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Economia primaria e secondaria: il ruolo dei Brics oggi

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BRICS è un raggruppamento di Stati caratterizzato da economie in evidente crescita quantitativa.

Sergio Bevilacqua

Chi sono i BRICS? Una veloce analisi critica, consente di appoggiare una prima risposta a una definizione corrente che, opportunamente emendata da alcune eccessive generalizzazioni e imprecisioni tecnico-economiche fuorvianti, così potrebbe recitare: BRICS è un raggruppamento di Stati caratterizzato da economie in evidente crescita quantitativa, formato dai Paesi del precedente BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) con l’aggiunta di Sudafrica (nel 2010) e di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran nel 2024, cui si sono aggiunti alla convention di Kazan di poche settimane fa molti altri Paesi in qualità di osservatori interessati. Secondo l’economista della Goldman Sachs Jim O Neill, autore nel 2001 dell’acronimo originale BRIC, il P.I.L. di questi Stati avrebbe sviluppato entro il 2050 dimensioni quantitative collettive superiori agli altri Stati dell’economia globale.

Ciò è abbondantemente intuibile, in quanto se compariamo l’efficienza economica dell’Occidente sviluppato rispetto soprattutto a Paesi BRICS già dotati d’infrastrutture industriali consistenti, come Cina, e di altri in veloce evoluzione come India, notiamo che la maturazione del mercato interno è di 1 a 5; quindi, calcolando che solo questi due ambiti antropici senza il loro voluminoso indotto geopolitico rappresentano oltre il 40% della entità potenziale di consumo e investimento del mondo, anche senza arrivare al PIL pro-capite degli USA (che è appunto 5 volte oggi) il solo raddoppio, che è ampiamente prevedibile, porterà a dimensioni irraggiungibili dalle economie più cospicue oggi, che sono quelle di USA-UE.

Va peraltro segnalato che la crescita dimensionale del “PIL di Paese” non rappresenta in sé fattore strategico di successo globale del Paese stesso: esso è prima di tutto indicatore di migliore adattamento delle popolazioni degli Stati al loro ambiente. In alcuni Paesi, poi, dove la dimensione statale è ancora molto rilevante e probabilmente opportuna, l’economia è ancora circoscritta con un certo vigore, anche in parte giustificato, da istituzioni politiche che amministrano il territorio e le sue popolazioni. Caso emblematico è quello della Cina, la cui politica vede una grandissima attenzione alla creazione, all’interno del suo territorio, di infrastrutture utili allo sviluppo economico, in particolare industriale, proprio grazie all’opportunità di un mercato interno gigantesco e ancora in buona parte in gestazione. Ciò non osta alla strategia globale che in modo vigoroso il Paese di Pechino e Shangai dovrà portare avanti, per il fatto di essere un cliente principale di materie prime ed energia, data la connotazione eminentemente di trasformazione della sua economia; ma al momento, e per qualche lustro ancora, la politica cinese sarà baricentrata sullo sviluppo del mercato interno, che rappresenta un’opportunità di gran lunga prevalente per il benessere delle popolazioni cinesi rispetto alle competizioni globali, che al momento vedono comunque la Cina ottenere grandi risultati. La via del benessere tramite l’economia e non tramite la guerra, effetto antropologico della Nuova Umanità figlia del ciclo rivoluzione scientifica-tecnologica-industriale-economica-socioantropologica, vede tutti i Paesi secondari attestati sulla tutela delle infrastrutture, dei mercati e delle motivazioni d’acquisto e aspettative d’impresa, e dunque della Pace, non perché moralmente buona, ma perché economicamente utile a tali tutele.

Dunque, la questione BRICS – Occidente è comprensibile solo se si tratta il tema ortogonale (non ingenuamente geopolitico) delle diverse architetture socio-organizzative e di catena del valore globale dei diversi tipi di assetto economico, che vanno ridefiniti oggi come: 1. Primario (materie prime e in generale estrattive, agricoltura, allevamento e il primo artigianato); 2. Secondario, cioè l’economia industriale, nuova modalità delle trasformazioni di materiali (e informazioni…) basata sull’uso delle tecnologie figlie della rivoluzione scientifica; 3. Terziario e oltre, cioè tutte quelle funzioni di servizio di varia complessità che proliferano come fluidi facilitanti sulle economie precedenti e che germogliano sulle medesime, ai livelli di complessità propria delle stesse, dunque con gradi dovuti all’enorme differenza sistemica (societario-organizzativa) di 2. rispetto a 1.

