Diritti umani
Il 12 giugno Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile

Dal 2002 l’International Labour Organization (ILO) ha indetto la Giornata mondiale contro il lavoro minorile per richiamare l’attenzione sul fenomeno diffuso a livello mondiale dei bambini vittime del lavoro forzato.
di Alexander Virgili
Nell’ormai lontano anno 2002 l’International Labour Organization (ILO) ha indetto la Giornata mondiale contro il lavoro minorile per richiamare l’attenzione sul fenomeno diffuso a livello mondiale dei bambini vittime del lavoro forzato. Tale giornata si propone anche di sottolineare gli sforzi e le azioni necessari per prevenire e eliminare il lavoro minorile. I conflitti militari, le catastrofi naturali e le epidemie accrescono le situazioni di lavoro minorile, come evidente anche dal fatto che i progressi per porre fine al lavoro minorile si sono arrestati per la prima volta in 20 anni in concomitanza con l’epidemia del Covid-19, anzi si stima che a causa della crisi economica che in molte zone è seguita alla fase epidemica vari milioni di bambini non avranno accesso alla protezione sociale e probabilmente saranno spinti a lavorare. A scala mondiale, la maggior parte dei 168 milioni di bambini vittime del lavoro minorile vivono in zone di conflitto o soggette ad eventi catastrofici. Guerre e i disastri naturali producono effetti devastanti sulla vita delle persone colpite: si registrano morti, feriti, mutilati e persone costrette a fuggire dalle loro case, le loro vite sono devastate, riducendole in condizioni di povertà ed esponendole a varie forme di violazione dei loro diritti fondamentali. I bambini sono i primi a soffrire di queste situazioni: le scuole e i principali servizi a loro dedicati vengono distrutti. Molti bambini vivono come rifugiati in altri paesi o come profughi interni nel proprio paese e divengono così vittime del traffico e del lavoro minorile. Non ci si riferisce solo del lavoro in sé, ma a tutto ciò che può essere connesso a forme di sfruttamento, abuso, alla privazione dell’istruzione e ai danni dei lavori pesanti.
Secondo le stime di una ampia indagine di Save the Children, in Italia sono circa 336 mila i minorenni tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie o occasionali, quasi uno su 15. Tra i 14-15enni coinvolti in attività lavorative, un gruppo consistente (27,8%) ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico (perché hanno impegnato i ragazzi in maniera continuativa durante il periodo scolastico o in orari notturni o perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi). I dati indicano che i settori più interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma ci sono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Più della metà degli intervistati lavora tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa uno su due lavora più di quattro ore al giorno.
Tra i motivi e le cause che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi di lavoro ci sono l’avere soldi per sé, che riguarda il 56,3%, la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori, per il 32,6%. Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.
Ma non solo, la povertà minorile in Italia è quadruplicata a partire dalla crisi globale del 2007/2008 arrivando a coinvolgere un minorenne su 7 nel 2021 (il 14,2%). Colpiscono però le differenze legate a vari fattori di vulnerabilità: innanzitutto un bambino che ha genitori di origine straniera (con cittadinanza non italiana, CNI) è molto più esposto alla povertà assoluta (oltre 1/3 delle famiglie con minori CNI) rispetto ai coetanei italiani (circa 1 famiglia su 12). Poi interviene anche il divario geografico, per cui nascere e crescere nelle Regioni del Mezzogiorno rappresenta un fattore di rischio povertà per una bambina, un bambino o adolescente (sono il 16% i minori meridionali in povertà assoluta, mentre sono l’11% i minorenni in povertà che vivono nel Centro Italia). Divari regionali evidenti anche nelle mappe della povertà relativa, che riportano come quasi 2 famiglie su 5, con figli sotto i 18 anni, in Campania abbiano un tenore di vita molto inferiore alla media italiana, a fronte di 1 famiglia su 6 nelle Regioni del Nord. Infine, vivere in una famiglia numerosa espone a maggiori rischi di povertà (1/5 delle famiglie con 3 o più figli è in povertà assoluta a fronte di 1 famiglia con un solo figlio su 16). Vergognose differenze geografiche, socioeconomiche e culturali caratterizzano quindi e influenzano lo stato di salute e benessere di adulti e bambini che vivono in Italia, che pure è un Paese sviluppato e con un servizio sanitario basato sui principi di universalità, uguaglianza e equità. Molte di queste disuguaglianze si riflettono nel diverso numero di anni di “speranza di vita in buona salute” che una bambina e un bambino appena nati possono aspettarsi. Ad esempio, se in media, in Italia, una neonata nata nel 2020 aveva di fronte a sé una speranza di vita in buona salute di 60,1 anni, una bimba nata in Calabria ne aveva soltanto 52,7 mentre una bimba nata in Trentino ne aveva 12,5 di più (65,2). Per i maschi, che in media avevano un’aspettativa di vita in buona salute di 62 anni, il divario era minore (57,5 e 65,7). Ed è comunque rilevante anche il divario di genere in Calabria, con le donne che hanno una speranza di vita in buona salute di quasi 5 anni inferiore agli uomini (da Atlante dell’infanzia a rischio in Italia 2022, Save the Children). Purtroppo questi dati, sia internazionali che italiani, non lasciano prevedere una soluzione a breve del problema, anzi, ci sono possibilità concrete per un nuovo peggioramento.