Arte & Cultura
Roma, Teatro Argot Studio: LA PAURA
La paura di cui ci parla De Roberto nel suo racconto del 1921 è una delle tante paure che tessono la memoria del primo conflitto mondiale.
Sarà in scena, per la prima volta a Roma, al Teatro Argot Studio – dal 15 al 20 maggio – LA PAURA dal racconto di Federico De Roberto, protagonista Daniel Dwerryhouse. Regia e adattamento sono affidati a Francesco Bonomo, che indaga con grande abilità, dal punto di vista di chi è sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, le lacerazioni dell’animo umano di fronte ad uno dei momenti più strazianti per ogni soldato di ogni guerra: obbedire ad un ordine sbagliato.
La vicenda
In alta montagna, in un ambiente inadeguato ad una guerra di trincea, i soldati del plotone al comando del Tenente Alfani sono dislocati sul Forte del Corbin, prossimi alla “porta dell’Inferno”. Essi provengono da tutte le parti d’Italia e parlano dialetti così diversi da creare una lingua polifonica; per la maggior parte sono soldati improvvisati che il protrarsi della belligeranza ha corroso e indebolito. In loro è avvenuta una sorta di osmosi tra paura e rassegnazione divenuta ormai indissolubile. Il Tenente Alfani gestisce la turnazione degli uomini che devono raggiungere la postazione avanzata: “La piazzola, quantunque lontana soltanto una cinquantina di metri dalla trincea, ne pareva remotissima essendone distaccata del tutto…”. Il suo ruolo di ufficiale gli impone di rispettare e dare l’ordine che condurrà i suoi ragazzi ad una morte ingloriosa e inutile: chiunque di loro si avvia a percorrere quella ‘cinquantina di metri’ viene inesorabilmente ucciso da un’implacabile cecchino nemico. Per il Tenente Alfani, questa fase della guerra non rappresenta una semplice routine: il meccanismo della turnazione, così apparentemente indolore, e scevro da responsabilità individuali e personali, inizia a generare dubbi sulla giustezza degli ordini fino ad incepparsi del tutto quando alla piazzola avanzata deve andare il soldato Morana. Proprio Morana “fregiato da un nastrino azzurro per una medaglia di bronzo guadagnatasi in Libia” e soprannominato l’eroe risponde: “Signor tenente, io non ci vado”.
…nella Storia
La paura di cui ci parla De Roberto nel suo racconto del 1921 è una delle tante paure che tessono la memoria del primo conflitto mondiale. I personaggi e la trama de La Paura non sono univoci: la tesi dell’autore resta una delle tante possibili, e l’interpretazione della guerra resta distinta dall’esperienza della guerra. Certamente descrive paure nuove, come nuova è la dimensione di questo conflitto che ha portato storici, saggisti e memorialisti a sintetizzarne l’entità in definizioni gelide quanto perfette: “catastrofe originaria del XX secolo”, “primo atto della distruzione d’Europa”, “il più grande errore della storia moderna”, “l’apocalisse della modernità”. La Prima Guerra Mondiale sarà anche la prima nell’avvalersi di nuove tecnologie che porteranno all’uso dei gas, dei sommergibili, di un’artiglieria evoluta, roboante e demolitrice; ed ancora: degli aerei e dei dirigibili Zeppelin che andranno a colpire Londra annunciando emblematicamente ciò che sarebbe accaduto nella Seconda Guerra Mondiale. Se è vero che “la storia non si ripete, ma fa rima con se stessa”, le rime della Prima Guerra Mondiale non bastarono a evitare la Seconda.
Lo Spettacolo
A cento anni dall’inizio del conflitto non vogliamo guardare alla storia solo per individuarne le rime che ci rivelino i timori di un presente in cui vediamo nascere nuovi nazionalismi europei, in cui percepiamo la debolezza di una classe dirigente che parla in continuazione di un baratro economico e sociale proprio come facevano i profeti millenaristici di inizio XX secolo. Vogliamo utilizzare il piccolo episodio descritto da De Roberto per indagare le lacerazioni dell’animo umano di fronte ad uno dei momenti più strazianti per ogni soldato di ogni guerra: obbedire ad un ordine sbagliato. A cento anni di distanza intendiamo raccontare di come la paura di un nemico invisibile a volte dislocato a solo pochi metri di distanza, la regressione dell’uomo provocata dai brutali turni in trincea, i lunghi periodi di inazione, il rumore assordante e incessante dell’artiglieria, l’odore della morte, le condizioni estreme della guerra d’alta montagna, il calpestare i corpi dei caduti stratificatisi all’interno dei camminamenti, divenne nella Grande Guerra dimensione quotidiana e determinò “una tale scossa di tutto il sistema
nervoso, una tale inibizione di qualsiasi energia, una tale paralisi di tutta la vita psichica che il soldato è reso incapace di compiere anche il minimo sforzo, subisce qualsiasi cosa, non desidera altro che la fine di tale angoscia, e rintanato in un cantuccio, nasconde il volto e attende la fine”. Queste le parole del medico e psicologo Padre Agostino Gemelli; insieme a quelle di Emilio Lussu che nel suo “Un anno sull’Altipiano” afferma che “non è vero che l’istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita, ci sono dei momenti in cui la vita pesa più dell’attesa della morte”, sintetizzano ed esplicitano in modo emblematico il punto di vista da cui abbiamo osservato La Pura di Federico De Roberto per realizzarne un adattamento teatrale.
Gli avvenimenti di fantasia che coinvolgono il plotone di soldati al comando del tenente Alfani vengono rivissuti sulla scena dal solo Tenente che assume per lo spettatore la funzione di narratore e protagonista della vicenda: con l’incalzare degli eventi il narratore Alfani perde lentamente la sua funzione iniziale per diventare sempre più il personaggio Alfani. Abbiamo scelto di rappresentare questo racconto dal punto di vista di chi è sopravvissuto alla grande catastrofe: il Tenente Alfani, come tanti al ritorno dalle trincee, non è più in grado di vivere nella realtà a causa del trauma provocato dal suo vissuto al fronte ed incarna nella nostra rilettura uno dei tanti reduci che venivano chiusi nei manicomi di stato. Egli si trova in una strana dimensione in cui vive e descrive allo spettatore il suo stato d’animo e i suoi pensieri in un luogo non ben definito: uno spazio bianco, neutro, uno spazio della mente. Quando la sua narrazione diviene concreta e i suoi ricordi si impossessano del presente darà voce ai soldati del plotone, li farà vivere in una sorta di presente onirico in cui assumerà in sé tutte le voci e le azioni della storia, diventando a tutti gli effetti un personaggio multiforme. I soldati dipinti da De Roberto ed evocati nello spettacolo da Alfani sono stati ampliati per dare spazio a dei momenti di vera e propria testimonianza per mezzo di lettere originali spedite dal fronte della Prima Guerra Mondiale. Il protagonista è specchio dell’eterogeneità di pensieri e di sentimenti che investono lui e i suoi uomini, da solo incarna i molteplici caratteri, dialetti, luoghi di provenienza del soldato italiano sul fronte alpino della Grande Guerra. La scelta di un personaggio unitario diviene così un’eco di quell’unità che de facto si è costruita per l’Italia in occasione della Prima Guerra Mondiale.