In tale ottica imprescindibile, occorre rilevare che l’area BRICS non è oggi una valida alternativa economica globale: essa è sì in forte crescita, soprattutto per l’effetto dello sviluppo del secondario in India e Cina, ma, mentre le economie secondarie Cindiane sono in primis interessate ai mercati da cui poi muovono a ritroso le catene del valore, le altre dei Paesi BRICS formato 2024 sono invece essenzialmente primarie, ed estrattive in particolare. Il BRICS si presenta oggi più come un sindacato di Paesi primari, che non rappresenta oggettivamente un’alternativa sistemica mondiale causa la concorrenza, interna alle catene del valore, tra primari e secondari. La retorica propagandistica di Paesi interessati a un vantaggio di tipo geopolitico, coinvolti anche in conflitti correnti, tende a minimizzare questo aspetto invece centrale. Gli interessi di India e Cina, portatori nell’ambito BRICS dell’economia di trasformazione, rappresentano un’alternativa commerciale nel mercato di raw materials e combustibili fossili: essi partono da una condizione privilegiata di modello, storicamente anticolonialista, e contraria, per il momento, allo sfruttamento spregiudicato delle risorse primarie degli altri Paesi. Vanno considerate, ma  anche intese come corollario rilevante e semplice di questa condizione economica, altre congiunzioni strategiche, ad esempio l’impegno bellico che Stati BRICS portano avanti per interessi politici locali, esattamente come i loro nemici (Russia-Ucraina, Israele-Iran), cui si aggiungono opposizioni storiche non sanate come quella della penisola coreana, quella che riguarda Taiwan, la grande confusione in cui versa buona parte dell’Africa, il subbuglio illogico del mondo islamico in generale. Appare tuttavia chiaro che la Cina non vuole compromettere il successo storico del suo modello di sviluppo pressoché plebiscitario nella dimensione principale del consenso interno, con azioni di importanza grande ma inferiore. Per la Cina, e ancor più per l’India, le guerre sono disfunzionali e se si parteggia è soprattutto per utilità economica, considerando assolutamente almeno prematuro e fondamentalmente inopportuno il piano militare.

Tutte le persone avvedute sanno che il PIL mondiale è nettamente a favore delle economie Secondarie. Tuttavia, la massa economica dei Paesi BRICS, sommando le economie di trasformazione di India e Cina e il Prodotto Interno Lordo degli altri Paesi sostanzialmente Primari, costituisce un ammontare di valore che si presterebbe non alla leadership economica globale, che quasi certamente non avverrà mai a livello politico, ma fin d’ora a una revisione dei poteri finanziario-monetari.

In linea di massima, una visione naturale e non opportunistica dell’Economia con la E maiuscola, non trova particolari obiezioni alla concorrenza monetaria. Il bacino cindiano è certamente quello di maggior sviluppo quantitativo del mondo, ed è uno sviluppo ancora inespresso. Su questo, gli Stati (ad esempio quelli rappresentati nel BRICS) possono fare molto, ma la sostanza economico-finanziaria non dipende dalle facce dei politici ma dal lavoro di imprenditori e imprese: sono loro che generano il valore, che diviene in parte anche degli Stati ma che è soprattutto dei popoli che abitano gli Stati.

Se poi tali realtà, che si spostano in funzione di naturale opportunità tecnico-economica si possano appoggiare a sistemi finanziari $/€ oppure yuan-rupia oppure criptovalute o altro, e per loro, e per tutti noi, è quasi irrilevante. Per i popoli non è la stessa cosa è, non essendo, per fortuna, gli Stati anche imprenditori, saranno i Grandi Gruppi Globali oggi già sostanzialmente apolidi o comunque destinati a diventarlo, utenti dei sistemi monetario-finanziari, a decidere dove appoggiarsi.

E, di certo, lo faranno ragion veduta.

La situazione finanziaria degli Stati è tutta un’altra cosa.

