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Dario Cangemi e “Allontanarsi dalla linea” il documentario su una Sicilia in fuga 

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Dario Cangemi e il documentario Allontanarsi dalla linea
Tempo di lettura: 9 minuti

Il giornalista e regista Dario Cangemi ci racconta come nasce “Allontanarsi dalla linea” il primo documentario che affronta lo spopolamento giovanile in Sicilia. L’opera del giovane regista, visibile su Chili, osserva da vicino la vita dei testimoni che vivono l’Isola in uno dei periodi più bui per i suoi giovani. 

 

Una girandola arcobaleno, di quelle che non sai se il vento fa avanzare o indietreggiare e i binari di un posto che, per chi ci nasce, non è una semplice terra: è la Sicilia. Magnete che da un lato ha il suo polo positivo fatto di colori e calore, dall’altro quello negativo con limiti e incertezze; e al centro ci sei tu. E non puoi sfuggire a questo magnete, neanche se a separarti c’è un ostacolo.  

Opposti di una terra, dunque, che diventano immagini poetiche e profetiche in Allontanarsi dalla linea. Il primo documentario del giornalista e regista Dario Cangemi (Palermo 1998), coprodotto e distribuito da Marte Studios e approdato sulla piattaforma Chili. Un’opera sui giovani che da quei binari dell’Isola vanno via con sogni e speranze imballati, su chi resta coraggiosamente e chi ormai sembra quasi rassegnato. Azioni che convergono tutte inesorabilmente verso un tema/problema: lo spopolamento, con numeri da brividi.

Secondo l’Istat sono 364 mila i giovani fuggiti negli ultimi sette anni dalla Sicilia, dati utili a Dario e dai quali al contempo si “discosta”. E lo fa portando alla luce voci di pastori, contadini, pescatori, pasticceri, cantori e attori con il mare nelle vene che in 33 minuti si confrontano con detti come “Cu nesci, arrinesci” e in fondo sperano in una gioventù che sfidi i cliché di una terra bella solo per le vacanze o trascorrerci la vecchiaia.  

Un dono per immagini che Dario, stabile a Roma e anche lui con la cicatrice dell’Isola sulla pelle, restituisce a quella stessa terra dove ha iniziato la vita; e lo fa nel modo più inaspettato possibile. Dimenticate colori brillanti e tarantelle, perché tra paesaggi autunnali e invernali (altrettanto suggestivi) di quasi tutta la Sicilia questo giovane regista mostra il semi buio di una terra del doppio coraggio: restare e andare. 

Ph. Salvo Annaloro- Dario Cangemi

Che tipo di persona sei Dario, ci parli un po’ di te? 

«Sono una persona tanto ambiziosa e curiosa, sempre alla ricerca e per il lavoro che faccio credo sia importante nutrirsi continuamente di libri, film; aggiungo anche coraggioso in alcuni casi. Coraggio che è venuto un po’ da sé e ho sviluppato da quando sono a Roma in un mondo che ti ingabbia e avvolge, pieno di leoni. A quel punto, hai due strade: trovare il coraggio in una parte dell’io anche quando si è timorosi, oppure essere mangiati. Quindi, penso bisogna fare un compromesso e capire quanto la propria ambizione ti spinge ad arrivare all’obiettivo».  

 

Giornalista e regista. Come sei passato da un ambito all’altro?  

«Dopo il percorso in Lettere a Palermo sono diventato giornalista pubblicista; scrivevo tanto di cinema e sport per il Giornale di Sicilia. Poi a un certo punto, invece di scrivere le storie degli altri sentivo l’esigenza di voler fare io qualche storia. La regia, invece, mi ha sempre appassionato: da quando avevo 8/9 anni i giochi canonici o i cartoni animati non mi entusiasmavano; vedevo Arancia Meccanica e la filmografia di Kubrick, il che potrebbe essere anche un problema per la formazione psicologica di un bambino (ride)».  

 

Quando arriva “Allontanarsi dalla linea”? 

«Quando mi sono trasferito a Roma, dal distacco che ho cominciato a sentire dopo un anno di distanza da Palermo e dalla Sicilia. Ho iniziato ad avvertire quel senso di nostalgia e malinconia che non era la negazione di un presente infelice, ma piuttosto una presa di coscienza di qualcosa che era finito, come il primo amore: finisce e lo guardi con distacco sapendo che gli vuoi tanto bene. Ecco, ho avuto questo rapporto con la Sicilia e ce l’ho tutt’ora, e mi sembrava il modo migliore a 24 anni di raccontare una condizione dell’io un po’ universale ai miei coetanei.  

