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Diritti umani

I 75 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

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La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è un documento fondamentale, che proclama i diritti inalienabili di cui tutti possono avvalersi in quanto esseri umani, indipendentemente da etnia, religione, sesso, lingua, opinione politica, origine nazionale o sociale, proprietà, nascita o altro status.

di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus Odv

Il 10 dicembre 2023 non è solo la ricorrenza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma è anche il 75° anniversario di tale importante documento, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.  La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è un documento fondamentale, che proclama i diritti inalienabili di cui tutti possono avvalersi in quanto esseri umani, indipendentemente da etnia, religione, sesso, lingua, opinione politica, origine nazionale o sociale, proprietà, nascita o altro status.  I suoi settantacinque anni non hanno reso superata la Dichiarazione che anzi è oggi più attuale di quanto possa essere apparso qualche anno or sono.  Le guerre in corso, le diseguaglianze, le discriminazioni e tanti altri aspetti critici in tema di diritti umani la rendono estremamente viva e programmatica diversamente da quanto qualche denigratore sostiene.  Certamente è una dichiarazione tuttora “scomoda” per molte società e molti Paesi, ma non per una presunta discriminazione culturale, o perché strumento di potere dei Paesi europei, come pure si è sostenuto.  Essa è un frutto positivo della storia e dell’evoluzione giuridica dei Paesi europei, ma non gradito a tutte quelle società, culture e religioni totalizzanti e ideologicamente rigide.  Come si evidenzia nel preambolo: “il riconoscimento della dignità intrinseca e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Dal 1948 ad oggi molti miglioramenti in tema di diritti sono stati ottenuti in molte regioni del mondo, purtroppo in altre aree la situazione è ferma, o addirittura in regressione.  Se la Dichiarazione fosse superata o superflua non sarebbe tuttora oggetto di continui attacchi e critiche negative, una messa in discussione che ha diverse forme e modalità ma che mira, comunque, a indebolirla e offuscarne il valore.

Tre risultano gli attacchi più comuni e diffusi alla DUDU, il primo è la presunta cosiddetta “occidentalità prevaricante” della dichiarazione, cioè essa avrebbe un contenuto giuridico troppo legato alla cultura e storia europei. Tale critica è frutto di una visione tanto autoreferenziale e nazionalistica quanto quella che si dichiara di voler contrastare.  Con ragionamenti analoghi anche le scoperte scientifiche e tecnologiche con chiare radici europee (e sono tantissime) dovrebbero essere rifiutate perché frutto di una data cultura, ma non si ha il coraggio di farlo per il rischio, forse, di tornare indietro di alcuni secoli ed anche perché sarebbe comunque una scelta stupida. Non avendo il coraggio di dichiarare apertamente l’arretratezza presente in alcune realtà, si discetta in modo retorico circa una presunta forte impronta culturale e antropologica ”occidentale” della Dichiarazione, che andrebbe ridotta o modificata.  Si evidenzia in ciò un malcelato disprezzo per la cultura e la storia europei, si citano eventi storici negativi estranei alla Dichiarazione, uno per tutti il colonialismo, per mescolarli confusamente agli aspetti giuridici. Ma, quali Paesi sono stati immuni da sfruttamento, schiavitù, discriminazioni, violenza?  Nessuno, pure si evidenziano solo le vicende negative europee per sminuire il valore della cultura giuridica europea.  Il dato più incredibile, ed allarmante, è la parziale manipolazione di una parte dei mass media e degli stessi europei, alcuni dei quali sarebbero oramai disposti ad accettare tortura, discriminazioni, o violenze di vario genere, in nome di un presunto “rispetto” per le altre culture. Con ciò, ancora una volta, indebolendo e sminuendo il valore dei risultati raggiunti e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Il secondo tipo di contestazione riguarda i persistenti deficit di eguaglianza e la non ancora piena applicazione di tali principi anche nei Paesi europei od occidentali. Si sottolineano tutte le imperfezioni presenti in tali Paesi tacendo spesso sulle macroscopiche differenze negative presenti in tanti altri Paesi non occidentali. Che senso ha, ad esempio, recriminare per la ancora non piena presenza femminile nelle istituzioni di molti Paesi europei a fronte di donne incarcerate o uccise perché donne o perché indossano male il velo in altri Paesi del vicino oriente, e non solo?  O lamentarsi che in Europa persistono degli atteggiamenti razzisti mentre ad alcune centinaia di chilometri fuori d’Europa migliaia di persone sono uccise solo perché di altra etnia o religione senza alcuna difesa giuridica?  Come ci si chiede nel Vangelo: «Perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire a tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.» (Matteo 7,1-5)   Non risulta eccessivo quanto qualche osservatore ha affermato, in vari ambiti c’è una sorta di assalto in corso contro tutto ciò che ha a che fare con il mondo occidentale: il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Negli ultimi anni è diventato chiaro che c’è una costante emergente ostilità, una specie di guerra culturale all’Occidente in corso. È una conflittualità culturale che viene condotta implacabilmente contro tutte le radici della tradizione occidentale e contro tutto ciò che di buono la tradizione occidentale ha prodotto. Cancellare e riscrivere la storia, i nomi, le vicende, l’arte, negare i progressi, condannare schematizzando, come se il mondo non occidentale fosse sempre composto da paradisiaci innocenti. Tale tendenza si ritrova anche nella progressiva manipolazione dell’infosfera secondo la quale l’Occidente viene spesso descritto usando un insieme manicheo di riferimenti (colonizzatori, sfruttatori, capitalisti, razzisti, ecc.) mentre per il resto del mondo si usa un diverso schema (sfruttati, emarginati, giusti, equi, pacifisti, bisognosi di riscatto, ecc.). Un approccio secondo il quale risulta che l’Occidente non possa fare nulla di positivo e giusto e il resto del mondo nulla di sbagliato, modalità simmetrica ed opposta a quella che si vorrebbe combattere quando si accusano i media occidentali di descrivere gli altri popoli in modo schematico e distorto.  Del resto, come in altra sede evidenziato, già il termine “Occidentale” è usato ambiguamente ed imprecisamente, così come lo sono, del resto, i termini Islam e islamismo, capitalismo, colonialismo, schiavismo, ed altri. Dalla cancel culture al politicamente corretto, dalle mode omogeneizzanti alle manipolazioni terminologiche, più che una auspicata maturazione verso una convivenza basata sul reciproco rispetto, appare una costante reciproca messa in stato di accusa. La rabbia e il rifiuto di integrazione di molti migranti e figli di migranti presenti in Europa purtroppo non sono segnali positivi, così come non lo è la ripresa di contrapposizioni basate su motivazioni religiose o etniche. Si procede in direzione sociale e culturale opposta rispetto a quella dichiarata e la facilità nel manipolare informazioni e dati accresce la confusione.  

