi continuare a fare questo mestiere e se c’è mercato, se vende le matasse. Ha risposto che fa questo lavoro da quando era piccola, che le donne della sua famiglia se lo erano tramandato di generazione in generazione. Ci ha parlato del suo rapporto con gli animali, che sono il suo contatto con la vita. Ci ha meravigliati il fatto che avesse un capretto come mascotte, il capretto ci seguiva ovunque come avrebbe fatto un cagnolino. Saliva sul tavolo. È stata un’esperienza bellissima, lei ci ha parlato della transumanza che ancora oggi fa nello stesso modo in cui la facevano i suoi nonni.

Dove si possono trovare gli artigiani?

C’è la Ruta de los artesanos, che è vicino a Cachi, dove ci sono ancora gli artigiani che fanno tutto a mano, sono rimasti in pochi e lei è una di questi. Questi mestieri scompariranno, muore lei che ha già 82 anni, e non ci sarà più nessuno a filare la lana. Abbiamo chiesto ad alcuni artigiani se i loro figli continuassero il loro mestiere e hanno risposto: assolutamente no.

 Perché?

Perché non fanno più parte della cultura.

Stiamo attraversando un momento di transizione dove si stanno perdendo molti aspetti della cultura tradizionale però non abbiamo ancora acquisito quelli della cultura attuale o immediatamente futura. Siamo in un limbo, solo le persone altamente specializzate sono entrate in quella tecnologica.

 Un altro artigiano?

Siamo andati a casa dell’ultimo artigiano dei coltelli a mano, coltellinaio, usa tutti i pezzi di ferro che trova, ma dice che il ferro migliore è quello della lama dell’aratro antico, che ora è introvabile.

Ad un certo punto gli ho chiesto: Lei non ha dei figli interessati al suo mestiere? Lui mi ha guardato con uno sguardo tristissimo e mi ha detto “È da un anno che non faccio più un coltello perché mio figlio è morto”.

Per il momento abbiamo riposto le macchine fotografiche perché quando entriamo in un’intimità non ci sentiamo in diritto di filmare.

 Ti sono sembrate molto interessanti queste storie?

Mi sono sembrate interessanti le persone che ho incontrato e mi è piaciuto il paesaggio di quella zona. I popoli andini venerano la Pachamama, la madre terra, da cui dipende tutto. Hanno un’altra visione del mondo che li circonda e un’esperienza in quei luoghi si carica di esperienze paranormali. Nella Garganta del Diablo, dove c’è un insediamento antico, c’è un’atmosfera surreale che contagia così ho avuto l’impressione di vivere un’esperienza extrasensoriale. C’era una bambina che sembrava un grillo, saltava di roccia in roccia. Secondo una leggenda in questa Garganta appare il diavolo in forme diverse. È stato divertente, perché mi chiedevo se lei non fosse una manifestazione del diavolo e nelle foto volevo trasmettere questa presenza sovrannaturale.

E’ quello che si nota nelle foto, trasmetti messaggi spirituali sovrannaturali. 

Esatto, la Garganta del diablo mi ricorda un mondo sotterraneo, l’oltretomba, è complicatissimo scendere per conoscerla, sono riuscito a vederla con un drone. Sempre con un drone ho ripreso un saluto alla Pachamama e al dio Sole. Mi sono reso conto che stava succedendo e che non avrei fatto in tempo ad avvicinarmi allora l’ho ripreso con un drone.

Non sapevo che in Argentina si facessero ancora i saluti alla Pachamama.

Quella zona è incredibile, il paesaggio è surreale e si ha l’impressione di vivere esperienze paranormali.

Santa Maria siamo andati a trovare l’artista Enrique Salvatierra, fa di tutto, quadri, sculture, è un musicista nato. È impressionante la sua versatilità artistica. Alcuni anni fa ha rappresentato l’Argentina alla Biennale di Venezia.

Anche lui dopo ore di dialogo si apre e racconta episodi di questo tipo, del vento che soffia forte e racconta agli alberi quello che succede, soprattutto quando sono fatti eccezionali. Gli alberi sentono la storia e iniziano a oscillare, Il cielo si oscura, il clima cambia completamente, arriva la tempesta, piogge, tuoni e allora le donne con i loro mantelli lottano contro la tormenta per cacciarla. È un mondo sconvolgente, la gente crede in questa realtà e si finisce per condividere queste credenze. Lui, dopo aver vissuto un’esperienza simile, l’ha tradotta in una musica che suona spesso. È di un’intensità enorme e trasmette il movimento degli alberi, il vento che soffia, il rumore dei tuoni e la forza dei fulmini. Si riesce a sentire le forze della natura in agitazione.

Sta parlando di un mondo sensoriale ma anche spirituale?

È un mondo altamente spirituale ma per trasmetterlo le persone hanno bisogno di fidarsi dell’interlocutore

La spiritualità, che tutti ci portiamo appresso, è come una bottiglia con un tappo, quando si stappa le emozioni escono da sole è però difficile incontrare le persone che ci ispirano fiducia.

Se desiderate vedere le foto di questo incredibile scrittore della luce, cercate su Faceboook Giampaolo Scarton.

Le stupende foto dell’articolo sono estratte dal profilo FB di Giampaolo Scarton.

Print Friendly, PDF & Email