Ho voluto regalare un ritratto alla mia terra in stile un po’ documentaristico, non con un’indagine giornalistica canonica. Nel documentario le statistiche ci sono, ma quello che mi interessava di più era mettere la macchina da presa fuori dalle cartoline stilistiche della Sicilia estiva, solare, ridente e tentacolare. La sfida era raccontare la quotidianità di una terra attraverso i suoi colori più grigi, desolati e angoscianti, ecco perché le riprese le abbiamo fatte in autunno e inverno».  

Dario Cangemi e il documentario "Allontanarsi dalla linea"

Dal set “Allontanarsi dalla linea” di Dario Cangemi

Come mai questo titolo e cosa rappresenta la “linea”? 

«Sono partito dalla frase e dai suoni d’allarme che si sentono in tutte le stazioni d’Italia, un alert per allontanarsi da una linea di pericolo. Mi piaceva giocare sul doppio binario della linea di demarcazione di un pericolo, come se fossimo costretti ad allontanarci da questa terra per pericolo. È come qualcosa che ti mette in guardia e ho pensato si sposasse bene». 

 

Quali luoghi hai scelto per le riprese?  

«Quasi tutta la Sicilia, tranne le province di Catania per ragioni logistico produttive. Ho fatto più di 6 ore di girato, giornalmente e in quasi tre settimane. Siamo partiti da Erice, tutta la parte del trapanese e poi ci siamo spostati verso Palermo e le Madonie e abbiamo fatto anche una parte dell’entroterra, Caltanissetta, Enna fino ad arrivare un po’ nel messinese».  

 

 “Cu nesci, arrinesci”, dicono. Sei d’accordo? E se fossi rimasto in Sicilia pensi che le cose per te sarebbero state diverse? 

«Dico sempre che sia necessario uscire, che sia dalla Sicilia, dall’Abruzzo o dal Molise. Non lo pensavo quando vivevo a Palermo, ma andando fuori l’ho capito. Andare via dalla Sicilia mi ha salvato la vita per tanti motivi, lavorativi e non; però non sono nessuno per poter consigliare o invitare a farlo. Oggi, mi trovo molto bene a Roma, perché pur lavorando tanto, ho la sensazione di essere in un posto che rimanda a una vacanza. Sempre da scoprire e piena di misteri e fascino.  

A un certo punto, ho iniziato ad avvertire che il tempo in Sicilia si fosse fermato e quando torno mi capita di sentire questa cosa. Quando ho scritto il soggetto del documentario sono partito da “Cu nesci, arrinesci”, mi colpiva perché lo leggevo su ogni articolo ed era quasi fastidioso».  

Dario Cangemi e il documentario "Allontanarsi dalla linea"

Riprese dal set “Allontanarsi dalla linea” con il puparo Mimmo Cuticchio

Secondo te qual è la ricchezza della Sicilia che va oltre gli stereotipi di bella isola da scoprire solo nei mesi estivi? 

«Secondo me è ricca di cultura, e quando parlo di cultura mi riferisco non solo a reperti archeologici e storici, ma penso anche a una certa forma linguistica, tradizioni popolari e usanze antropologiche. Abbiamo un archivio storico, culturale e sociale di cui noi stessi non ci rendiamo conto e non conosciamo. A di là delle bellezze, che do per scontate e che però da sole non bastano (anche se c’è a chi bastano)». 

 

Cosa ti ha colpito di più delle persone che hai incontrato e mostrato nel documentario? 

«La genuinità e la spontaneità di quasi tutti. Nessuno è stato respingente e sono stati tutti accoglienti, cosa successa anche con il nuovo cortometraggio che ho girato 10 giorni fa a Palermo dal titolo provvisorio “Dietro la curva”. Sono abbastanza convinto che questa apertura e affetto, che restituisce la sensazione di conoscere una persona quasi da una vita, ci appartenga.

Quando ho girato quest’ultimo corto con il protagonista Giuseppe ho avuto questa sensazione, come se lo avessi visto e rivisto tante volte; invece, era la seconda volta che ci vedevamo. In realtà, alla fine i siciliani sono molto curiosi e, nonostante spesso stiano nella loro comfort zone, sono aperti al nuovo e curiosi. Non c’è una chiusura mentale, cosa che si crede». 

 

Secondo te c’è un appiattimento in Sicilia di vite, iniziative e mentalità. E se c’è a cosa è dovuto? 

«L’attore Ninni Bruschetta nel documentario parla di “pigrizia atavica”. Dice che in Sicilia abbiamo tutto, come se fossimo nati e cresciuti viziati dalla bellezza e dal fatto di avere tutto. Secondo me è una pigrizia insita nel siciliano, perché penso ci sia una sorta di dilatazione temporale per quanto riguarda il lavoro quotidiano e le scadenze, e questo ti porta un po’ ad adagiarti.