Il Debito pubblico (cioè, il debito degli Stati) è un problema che va considerato come proprio di ogni Stato del caso. Esso si valuta in termini intrinseci di solvibilità, che significa 1. Patrimonio dello Stato; 2. P.I.L. delle attività economiche residenziali (come base per entrate da imposte e tasse); 3. Proprietà del debito pubblico (se di cittadino e imprese residenti stabili oppure di realtà apolidi o estere. Ovvie le aderenze con il sistema monetario e finanziario, che è una forma organizzativa di tali servizi un tempo e ancor’oggi funzionale allo sviluppo economico, appoggiata al potere pubblico statale e interstatale (FED, B.E.). Oggi possiamo dire che il progetto BRICS si prospetti come un’alternativa all’esercizio di un potere statale (in extremis politico e non tecnico economico) alla produzione del valore e del conseguente benessere tramite la leva monetario -finanziaria, mentre le aziende dei Grandi Gruppi Globali sono sempre più insofferenti di queste sortite politiche e non tecnico economiche nel loro campo, e guardano sempre più a sistemi monetario-finanziari autonomi, ad esempio le criptovalute, che sono autoregolantesi e non richiedono sistemi pubblici fastidiosamente politicizzati e incompetenti com meccanismi di gestione della moneta corrente, quale essa sia, e della finanza.

L’economia mondiale, rappresentata ormai NON da Stati ma da Grandi Gruppi Globali non risponde del debito degli Stati. Sono i cittadini che devono fare attenzione alle proprietà e patrimoni situati in uno Stato o nell’altro, perché lo Stato, per rimanere autonomo rispetto al debito intrattenuto con altri Stati, potrebbe trasformare porzioni del patrimonio privato in suo patrimonio (la logica delle cosiddette “imposte patrimoniali”).

Nell’ambito dei BRICS ci sono Stati che hanno in comune interessi finanziari ma non politico-economici (Egitto, Sudafrica, India ad esempio). Poi ce ne sono altri che non hanno interessi prevalenti da economia secondaria bensì primari estrattivi (Russia, Iran, EAU). Come detto, poi, la Cina fa caso a sé stante nel gruppo, per la dimensione del suo secondario, che è ancora molto poco “denso”, con rapporto sulla popolazione di 1/5 rispetto all’Occidente, anche se con volumi enormi (e grandi prospettive di crescita ulteriore). Altrettanto l’altro colosso asiatico, l’India, dal quale si possono attendere enormi sorprese positive qualora si risolvano alcuni fattori di cultura civile.

In senso serio economico e non ideologico non si può né si deve parlare più di Imperi geopolitici, unici o multipli, perché l’Economia, principale funzione di produzione del valore, soprattutto quella industriale di trasformazione e terziaria indotta, si è definitivamente distaccata dall’organizzazione degli Stati e viaggia nel globale protetta da immense e non ricattabili dimensioni economico-finanziarie. Essa è destinata a liberarsi anche dal cappio monetario-finanziario indotto dalla politica, introducendo un nuovo concetto di potere sistemico non più di tipo vetero-feudale, quando l’economia dipendeva dalla politica manu militari, ma dove la politica degli Stati, con i loro doverosi meccanismi economici di gestione macro-condominiale, funziona per la protezione dei singoli cittadini e delle loro formazioni societarie fornendo servizi e favorendo la residenza di attività economiche nomadi come quelle secondarie grazie a servizi e welfare.

Non va dimenticato peraltro ciò che ho ricordato a più riprese in altri articoli recenti, che gli interessi attuali delle aziende secondarie per loro natura globali, e dei gruppi invece primari, che ne dipendono economicamente, sono contrapposti: per le prime il mondo è sempre più uno solo; per le seconde invece, radicate nei territori come i loro pozzi di petrolio e miniere, il rapporto con gli Stati è invece opportunistico e settario, non speculare con le esigenze delle popolazioni, cioè distorto e ormai probabilmente contro-natura. Questo può spostare l’azione dei BRICS dall’intento virtuoso di creare un’alternativa di sistema monetario-finanziario a quello perverso di assecondare interessi di retroguardia e sicuramente oscurantisti della propria parte di Stati primari.

Di certo, però, pur da pulpiti diversi, Cina e India non asseconderanno questa subdola strategia e faranno valere la via alla modernità che hanno vigorosamente abbracciato.

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