Cinema & Teatro
Un secolo della Walt Disney: un mondo di spettacolo

L’attuale colosso dello spettacolo e dell’intrattenimento ha oramai un secolo di vita, essendo nato nel 1923, nei sobborghi di Los Angeles, con il nome Disney Brothers Cartoon Studio.
Il secolo di storia della Walt Disney Company si potrebbe sintetizzare come una ascesa “dai cartoni animati alla multinazionale”. L’attuale colosso dello spettacolo e dell’intrattenimento ha oramai un secolo di vita, essendo nato nel 1923, nei sobborghi di Los Angeles, con il nome Disney Brothers Cartoon Studio. I fratelli della denominazione erano Walt e Roy Disney. Il primo, Walt, assocerà indissolubilmente, quale presidente, il suo nome alla casa di produzione, alle decine di personaggi creati, alla moltitudine di produzioni animate, cinematografiche, documentaristiche. Ciò farà sì che Walt Disney sia diventato colui che detiene ancora oggi il record di Premi Oscar vinti, avendo ricevuto, in 34 anni di carriera, per i suoi cortometraggi e documentari, l’incredibile numero di 59 candidature e ben 26 premi, di cui 3 onorari e un Premio alla memoria Irving G. Thalberg.
Nel 1956 vinse pure il David di Donatello in Italia per il miglior produttore straniero per Lilli e il vagabondo. Tra gli altri riconoscimenti vanta due Golden Globe, un Premio Emmy, e due stelle sulla Hollywood Walk of Fame: una per il cinema e l’altra per la televisione. La passione giovanile di Walt Disney per il disegno ed i fumetti non solo ha animato i molti anni della sua presidenza ma ha progressivamente dato vita ad una delle principali multinazionali mondiali delle produzioni multimediali e dello spettacolo. Nel 1988 la Walt Disney Company creò la Walt Disney Studios, che a sua volta andrà articolando varie ulteriori divisioni per la cinematografia, la televisione, il teatro, l’animazione, la distribuzione. Nel 1995 la Disney acquisì la ABC, acronimo di American Broadcasting Company, un’emittente televisiva statunitense che era stata fondata nel 1943, da una stazione radio della NBC. La Disney ha pure creato accordi di collaborazione con la Buena Vista Motion Picture Group, e con la Paramount, storico grande marchio cinematografico statunitense. Per avere una idea della dimensione gigantesca della multinazionale, che alcuni studiosi hanno definito un impero della produzione culturale, si possono riportare alcuni dati, cominciando dagli incassi.
Nell’agosto 2019, la Walt Disney Studios è diventata il primo studio ad avere cinque film con l’incasso superiore al miliardo di dollari al botteghino mondiale in un solo anno, e poi il primo grande studio a raggiungere 10 miliardi di dollari al botteghino globale, nel dicembre 2019, battendo il record precedente del 2016. Nel 2021, in piena pandemia, la società ha avuto più di 67 miliardi di dollari di ricavi; 130 milioni di abbonati alla piattaforma streaming Disney+, lanciata pochi anni prima; il 26% del box office totale di Stati Uniti e Canada messi insieme, più di qualsiasi altro produttore nell’industria. Nel 2019, quando ha inglobato la 20th Century Fox, la casa di Topolino rappresentava quasi il 40% dell’intero mercato cinematografico. Queste cifre sono frutto di una acquisizione continua che oggi include alcuni degli studi e dei marchi più noti, quali Pixar Animation Studios, Lucasfilm, Marvel Studios, Searchlight Pictures e i famosi, 20th Century Studios, prima denominati 20th Century Fox.
La Disney controlla anche la Touchstone, la Touchstone Television e la Miramax Films. La Disney gestisce inoltre i parchi giochi Disneyland, il primo dei quali inaugurato nel 1955 ed il più recente, in Cina, nel 2016, e ha una presenza nel settore turistico con crociere e viaggi. Oggi non solo è uno dei maggiori colossi mondiali nel settore multimediale e dell’intrattenimento, ma con i suoi prodotti e personaggi, che hanno accompagnato le nuove generazioni dell’ultimo mezzo secolo, si può dire sia stata una delle società di produzione culturale di massa più influenti e con una notorietà globale. La Disney ha mostrato di avere quasi sempre la capacità di adattarsi alle mutate condizioni di mercato e sociali, non solo consolidando la sua presenza nel settore specifico e espandendosi in settori affini ma, come nel caso della pandemia da Covid-19 quando, nel Natale del 2020, spiazzando molti operatori e la catena di distribuzione e visione, decise di distribuire il suo ultimo film solo in streaming, lasciando intendere che già da tempo la società stava lavorando a una potente piattaforma, la Disney+.
I dirigenti della Disney hanno confermato che la società intende ampliare il settore del DTC (Direct-To-Consumer) che può vantare, oltre alle produzioni più recenti, su di un vastissimo catalogo di prodotti e spettacoli costituito da tutte le proprietà intellettuali sulle quali si è fatta la storia della company e a cui, grazie alle acquisizioni realizzate negli ultimi anni, si sono aggiunti, oltre ai contenuti del mondo Marvel e Lucasfilm, quelli di National Geographic e 20th Century Fox. Tutto questo si inserisce in un contesto storico abbastanza chiaro del settore dei media, caratterizzato dall’accentramento e dall’incorporazione progressiva delle aziende, che si stanno trasformando in giganteschi colossi dell’intrattenimento, tendenti all’oligopolio. Soprattutto per quanto riguarda il cinema, a pagare il prezzo sono state le case produttrici indipendenti, i film d’autore e, più in generale, la sperimentazione e l’innovazione.
E’ chiaro che se la Disney possiede simili quote del mercato sarà sempre più difficile proporre contenuti innovativi e alternativi, anche tenendo conto delle sue politiche culturali, sino ad oggi sostanzialmente conservatrici. Da questo punto di vista Netflix, pur in una ottica di mercato guidata dalle preferenze del pubblico e dagli incassi, sembra lasciare nella sua offerta margini di presenza a contenuti innovativi e di nicchia, cosa sino ad ora non accaduta per il colosso Disney. Il mondo mediatico si sta appiattendo sempre più sulle serie d’intrattenimento che hanno successo e portano soldi, stroncando sul nascere quelle che ricevono minor attenzione. Così la creatività dei professionisti è sempre più limitata dalle esigenze e dai gusti, a volte discutibili, del grande pubblico. Gusti sui quali Umberto Eco aveva più di qualche perplessità.