È come se tutto non avesse scadenze, neanche le passioni, e quando poi ci si pone una scadenza è come se si volesse stare alla larga da angosce e ansie» 

Foto dal set “Dietro la curva” con Giuseppe

Nel cortometraggio emergono le opinioni di molti siciliani adulti che dicono: «Ormai cosa devo fare?». Cosa risponderesti a quell’ormai? 

«Parto da una domanda che mi hanno fatto: “Perché nel documentario non ci sono testimonianze giovanili?”. È una scelta, perché è un documentario dal punto di vista di chi è rimasto forzatamente o meno. Quell’ormai è esplicativo, perché questa terra ti permea con le sue bellezze e le brutture a uno stile di vita.

E a una certa età è come ci sia la curiosità di scoprire, ma non la necessità. C’è sempre una sorta di equilibrio che ti adagia e ti fa credere che tutto va bene così, ma in realtà penso che le nostre vite siano un’opportunità e proprio per questo tutto va un po’ scoperto». 

 

Cosa diresti a chi, in questo momento, legge ed è in procinto di andare via o è andato via dalla Sicilia? 

«Godersela finché possono, perché gli mancherà. Come ho detto è una specie di primo amore in cui tu ami, poi odi e poi capisci che è finita. Il consiglio per chi se ne va è la frase di Nuovo cinema Paradiso, dove Alfredo dice al protagonista: “Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia”.

Quindi, non lasciarsi sopraffare dai ricordi, non guardarsi troppo alle spalle perché il pericolo di tornare indietro c’è; la bellezza di questa terra è forte”».  

 

«Il lavoro che abbiamo qua ci basta più di quello che ci serve» dice un pasticcere nel documentario. Pensi che accontentarsi sia un modo per vivere sereni o per sprofondare? 

«Per come sono fatto io, la seconda. Accontentarsi, di per sé, prevede una forma di limitazione. Quel pasticcere non voleva saperne, per lui era così. Non vedeva il motivo di mandare i figli a studiare a Palermo o a vivere fuori.

E anche questa è una bolla mentale data da quello che abbiamo accanto; e se quello che abbiamo accanto è una certa mentalità e credenza, essa si rispecchia su di noi, perché siamo ciò che frequentiamo e viviamo, siamo come si viene cresciuti. Quindi, secondo me, si sprofonda». 

Frame del documentario “Allontanarsi dalla linea”

 Se dovessi descrivere questo corto con un detto, quale sarebbe? 

«Ce ne sono tanti. La citazione di Tornatore è calzante e anche quella de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana: “Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi, vada in America, se ha le possibilità, ma lasci questo Paese. L’Italia è un Paese da distruggere: un posto bello e inutile, destinato a morire… Qui è tutto immobile in mano ai dinosauri…”. Queste due frasi mi piacciono molto, nonostante il documentario non sia un film di finzione e quindi si distacca tanto». 

 

Cosa ti auguri per il futuro della Sicilia? 

«Che possa quantomeno stare al passo e diminuire il delta con le altre regioni (specie quelle del centro nord) in termini di opportunità, infrastrutture, logistica e turismo, perché su ognuno di questi settori siamo indietro. Ci salva la bellezza della terra e il nostro affetto; se non ci fosse quello saremmo morti. E non so se attualmente ci sono le premesse per farlo, ma mi auguro questo». 

 

E per il tuo futuro? 

«Di fare tanti film sia come regista, che come produttore. Poter avere semplicemente l’occasione di realizzarli e farli vedere, un’utopia in un mondo in cui tanti lo fanno e in cui non si ha un mercato di distribuzione e visibilità semplici.

Mi auguro di avere sempre l’esigenza di raccontare qualcosa e di innamorarmi sempre di una storia, che rappresenta un amore un po’ come quello verso una persona, com’è stato con “Allontanarsi dalla linea” e il documentario “Dietro la curva” con Giuseppe».  

 

Cosa prevede, a questo punto, il tuo 2024? 

«Sono in fase di montaggio del corto documentario “Dietro la curva”, la storia su una partita del Palermo e sul dietro le quinte di Giuseppe, personaggio che prepara panini per i tifosi; una storia popolare, drammatica, ironica e folcloristica al cui interno se ne apre una personale, con un dramma forte che spero di far vedere in estate.

Poi, siamo in produzione con i miei soci di Palermo di Marte Studios con un paio di film e in distribuzione con tante altre cose. E sto iniziando anche a scrivere e abbozzare il mio primo film di finzione». 

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