Salute
La disregolazione emotiva
La disregolazione emotiva ha precise manifestazioni cliniche tra le quali depressione, attacchi di panico, comportamenti compulsivi e disturbi del comportamento alimentare.
di Antonio Virgili – vicepresidente Lidu onlus
La disregolazione emotiva è la difficoltà, talora l’incapacità, di regolare l’intensità delle proprie emozioni una volta che queste si attivano. Sentirsi in balia delle proprie emozioni, sentirsi instabile emotivamente e oscillare velocemente da un’emozione a un’altra, sentirsi fuori controllo, non avere consapevolezza e parole per esprimere le proprie emozioni (alessitimia) sono le esperienze più frequenti. Tale difficoltà o incapacità può avere conseguenze consistenti nella vita di tutti i giorni, sia perché alcune emozioni modificano significativamente i comportamenti sia per la autopercezione di un certo senso di impotenza sentendosi fuori controllo. Secondo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), la disregolazione emotiva ha precise manifestazioni cliniche tra le quali: depressione, attacchi di panico, comportamenti compulsivi e disturbi del comportamento alimentare. Le cause della disregolazione emotiva possono essere complesse e multifattoriali, coinvolgendo una combinazione di fattori biologici, psicologici e sociali. Alcuni dei principali fattori che possono contribuire alla disregolazione emotiva sono:
- predisposizione genetica: studi condotti su gemelli e famiglie hanno dimostrato che esiste una certa ereditarietà per i disturbi emotivi, anche se il ruolo specifico dei geni è ancora oggetto di ricerca;
- disfunzioni neurobiologiche indotte: alterazioni nella chimica cerebrale e nel funzionamento dei circuiti neurali possono contribuire alla disregolazione emotiva. Ad esempio, squilibri nei livelli di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina sono stati associati a disturbi emotivi come il disturbo borderline di personalità e il disturbo bipolare. Si parla qui di disfunzioni indotte ad esempio da sostanze psicoattive o fattori ambientali;
- esperienze traumatiche: traumi o eventi stressanti nella vita di una persona, specialmente durante l’infanzia, possono aumentare il rischio di disregolazione emotiva. L’esposizione ad abusi, trascuratezza, violenza domestica o altri eventi traumatici può influenzare lo sviluppo emotivo e comportamentale;
- ambiente familiare: il clima emotivo e le dinamiche familiari possono influenzare lo sviluppo delle abilità di regolazione emotiva di un individuo;
- stili educativi: stili educativi caratterizzati da una mancanza di supporto emotivo o da una disciplina eccessivamente severa possono influenzare negativamente lo sviluppo delle abilità di regolazione emotiva dei bambini;
- disturbi psicologici: alcuni disturbi psicologici, come il disturbo borderline di personalità, il disturbo bipolare, il disturbo antisociale di personalità e alcuni altri sono associati a una disregolazione emotiva significativa;
- stress o ansia croniche: l’esposizione prolungata allo stress o all’ansia (es.: lavoro eccessivo, problemi economici, conflitti interpersonali, ecc. può rendere più difficile per una persona regolare le proprie emozioni in modo efficace.
- fluttuazioni ormonali (naturali o indotte): come quelle che si verificano durante la gravidanza o in alcuni momenti del ciclo mestruale, o in conseguenza dell’assunzione di farmaci possono influenzare le risposte emotive e aumentare la suscettibilità all’iperstimolazione emotiva.
