Attualità
Rituali e cerimonie nella società contemporanea
Il cerimoniale è l’insieme di regole e consuetudini da applicare durante le cerimonie, sia pubbliche che private, e viene disciplinato da quello che è denominato protocollo.
di Alexander Virgili
Un rito, un rituale, o una cerimonia indicano ogni atto, o insieme di atti, che viene eseguito secondo norme codificate. Oggetto di studio classico dell’antropologia e della sociologia, i riti sembravano relegati a popolazioni del passato o a realtà etniche tradizionali, oppure a eventi esclusivamente religiosi. Invece cerimonie, spettacoli rituali, riti, tutti ben codificati e normati, che da secoli troviamo nelle varie società del mondo, ancora oggi, sia pure spesso meno evidenti, costellano lo scandire della vita sociale (es.: apertura anno giudiziario, nomina delle massime cariche dello Stato, funerali, ecc.). Il cerimoniale è l’insieme di regole e consuetudini da applicare durante le cerimonie, sia pubbliche che private, e viene disciplinato da quello che è denominato protocollo. La cosa più affascinante è che il cerimoniale è un linguaggio, costituito da un complesso patrimonio di segni, di simboli, di gesti, di espressioni, di rituali, di formule, mediante i quali si attua e si ripete la manifestazione di conoscenze culturali, sociali, religiose o civili di persone o di organizzazioni. Il protocollo risulta, invece, ciò che rende comprensibile, accettato e applicabile questo linguaggio, in quanto è il sistema delle regole, dei principi, dei criteri, delle significazioni.
A fronte di questa lunga persistenza nel tempo, le parole rito e rituale appaiono oggi piuttosto usurate o scelte in modo approssimativo, infatti, nel linguaggio ordinario e dei media, questi termini sono utilizzati, in modo generico, per descrivere una quantità di comportamenti: i riti delle vacanze, i riti dello stadio, i riti della moda e così via. Espressioni come queste sembrano voler indicare pratiche sociali caratterizzate semplicemente da ripetitività, da un certo grado di formalizzazione, e da finalità o obiettivi non immediatamente comprensibili in termini pragmatici, o forse addirittura prive di senso. Da questo punto di vista, il “rito” è, nell’uso comune, una categoria residuale: sembra indicare ciò che non è descrivibile nei termini di una stretta razionalità economica. Ѐ come se il sostantivo “rito”, e soprattutto l’aggettivo “rituale”, avessero in sé valore esplicativo, chiarissero ciò che non può esser spiegato altrimenti. Altrettanto diffusa, nella cultura comune, la convinzione di una progressiva de-ritualizzazione della società moderna, mutuando, ma semplificando fin troppo, alcune analisi sociologiche del Novecento, analisi che invece tendevano a indicare una perdita di rilevanza del rituale nel quadro delle pratiche sociali codificate dell’epoca e la loro progressiva desacralizzazione. Quello che è stato chiamato l’anti ritualismo delle subculture o controculture del secondo dopoguerra è stato solo l’aspetto più spettacolare di una ossessione, prevalentemente novecentesca, per i rapporti e la contrapposizione tra individuo e società. Il rito fu visto come la massima espressione dell’annullamento dell’individuo nella conformità sociale: ad esso si immaginava di contrapporre la spontaneità e l’informalità del comportamento, l’autenticità della riflessione introspettiva.
Nella conoscenza comune e nelle interpretazioni semplicistiche sono state omesse però le componenti della teoria sociologica del sacro e del profano e della capacità del rito di creare il sacro. Secondo il sociologo Durkheim questo è invece uno degli aspetti centrali: il rito congiunge il sacro al profano e ha la capacità di sacralizzare, attraverso gesti e comportamenti che non hanno carattere utilitaristico o strumentale. In ciò la attualità e il senso dei riti, ovvero cerimonie, in occasione di eventi militari, religiosi, sportivi, ecc. con le quali, eseguendo certi gesti in accordo con quello che fanno gli altri e creando una sintonia collettiva, si crea di fatto il gruppo di cui ci si trova a far parte (i militari, gli atleti, i fedeli). Questa comunità non preesiste: è creata dalla ripetizione consapevole degli stessi gesti. Affinché essa esista è necessario eseguire questi stessi gesti all’unisono e secondo un protocollo ben preciso. Se si pensa, ad esempio, alle lunghe cerimonie di apertura e chiusura dei giochi olimpici, in effetti sono esse che creano l’atmosfera e il senso della pace atletica olimpica posta tra le due cerimonie principali di apertura e chiusura.
Mentre in alcune cerimonie rituali prevale il senso dell’insieme (le forze armate, i fedeli, ecc.), in altre si conserva una autonomia individuale, tipica delle cerimonie più moderne. Secondo altri studiosi tra la partecipazione solenne a un grande evento pubblico, sia esso la celebrazione della Festa della Repubblica, o la finale dei campionati mondiali di calcio, o una processione religiosa, e atti più informali e semplici come entrare in un bar per offrire un caffè, salutare un conoscente per strada o entrare in un’aula per cominciare una lezione, c’è una differenza di grado più che di essenza. Nelle società tradizionali le cerimonie e i riti sono generalmente obbligatori, nelle società industrializzate di massa divengono in gran parte facoltativi o appartenenti solo a dati gruppi (clero, massoneria, magistratura, accademici, ecc.) che li utilizzano per enfatizzare il senso di appartenenza esclusiva. Pure le modalità di trascorrere il tempo libero, nei vari gruppi sociali, gli incontri sportivi, le serate a teatro, il tifo, le modalità di uso degli spazi turistici, sono, sebbene in forme limitate e meno formalizzate, delle modalità rituali sociali che contribuiscono a definire il senso di appartenenza ai gruppi, l’identità, l’inserimento sociale dei partecipanti. Il livello di formalizzazione è normalmente definito dal “protocollo”, cioè il complesso delle regole e delle operazioni connesse con il cerimoniale, che può variare quanto a rigidità e possibilità di variazioni.
Ad esempio alcune cerimonie militari (giuramento, alzabandiera), sportive di rilievo (premiazioni, apertura o chiusura giochi), diplomatiche (visite ed incontri di Stato) o religiose (celebrazioni liturgiche) hanno delle ritualità e simbologie ben definite, abitualmente associate a simboli di facile lettura esteriore (bandiere, insegne, uniformi, ecc.) e, per completare e arricchire la cerimonia, possono associarsi musiche (inni, brani liturgici, ecc.) o ulteriori elementi che determinino lo spazio scenico collettivo del rito e della cerimonia. Ecco allora che i riti e le cerimonie non solo tornano visibili ma restano di persistente attualità, sia nelle società che nei gruppi che ad esse appartengono. Con la recente tendenza, causata dai mass media e dalla società dell’immagine, a spettacolarizzare la ritualità e le cerimonie, con il rito che diventa spettacolo e lo spettacolo che diventa rito.