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Intervista a Eugenia Berti, Console generale d’ Italia a Curitiba, Brasile

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Tempo di lettura: 4 minuti

Eugenia Berti è la prima donna a capo del Consolato di Curitiba tra i più operativi in Brasile.

Di Angela Celesti

Tra i sette consolati generali italiani, Curitiba è tra i più operativi in Brasile. Eugenia Berti è la prima donna a capo del Consolato, nata in Ciociaria, studi giuridici e umanistici, marito svedese, tre figlie e naturalmente la perfetta conoscenza delle lingue: inglese, svedese, francese e portoghese. Ha servito, prima di essere nominata Console, lo Stato italiano per circa trent’anni. Prima del Brasile ha vissuto in vari luoghi del mondo, dalla Svezia alla Turchia, Inghilterra ed Emirati Arabi Uniti, interazioni  che hanno notevolmente arricchito il suo bagaglio culturale.

Console Generale, ci spiega qual è precisamente il compito di un console italiano in uno stato così lontano da noi?

Innanzitutto il console è la massima autorità amministrativa presente su un territorio nel paese estero in cui opera, una specie di super sindaco di una grande città, un lavoro di trincea molto interessante. I servizi che il consolato offre ai cittadini italiani che risiedono in questa splendida città del Brasile, nello stato del Paranà, sono naturalmente di ordine pratico come la residenza, i permessi di soggiorno, anagrafe, atti notarili e successioni, tutta la documentazione a supporto di chi da italiano vive o soggiorna per poco tempo a Curitiba, compreso i turisti. Inoltre il mio compito è rivolto anche agli italiani detenuti e indigenti.

Come tiene uniti culturalmente gli italiani immigrati di vecchie e nuove generazioni?

La presenza del console garantisce servizi, ma è soprattutto un lavoro di contatto umano e promozione culturale, che è anche ciò che mi sta più a cuore, dove per cultura non si intende soltanto l’arte, la musica, la letteratura, il cibo, ma soprattutto tenere in vita la cultura della memoria e della lingua nei giovani, della beneficenza, dell’ inclusione e della legalità.

La memoria del nostro paese, rischia paradossalmente di non essere sempre garantita nella stessa Italia, cosa fa per sensibilizzare chi da anni ha lasciato il nostro paese?

La mia visione come Console Generale si focalizza soprattutto sui giovani verso i quali impegno la  parte più personale, il mio modo di pormi a loro. L’anno scorso si sono celebrati i 150 anni dell’ immigrazione italiana in Brasile e festeggiare tale appuntamento storico-culturale significava focalizzare l’attenzione sul legame tra le vecchie generazioni di immigrati e i giovani, un compito difficilissimo nonostante i mezzi incredibilmente veloci di comunicazione come i social, internet. Resta per me comunque fondamentale il contatto umano diretto per rafforzare questo “anello della catena” che rischia di spezzarsi tra vecchie e nuove generazioni.

Come ci riesce?

Ho cercato di rafforzare la comunicazione con i giovani proprio sui social, attraverso instagram, un tentativo per carpire subito la loro attenzione, un compito che mi è stato facilitato in quanto madre di tre figlie che, avendo comunque una impostazione internazionale, seguendoci da piccoli nelle numerose peregrinazioni all’estero, hanno assimilato i linguaggi e non solo le lingue. Il loro atteggiamento comunque ha rappresentato per me il prototipo di “giovane moderno e contemporaneo” a cui ispirarmi.

Quindi i social funzionano per aggregare e comunicare con i giovani?

Si, paradossalmente rimane uno strumento che, se usato positivamente, può servire per questo contatto. Il limite è rappresentato dalle fasce di età più elevate che hanno difficoltà a usare questo tipo di comunicazione; il compito arduo è comunque mantenere sempre un punto di contatto tra “la tradizione” e i giovani. Ma il trait d’union rimane sempre la cultura che le vecchie generazioni propagano come semi per far sì che sboccino nelle nuove.

Signora Console, prima dell’ intervista, lei  ha citato due regioni italiane che da generazioni sono presenti a Curitiba in maniera numerosa: il Veneto e l’Alto Adige. Mi spiega qual è il suo rapporto con loro, da donna del centro-sud italiano (Ciociaria) che si rapporta verso persone con una loro cultura ben connotata?

Lo stato di Curitiba comprende due circoscrizioni Santa Catarina e Paranà, interessate da un’immigrazione veneta e trentina che si rapporta con diverse associazioni culturali nate in moltissimi anni di storia. Con loro ho un bellissimo rapporto essendo, contrariamente allo stereotipo Nord-Sud, una frequentatrice di quelle valli come sciatrice, seguendo mio padre su quelle montagne…

Dal dialogo con il Console Berti, che va avanti per decine di minuti, si evince il suo carattere solare e determinato, materno e fieramente italiano, capace di commuoversi quando, in occasione dell’anniversario della tragedia del Vajont, si è recata a Urussanga, una piccola cittadina nello stato di Santa Catarina, gemellata con la città di Longarone. Dopo un cammino impervio per assistere alla cerimonia di commemorazione, con sua grande sorpresa ha trovato ad attenderla un gruppo ordinato di signori e signore, molti anziani, con il cappello da alpini guarnito di penna, scoprendo che in quel luogo vi era un’associazione di alpini. “Lì – aggiunge – ho trovato l’ Italia. Quei volti sono i volti dei sopravvissuti di Longarone, parenti immigrati di chi non fu più trovato nella terribile tragedia

Un legame indissolubile unisce quel luogo lontano dalla nostra bella Italia, gli immigrati di Longarone si stringono alla loro comunità rendendo viva la memoria di chi non esiste più.

Da lì il Console Berti si ispira per i festeggiamenti dei 150 anni di immigrazione italiana a sud del Brasile. Conclude “Questa è la parte bella per un console a Curitiba!

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