È importante notare che spesso la disregolazione emotiva è il risultato di una combinazione di alcuni di questi fattori e può variare notevolmente da persona a persona. Ad esempio, la mancata elaborazione di un trauma complesso o il tipo di legame che si è creato nell’infanzia con i genitori o coloro che hanno dato cura e assistenza. La comprensione delle cause specifiche della disregolazione emotiva aiuta a guidare il trattamento e il supporto appropriati. Se ci si chiede cosa implichi la regolazione emotiva, si può rispondere attraverso le sue sfaccettature, cioè anzitutto la consapevolezza e comprensione delle emozioni, la loro accettazione, una adeguata capacità di controllo delle emozioni negative affinché non alterino gli obiettivi personali. La disregolazione è associata anche al deficit di attenzione e iperattività (ADHD), così come ai disturbi dello spettro autistico, ed è più frequente nell’adolescenza. A sua volta la disregolazione può orientare le persone verso forme di dipendenza (gioco, droghe, assunzione di cibo, ecc.) e correlarsi a manifestazioni di autolesionismo, iperattività fisica, o anche di dipendenza da persone autoritarie. Secondo uno studio del 2023 (in Addictive Behaviors), uso di cannabis e disregolazione emotiva sono abbastanza correlati nelle giovani donne, che risultano più vulnerabili. La disregolazione si manifesta quando le normali fluttuazioni tra stati di eccitazione e calma superano i limiti gestibili (la cosiddetta “finestra di tolleranza”) interferendo con le normali attività della vita quotidiana.
Una ampia letteratura scientifica afferma che la disregolazione emotiva sia un probabile esito di una relazione della diade madre-bambino (o di quanti accudiscono il bambino) che porta ad alterare il meccanismo di regolazione delle funzioni fisiologiche e quindi verso forme di psicopatologia. Un esempio potrebbe avvenire quando un bambino esposto ad ostilità da parte del caregiver, che quindi non vede accolti e regolati i suoi stati di stress, si sente rigettato e arrabbiato. Sebbene egli possa adottare delle strategie per mantenere una relazione con il caregiver (es. modello di attaccamento insicuro, evitante o ambivalente), si verifica un fallimento nella possibilità del bambino di fare esperienza di se stesso come abile nel regolare i propri stati interni negativi in modo effettivo.
Esistono oggi anche numerosi fattori ambientali, non solo chimici, ma anche sociali, che agevolano tali manifestazioni che risultano in crescente diffusione. Si stanno moltiplicando gli studi che analizzano le correlazioni tra inquinamento e autismo (causato da particolato fine e ossidi di azoto assorbiti durante la gravidanza), inquinamento e ADHD, tra sostanze chimiche usate in agricoltura e danni al cervello dei bambini, come confermano recenti articoli pubblicati nelle riviste “Brain Medicine” e “Environmental Health Pespectives”. Non secondarie le componenti sociali quali le pressioni dell’infosfera, spesso orientata a sottolineare eventi e notizie negative, che produce iperstimolazione emotiva e quindi sovraccarico emotivo. Si è rilevato che le persone che si espongono in modo eccessivo a contenuti emotivamente carichi attraverso i mass media e i social network, quali notizie tragiche o drammi televisivi, pressioni sociali virtuali, emulazioni indotte, ecc. possono essere più suscettibili a un sovraccarico emotivo. Sono in un certo senso più predisposti per cui sono poi sufficienti livelli moderati o bassi di ulteriore carico per produrre effetti disregolatori. Il sovraccarico emotivo, anche conosciuto come sovraccarico affettivo o iperstimolazione emotiva, si verifica quando una persona è esposta a un livello eccessivo o prolungato di stimoli psicoaffettivi, che superano la sua capacità di elaborazione e gestione delle emozioni. L’iperstimolazione emotiva non è qualcosa da considerare con superficialità dato che può avere seri impatti sulla salute fisica e può rendere difficoltoso il normale svolgimento delle attività quotidiane. La persona “sovraccarica”, infatti, dovrà affrontare una sensazione di oppressione, una sorta di sopraffazione emotiva che ben presto porta a stanchezza ed apatia. Questa condizione, come premesso, può anche innescare sintomi fisici, quali mal di testa, disturbi del sonno, gonfiore addominale, iperidrosi, disturbi gastrointestinali (digestione lenta, bruciore di stomaco, sindrome del colon irritabile). Il sovraccarico emotivo associato a stress acuto è più facilmente individuabile (specifici eventi scatenanti), mentre lo stress cronico, più silenzioso e sottovalutato è sovente la somma di varie situazioni succedutesi nel tempo, o di eventi (traumi o fattori persistenti) ai quali si pensa di essersi abituati.