Il terzo tipo di attacco è meno rozzo, simile a quello che la Cina oggi sostiene, e vari Paesi islamici hanno sostenuto anni addietro. Si afferma che, se in linea generale è giusto affermare e riconoscere dei diritti fondamentali a tutti, essi vanno però calati nelle specificità storiche e culturali locali, adattandoli agli usi consolidati tipici di quelle realtà. Nonostante la apparente ragionevolezza della obiezione, essa è una sostanziale negazione della universalità dei diritti fondamentali, per cui essi possono essere riconosciuti, o essere validi, ma solo se il partito, la sharia, o qualche altro riferimento religioso, politico o culturale lo consentono. Richieste esplicitate, ad esempio, nella Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo, del 1981, nella quale i limiti invalicabili posti sono quelli della religione islamica e dei suoi usi consolidati (hadith). Il problema è che in molti Paesi a maggioranza islamica diversi diritti fondamentali non sono garantiti, conformemente a quanto previsto o consentito dalla religione. Discorso analogo potrebbe essere quello di tutti quei Paesi dittatoriali di altra estrazione culturale nei quali il limite è fissato dalla scelta del partito unico o del gruppo etnico o religioso dominante. Siccome i Diritti Umani fissano uno spazio di libertà individuale positiva e di base, risulta contraddittorio che essi non possano e debbano essere universali, cioè rivolti alla generalità e totalità delle persone. Introdurre delle categorie o delle limitazioni ulteriori, in contesti nei quali si registra assenza di diritti fondamentali risulta uno svuotamento di fatto dei diritti stessi e l’apertura a dfferenziazioni e discriminazioni non controllabili.  Un ritorno al passato. La storia descrive come l’emergere dei Diritti fondamentali sia risultato elemento innovativo e di evoluzione migliorativa nei tanti contesti preesistenti (a partire da quelli europei antichi) nei quali divieti, obblighi e limiti prevalevano nettamente sui diritti. Le differenze, di casta, di ceto, di genere, etniche, religiose, ecc. ci sono sempre state, in ciò l’innovazione della DUDU che all’art. 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.  Non erano certo i doveri specifici ad essere assenti ma lo erano i diritti individuali e sociali, non ha quindi senso obiettare che la Dichiarazione preveda prevalentemente dei diritti e non dei doveri. Per portare due esempi cardine: nella Dichiarazione gli art. 25, diritto di accesso a cure mediche, e art. 26, diritto all’istruzione. Essi in Italia sono costituzionalmente sanciti negli articoli 32 e 34, ma sono assenti in molte realtà e Paesi per discriminazioni di genere, etniche o religiose.  Si considerano un valore queste discriminazioni?  Quanto ai tanto invocati (da alcuni) doveri, la DUDU all’art. 29 recita: “Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità. Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.”  Un invito molto ampio che avrebbe dovuto unire e non dividere.

Le Nazioni Unite hanno previsto per quest’anno del 75° anniversario una sorta di campagna a sostegno della Dichiarazione, incentrata su alcuni punti chiave poiché “È assolutamente chiaro che dobbiamo riconquistare l’universalità dei diritti umani, l’indivisibilità dei diritti umani, e dobbiamo trovare una nuova energia che motivi i giovani di tutto il mondo”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Tür. I punti principali della campagna sono:

  • La Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce i diritti di tutti gli esseri umani in quanto tali.
  • In quanto “standard comune di realizzazione per tutti i popoli e tutte le nazioni”, l’UDHR è un progetto globale per le leggi e le politiche internazionali, nazionali e locali e un fondamento dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
  • Quando e ovunque i valori dell’umanità vengono abbandonati, siamo tutti maggiormente a rischio. Le soluzioni alle più grandi crisi odierne sono radicate nei diritti umani.
  • Dobbiamo difendere i nostri diritti e quelli degli altri.
  • Abbiamo bisogno di un’economia che investa nei diritti umani e lavori per tutti.

Un invito chiaro ad essere attivi, difensori e partecipi, poiché i diritti acquisiti possono essere persi,  poco alla volta o di colpo, quindi vanno praticati e sostenuti, anche nel comune interesse ad una convivenza pacifica che si associ a miglioramenti delle condizioni di vita.

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