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Area industriale di Livorno, futuro unicorno o rana bollita? parte 5 – Livorno industrial area, future unicorn or boiled frog? part 5

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Tempo di lettura: 5 minuti
di emigrazione e di matrimoni

Area industriale di Livorno, futuro unicorno o rana bollita? parte 5

di Marco Andreozzi

La congiuntura del sistema moda toscano è in crisi dall’anno scorso e le ‘firme’ multinazionali, in parte colpite dalle (inutili) sanzioni alla Russia, stanno approfittando per valutare incorporazioni di piccole imprese, che potranno realizzare a prezzi di saldo. Farsi acquisire può essere una soluzione, ma di certo è la meno ottimale, soprattutto nel medio-lungo periodo. Se i toscani rappresentano meno del 1% della popolazione dell’Unione Europea e l’UE vale il 5,5% (con demografia in decrescita) della popolazione mondiale, è evidente che il grosso gruppo può chiudere la fabbrica italiana in ogni momento allorché altri luoghi del pianeta Terra diventino più competitivi sul compromesso prezzo-qualità.

Dei primi dieci distretti d’Italia per numero di aziende eccellenti (Intesa San Paolo), tre sono in Toscana: tessile-abbigliamento di Prato, concia e calzature di Santa Croce sull’Arno e pelletteria/calzature di Firenze. E’ un agglomerato caratterizzato (insieme a marchi iconici e storici) da innumerevoli micro e piccole imprese che tipicamente lavorano in contoterzismo e dove oggi si registra cassa integrazione per grosso modo 10000 persone. Notoriamente, purtroppo, nelle MPMI italiane è scarsa è la presenza di direttori professionali a vantaggio della conduzione familiare, indice di bassa fiducia sociale che sussiste nel Paese e fattore di debolezza dell’ecosistema industriale.

Questo un recente estratto del centro studi economici della Toscana (IRPET). “Il sistema produttivo toscano, dove la filiera della moda è presente nella quasi totalità delle sue componenti e nel quale questi meccanismi di funzionamento si dispiegano in modo completo, potrebbe rappresentare un laboratorio innovativo per individuare buone pratiche e relazioni virtuose. Ciò risulta auspicabile, visto il peso che queste specializzazioni esercitano sul complesso della manifattura toscana in termini di produzione di valore aggiunto ed esportazioni, ma anche di creazione di lavoro e ricchezza per il territorio. Le sfide collegate alla transizione digitale e verde devono ancora trovare una loro chiara e specifica applicazione a questa ampia fetta di produzione, facendo emergere nuove opportunità di intervento volte a presidiare e sviluppare i diversi segmenti di filiera della moda toscana.”

Altri fattori di debolezza italiani e toscani sono: scarsi investimenti esteri in un territorio poco idoneo all’intrapresa (Banca Mondiale); spesa per l’istruzione al 3% del PIL, un quinto della spesa pensionistica (il rapporto più basso in Europa); spesa in ricerca e sviluppo alla metà della media OCSE (circa il 3%); inefficienza della pubblica amministrazione, unita alla ‘sindrome della rana bollita’ che pare condivisa con le stesse confederazioni rappresentanti gli interessi del tessuto produttivo. E se pensiamo poi che i primi due Paesi esteri di sbocco di settore della Toscana (anche per l’oreficeria, in ambito europeo) sono le confinanti Svizzera e Francia, si inferisce la modestia del grado di internazionalizzazione. Prodotti italiani in pelletteria, moda in generale, e ‘marchio’ Toscana’ sono già identificativi di prestigio nel mondo, ma è tempo di uscire dalla logica stonata del nanismo contoterzista che si arrabatta secondo i ‘capricci’ (endogeni e/o esogeni) delle multinazionali, declinando gli assetti per cui la nazione è nota nel mondo in un progetto promozionale serio, professionale e davvero globale che traini la crescita di nuovi marchi. Eventuali dazi di una possibile presidenza Trump ed aumento delle importazioni a basso costo dalla Cina sono ulteriori minacce: è tempo che la rana salti fuori dal pentolone!

 

di emigrazione e di matrimoni

Livorno industrial area, future unicorn or boiled frog? part 5

by Marco Andreozzi

The economic climate of Tuscany’s fashion system has been in crisis since last year and the multinational ‘marques’, partly affected by the (useless) sanctions on Russia, are taking advantage to evaluate incorporations of small businesses, which they will be able to carry out at sale prices. Getting acquired can be a solution, but it is certainly the least optimal, especially in the medium to long term. If Tuscan folks represent less than 1% of the population of the European Union and the EU is 5.5% (with decreasing demographics) of the world population, it is clear that a global group can close the Italian factory anytime whenever other places on planet Earth become more competitive on a price-quality trade-off.

Of the top ten districts in Italy by number of excellent companies (Intesa San Paolo), three are in Tuscany: textile-clothing in Prato, tanning and footwear in Santa Croce sull’Arno and leather goods/footwear in Florence. It is an agglomeration characterized (together with iconic and historic brands) by countless micro and small enterprises that typically work as contractors and where today the redundancy fund applied for approximately 10,000 people. Unfortunately, the presence of professional leadership is notoriously scarce in Italian MSMEs to the advantage of family-owned management, an indication of the low level of social trust that exists throughout the country and a fault factor in the industrial ecosystem.

This is a recent extract from the Tuscany government economic think tank (IRPET). “Tuscany’s production system, where the fashion supply chain is present in almost all of its components and in which these operating mechanisms unfold completely, could represent an innovative laboratory for identifying good practices and virtuous relationships. This is desirable, given the weight that these specializations exert on the Tuscan manufacturing complex in terms of generation of added value and exports, but also of job creation and wealth for the territory. The challenges linked to the digital and green transition have yet to find their clear and specific application to this large slice of production, bringing out new opportunities for intervention aimed at overseeing and developing the different segments of the Tuscan fashion supply chain.”

Other fault factors of Italy and Tuscany are: scarce foreign direct investments in a territory that is poorly good for business (World Bank); education spending at 3% of GDP, a fifth of pension spending (the lowest ratio in Europe); spending on research and development at half the OECD average (around 3%); inefficiency of the public administration, combined with the ‘boiled frog syndrome’ which seems to be shared with the same lobbies of the fashion productive system. And, furthermore, the first two export markets for Tuscany’s leather products (also for goldsmiths, in Europe) are neighboring Switzerland and France: easy to infer the modest degree of internationalisation. Italian leather products, fashion in general, and the ‘Toscana’ brand are already identifiers of prestige in the world, but it is time to get out of the discordant logic of contractor dwarfism that gets by according to the (endogenous and/or exogenous) capricci of corporates, by declining the assets of national artisan-cum-luxury fame into a serious, professional and truly global promotional project that drives the growth of new brands. Tariffs of a possible Trump presidency and surging low-cost imports from China are further threats: it’s time for the frog to jump out of the pot!

Marco Andreozzi, è Dottore in Ingegneria Meccanica, Economia/Amministrazione (Politecnico di Torino), tecnologo industriale e specialista del settore energetico, proviene da esperienze professionali in cinque multinazionali in Italia e paesi extra-europei, e come direttore generale; nomade digitale dal 2004, e sinologo, parla correttamente il mandarino.
Marco Andreozzi, is Doctor of mechanical engineering (polytechnic of Turin – Italy), industrial technologist and energy sector specialist, comes from professional experiences in five global corporates in Italy and extra-European countries, and as business leader; digital nomad since 2004, and China-hand, he is fluent in Mandarin.

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