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Xi Jinping, capo assoluto al XII Congresso Comunista, “sogno cinese” di un nuovo Mao Tse-Tung
E’stato riconfermato leader del partito comunista e del governo e il suo nome entra a far parte della costituzione del partito
di Nicola Lacerenza
Il XIX congresso del partito comunista cinese, svoltosi nei giorni scorsi, ha rieletto all’unanimità leader Xi Jinping. Il suo nome e la sua “filosofia” sono entrati a far parte della costituzione del partito. Un evento che non accadeva dai tempi di Mao Tse-Tung. «Chi governa secondo virtù è come la stella del nord, rimane ferma al suo posto e la moltitudine delle stelle gli rende omaggio. Rimane forma al suo posto”.- ha detto una volta Xi Jinping citando una frase di Confucio. Una vera e proprio filosofia, quindi, dietro il neo rieletto Presidente, che significo “immobilità”. Considerando che il partito comunista cinese non si è mai riformato dal 1949, data della sua fondazione, verrebbe da chiedersi se questa “fermezza” non alluda proprio ad una incapacità di rinnovarsi. O, forse, c’è dell’altro. «Voglio fare il funzionario pubblico corrotto» – è stata la risposta di un bambino cinese alla domanda “cosa vuoi fare da grande?”.
Era il 2015, e quelle parole ricordarono al mondo intero come la corruzione, problema dilagante in Cina, possa far marcire il futuro di un paese dalle sue radici, i bambini. La “moralità e i valori” sono state le colonne portanti della politica di Xi. Ma quale politico non sbandiererebbe questi principi? Purtroppo in Cina si sventolano solo bandiere “rosse” e la moralità non può essere tema di campagna elettorale in un paese antidemocratico. Sono state le vicissitudini della vita dello stesso Xi Jinping a renderlo un “principe rosso”. Nato nella regione cinese di Beijin, roccaforte comunista durante la guerra civile, da un padre eroe di guerra, il neorieletto Presidente” ha trascorso la sua infanzia lavorando come contadino: divideva un letto con altre due persone in una caverna infestata dalle pulci e l’unica luce era quella di una lampada a kerosene, che gli fu utile per leggere il libro rosso di Mao.
In quella grotta Xi ci torna ancora, per sottolineare la differenza tra la sua figura da quella di coloro che lui stesso chiama “tigri”, ovvero potenti funzionari di partito corrotti. Subito dopo l’elezioni di Xi molti funzionari corrotti sono stati arrestati per aver preso tangenti. Per diventare “un nuovo Mao”, però, combattere le mazzette non basta. Occorre una proposta politica innovativa, degna di una grande potenza, “il sogno di un paese forte”, come si legge sui manifesti del partito comunista cinese. Per Xi è il partito unico a dare solidità alla Cina, non la democrazia. «Assoluta fedeltà, il nostro cognome è il partito” – ha affermato di recente Xi per sottolineare il suo futuro ruolo di capo assoluto e incontrastato.