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In Giappone si muore per troppo lavoro. Frena l’economia nipponica

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Ogni anno centinaia di dipendenti  sono stroncati da infarto o si suicidano perché sfruttati e costretti a fare gratis fino  a 100 ore di straordinario al mese.

di Vito Nicola Lacerenza

“Il lavoro nobilita gli uomini perché li rende forti e indipendenti”, ha scritto il poeta Romano Ovidio. Una vita fatta di giornate lavorative interminabili però finisce per logorarli nel fisico e nella mente portandoli fino al suicidio. Si tratta della “morte per il troppo lavoro”, un fenomeno sempre più diffuso in Giappone, dove ogni anno centinaia di lavoratori perdono la vita a causa dello stress eccessivo. Intenti a svolgere diligentemente il loro dovere, moltissimi giapponesi sono stroncati da infarti oppure muoiono lentamente, divorati da una depressione che giorno dopo giorno cancella le loro esistenze. «La mia vita non vale nulla, ho paura persino di dormire- ha scritto un lavoratore giapponese di 24 anni prima di suicidarsi- perché i giapponesi lavorano così tanto? È ovvio che la mia depressione è dovuta al troppo lavoro  ma non posso continuare a sentirmi così, non posso più tollerare questa situazione. Credo che sceglierò di morire».

La madre della vittima, Michiyo Nishigaki, ha raccontato che suo figlio,  assunto come ingegnere in un’azienda di telecomunicazioni, era costretto a lavorare fino a notte fonda e a volte anche per 37 ore consecutive.  Le autorità nipponiche, attraverso un sondaggio, hanno calcolato che il 12% dei lavoratori è costretto a fare 100 ore gratuite di straordinario al mese mentre la maggior parte degli assunti ne fa 80, soglia che i medici  ritengono sufficiente per debilitare per sempre una persona o ucciderla per il troppo lavoro. Nella lingua giapponese tale decesso viene chiamato Karoshi, che in italiano significa “morte per il troppo lavoro”.  Sacrificare la propria vita per il lavoro è un concetto che ad un occidentale può risultare assurdo, ma in Giappone “il sacrificio e il duro lavoro” rappresentano due valori fondanti della società nipponica e, nonostante gli effetti nefasti che i due principii hanno sulla popolazione, sono comunemente accettati dai cittadini.

Per molti ragazzi fare carriera in una grande azienda è l’unico modo per soddisfare le aspettative dei genitori, che, dopo aver speso gran parte del patrimonio familiare per farli studiare in scuole prestigiose, pretendono che i figli si affermino nella società. Oggi però il mondo del lavoro giapponese riserva ai giovani contratti a tempo determinato e non a vita come in passato. Tale situazione fa sì che le aziende assumano dipendenti appena usciti dall’università e desiderosi di fare carriera. Quasi tutti hanno un’età di poco superiore ai vent’anni. Sono giovanissimi, pieni di energie e determinati a fare qualunque cosa pur di realizzarsi. I datori di lavoro lo sanno e li fanno lavorare giorno e notte per due o tre anni, finché lo stress non li consuma. Una volta sopraggiunti i problemi di salute, la depressione o l’esaurimento nervoso i giovani vengono licenziati e ne vengono assunti altri, più “freschi”, appena usciti dall’università. Un caso eclatante è stato quello di Matsuri Takahashi, la ragazza giapponese che il giorno di Natale  del 2015 si è tolta la vita, gettandosi dalla finestra della sua abitazione. Era una dipendente della Dentsu, un’importante agenzia pubblicitaria giapponese che ogni mese costringeva la ragazza a fare 100 ore di straordinario gratuite al mese.

Lo sfruttamento dei lavoratori è una pratica che nel corso degli anni ha consentito al Giappone, una nazione dalle modeste dimensioni geografiche, di diventare una potenza economica capace di competere coi giganti del mercato internazionale: USA, Cina e India. Ma ultimamente la produttività dell’industria nipponica è scesa drasticamente a causa, secondo il governo, del forte malessere dominante tra i cittadini. Ecco perché il primo ministro giapponese Shinzō Abe ha fatto approvare in parlamento una nuova riforma del lavoro volta a concedere più tempo libero ai lavoratori, che ogni ultimo venerdì del mese potranno uscire dall’ufficio alle 15:00.

Un evento senza precedenti nella storia del Giappone. Così come l’istituzione della giornata del “Torna a Casa in Anticipo”, un’ iniziativa promossa dal governo insieme agli imprenditori che concede ai dipendenti più giorni liberi al mese. Sebbene la nuova riforma del lavoro sia innovativa, molti osservatori la ritengono inadeguata a risolvere il problema dei  Karoshi (morti per il troppo lavoro), dal momento che non sono previste sanzioni per le aziende che non si attengono alla nuova normativa. Inoltre gli stessi lavoratori si rifiutano di “tornare a casa in anticipo” in quanto tale comportamento è ritenuto “disonorevole”. La cultura del “sacrificio e del duro lavoro” è antica e ben radicata in Giappone. Ci vorrà tempo prima che la società possa abituarsi al cambiamento.

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