Diritti umani
L’intervento della Cassazione sulla sindrome da alienazione genitoriale

La Suprema Corte di Cassazione è intervenuta annullando la decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, pronunciata dal Tribunale per i minorenni di Roma e confermata dalla Corte di Appello ed impugnato dalla madre.
di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus
La Suprema Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con l’ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022, è intervenuta annullando la decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, pronunciata dal Tribunale per i minorenni di Roma e confermata dalla Corte di Appello ed impugnato dalla madre. Per motivi probabilmente ideologici, di tale ordinanza sono state in parte date nei mezzi di comunicazione letture non solo parziali, ma addirittura distorte. Si è affermato, ad esempio, che la Cassazione disconosce l’esistenza della sindrome da alienazione parentale e che tale ordinanza costituirebbe un ulteriore passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle donne (!?). Entrambe queste letture appaiono anomale anzitutto perché le ordinanze della Cassazione riguardano la legittimità, ovvero se l’applicazione delle norme sia corretta o meno, nel senso che non riesamina tutti gli aspetti della causa ma si limita a verificare la corretta applicazione delle norme del diritto, sostanziale e processuale, da parte del giudice che ha pronunciato la decisione impugnata, ignorando invece le questioni di fatto; nel caso rilevi un’errata applicazione del diritto, la corte cassa (cioè annulla) la decisione impugnata e, se è il caso, rinvia la causa al giudice competente.
La PAS (acronimo anglosassone) ovvero Sindrome da Alienazione Genitoriale, è stata formulata dallo psichiatra Dr. Gardner, si connota da un immotivato rifiuto di un figlio a mantenere i rapporti di legame con il genitore non affidatario. Inizia e viene mantenuta dal genitore affidatario, il quale dà atto ad una serie di tecniche di manipolazione con il fine di descrivere negativamente l’altro genitore per raggiungere lo scopo di distruggere la relazione tra quest’ultimo e il proprio figlio. L’effetto della sindrome PAS, dunque, è soffocare le relazioni affettive tra genitore non affidatario e figli. Questa sindrome non è stata pienamente inserita nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) se non, in parte, nel DSM-5, quindi da un punto di vista scientifico è ancora una formulazione non consolidata. Il fatto che la PAS sia stata citata in diverse consulenze tecniche di ufficio a favore dei padri è dovuto al fatto che Il genitore affidatario di solito è la madre, non certo per il risibile motivo che sia “filo-maschile”, se l’affidatario fosse il padre il meccanismo non cambierebbe. Ciò premesso, la Suprema Corte, ovviamente, non entra nel merito se la sindrome da alienazione parentale esista o meno, se sia attendibile nella sua applicazione o meno, non essendo la Cassazione un ente scientifico di certificazione che debba attestare la validità di una diagnosi o sindrome. Infatti la Cassazione nella citata Ordinanza 9691/22 afferma che: “….. al fine della tutela al diritto alla bigenitorialità ciò che deve essere adeguatamente provato non è se la condotta abbia o meno provocato una PAS, che abbia le caratteristiche nosografiche descritte, almeno da chi la qualifica come sindrome. Ciò che occorre provare è invece se la condotta sia stata tale da aver leso in modo grave il rapporto tra il figlio e l’altro genitore, sino al peggiore risultato ipotizzabile, quello di renderlo difficilmente recuperabile o del tutto irrecuperabile.”. Perplessità peraltro già espresse nell’ordinanza 13217/21 in tema di affido.
In effetti l’ordinanza della Cassazione pone, correttamente, alcuni altri problemi. Anzitutto cerca di limitare ai casi più gravi la decadenza della responsabilità genitoriale, ciò anche su indicazione della CEDU – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, la Cassazione cerca di arginare l’uso delle CTU quali fattori unici, o fortemente determinanti, nell’orientare una sentenza. La critica, quindi, non è volta solo alla sindrome di alienazione parentale ma verosimilmente a molti altri casi nei quali sembra ci sia stata una sorta di “delega” decisionale agli esiti della relazione tecnica d’ufficio. E’ invece importante che ogni singolo caso sia correttamente inquadrato ed analizzato in quanto tale (ed in ciò la presenza dei giudici onorari, che sono esperti più tecnici, andrebbe valorizzata) e che le consulenze, anche quelle di parte, evitando una sorta di competizione tra esperti e super-esperti, siano ricondotte al loro ruolo di importanti strumenti di supporto, più che di discrimine inequivocabile. In ciò si comprende la cautela della Cassazione quando afferma, più in generale, che una classificazione o sindrome psicologica non ha ancora la stessa incontrovertibilità di altri tipi di analisi tecniche, ciò proprio per la complessità e molteplicità di eventi e situazioni che ne sono parte.
Un punto dell’ordinanza che invece suscita qualche perplessità è dove si afferma, posto che non sia compito della Corte “sindacare valutazioni proprie di una disciplina” tuttavia Essa “..può certo verificarne la correttezza applicativa sulla base di criteri universalmente conosciuti ed applicati”.. e che il “concetto di abuso psicologico….. appare indeterminato e vago…. e di incerta pregnanza scientifica”. Queste affermazioni, ove le si intenda non limitate alla PAS, potrebbero innescare, paradossalmente, l’effetto opposto a quello che alcune commentatrici hanno evidenziato, ovvero non garantire equità di trattamento tra persone, proprio per il riferimento a dei “criteri universalmente conosciuti ed applicati”. Una parte dei commenti sembra ignorare che, purtroppo, in molte dispute familiari, i figli (specie se minorenni) diventano ostaggio e strumento di feroce lotta tra le parti, e ciò vale per entrambe le parti, sia inteso, non solo per la componente paterna. Si attende di leggere cosa accadrà nei casi di contestazioni entro una coppia omosessuale femminile e in che misura si potrà dedurre che una delle due parti sia discriminata a causa del genere. A margine, le CTU contestate perché citano la PAS, come riportato nell’ordinanza, sono state redatte tutte da professioniste, quindi presentare l’ordinanza come un passo importante della battaglia delle donne, se anche si volesse condividere tale approccio al diritto, che risulterebbe tutt’altro che paritario, è quanto meno azzardato, intelligenti pauca.