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Arte & Cultura

Le “Quattro giornate di Napoli” ottanta anni dopo

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Nelle Quattro Giornate di Napoli, popolani e aristocratici di antica famiglia, si ritrovarono uniti, così come i filo repubblicani e i filo monarchici, i militari ed i civili, le donne e gli uomini, i giovani e gli anziani.

di Alexander Virgili

La rievocazione di eventi storici a volte rischia la retorica, altre volte la manipolazione politica, altre ancora la ritualità passiva. Ricordare, ottanta anni dopo, le Quattro Giornate di Napoli, si presta meno a tali rischi per due semplici motivi: perché fu una rivolta popolare diffusa, sentita e partecipata, cui aderirono persone di diverso ceto ed orientamento, e perché ebbe un avversario preciso, comune, l’esercito tedesco. Queste due caratteristiche non si ritrovano facilmente in altri eventi analoghi verificatisi nel Paese, dove vari gruppi, partiti, movimenti o leader hanno cercato di assumersene la primaria paternità. Nelle Quattro Giornate di Napoli, popolani e aristocratici di antica famiglia, si ritrovarono uniti, così come i filo repubblicani e i filo monarchici, i militari ed i civili, le donne e gli uomini, i giovani e gli anziani.  Il nemico era comune a tutti, non tanto il fascismo o il nazismo in astratto, ma le truppe militari tedesche di occupazione che con presunzione e arroganza, con la miopia tipica di chi si limita ad eseguire ordini immaginandosi onnipotente, stavano rastrellando, uccidendo, demolendo, sotto il comando del colonnello Scholl.

In quei giorni i tedeschi affondarono nel porto di Napoli otto rimorchiatori, un cacciatorpediniere e una torpediniera in riparazione, un posamine, tre vedette antisommergibile, una neve idrografica ed una nave cisterna per l’acqua.

Sabotarono gli impianti telefonici, fucilando 14 carabinieri che si opponevano a tale sabotaggio.  Diedero fuoco al deposito di sicurezza dell’Archivio di Stato di Napoli, all’epoca validamente diretto da Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga, mandando in cenere migliaia di documenti storici unici e preziosi. Quattromila persone furono deportate con obbligo di lavoro, alcune altre migliaia sommariamente uccise in strada per atti ostili. Il rapporto comunicato ai cittadini era di 100 italiani che sarebbero stati uccisi per ogni tedesco eventualmente ucciso. Fu appiccato l’incendio alla Biblioteca Nazionale, anche questo atto di “alta civiltà” dell’esercito nazista. Tanto per citare alcune delle “eroiche” gesta guidate dal colonnello Walter Scholl, promosso generale nel 1944, mai condannato per crimini di guerra e tranquillamente morto a Ulma, nel 1956, a 72 anni.

Tutto questo in una città che stava subendo, dal 1940, continui bombardamenti aerei, che avevano causato ingenti perdite in termini di vite umane anche tra la popolazione civile. Napoli è stata la città italiana che ha subito il maggior numero di bombardamenti, oltre 200, che hanno causato perdite materiali e di beni storici gravissime; circa 30 000 le vittime di questi attacchi aerei alla città. Oltre alla demolizione sistematica delle attività industriali e delle infrastrutture, solo in parte ripristinate nel dopoguerra, la città fu bersaglio degli aerei inglesi, americani e poi tedeschi.  Dal gennaio del 1943 le incursioni divennero giornaliere, nel solo bombardamento del 4 agosto 1943 perirono circa 600 persone e ci furono almeno 3 000 feriti.

Ciò contribuisce a rendere il ricordo delle Quattro Giornate di Napoli qualcosa di diverso e di particolare, di più vicino alla sensibilità contemporanea che è meno frequentatrice delle ideologie novecentesche ma è attenta ai diritti, alle distruzioni inutili, alle stragi senza motivo. La rivolta appartiene alla città, alla sua popolazione e storia, che si è sempre poco adattata alle dominazioni ed alle ideologie.   Nelle settimane successive le truppe alleate non furono le liberatrici, trovarono la città già libera dalle forze militari tedesche.  Napoli fu la prima tra le grandi città europee a insorgere contro l’occupazione tedesca, per giunta con successo.

Come ricorda una lapide esposta nel Museo di San Martino, a ricordo della rivolta del 1547: – “Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d’Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d’Europa tennero da sé lontano l’obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano e provarono anche una volta che il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dé padroni“.

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