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Attualità

Vera Gheno: tra “radici”, militanza inclusiva e quel corsivo criticato da moltə

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Vera Gheno
Tempo di lettura: 5 minuti

Vera Gheno, sociolinguista errante, traduttrice, scrittrice, docente universitaria torna alle origini della sua passione per le parole con alcuni consigli su linguaggio inclusivo e un parere sul corsivo, trend del momento.

Pinzillacchere: conosci questa parola o senti il bisogno impellente di googlarla? Se la conosci, bene; se vai a cercarla ancora meglio, perché soffri di una “malattia” spesso rara, ossia la curiosità linguistica: il desiderio di non giacere sugli allori di una comunicazione usuale.  

Questo termine, caro a Totò, lo troviamo redivivo nella bio della pagina Instagram di Vera Gheno (1975, Gyöngyös); wandering sociolinguist (sociolinguista errante), traduttrice, scrittrice, docente universitaria, collaboratrice dell’Accademia della Crusca:Sociolinguista specializzata in pinzillacchere. Grammamante poco adulta, ma schwaccinata”.  

Una descrizione che coglie appieno la natura schietta, ironica e caustica sia nel parlato e sia nello scritto, di una professionista che si nutre del significato delle parole e ne vive i cambiamenti culturali, sociali e digitali. Gran parte di questi mutamenti li ritroviamo nei suoi libri tra cui Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi, 2016), Potere alle parole. Perché usarle meglio (2019), Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole (2019), Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello (2018) che, tra l’altro, ha ispirato la traccia di attualità agli esami di maturità 2022 

Militante e sostenitrice di una lingua più inclusiva Vera, ha fatto sua la battaglia sull’uso dei nomi professionali al femminile come sindaca, architetta, avvocata e quella dello schwa (-ǝ), vocale media centrale usata al posto del maschile sovraesteso per rivolgersi a una moltitudine mista e parlare a tuttǝ.  

L’errante Vera, tra un impegno e l’altro, ci ha parlato di un Asterix galeotto, ci ha dato dei consigli per una comunicazione inclusiva e per coltivare il nostro orticello linguistico, dato il suo parere su un trend che ha suscita non poche critiche e… Non vi resta che scoprirlo.  

Vera Gheno e la genesi dell’amore per le parole

Vera Gheno e Sio

Vera Gheno e Sio

 Quali parole useresti per descriverti? 

«“Rompiballe” direi che mi riassume egregiamente”». 

 Quando nasce la passione per le parole? 

«Quando mio papà mi leggeva Asterix prima che io fossi in grado di leggere da sola. Credo che tutto sia iniziato in quel momento». 

 Se dico “Il mago maldestro”di Pál Békés, cosa ti viene in mente? 

“È stata la mia prima prova di traduzione. Lì ho iniziato a fare un lavoro che non avevo mai pensato possibile. E il tutto grazie all’atto di fiducia di mio padre e della casa editrice Anfora”. 

 Passi la vita a parlare di parole e a cercare di usare bene. Quali sono quelle che usi più spesso? 

«Come tutti, direi “ciao” e “grazie”». 

 Quali sono invece quelle che vorresti collocare in una black list

«A parte un certo fastidio per le parole “di plastica”, cioè quelle che tendono a diventare  insopportabili per troppo uso (come “resilienza”), penso fermamente che abbiamo bisogno di tutte le parole, anche quelle “brutte e cattive”; basta valutare bene il contesto. Per cui, questa volta niente lista nera». 

Comunicare per te equivale a … 

«Mettermi in relazione con le altre persone. E anche con me stessa». 

Sei mai stata blastata da un grammarnazi? 

«Certo, mi succede spesso. In particolare, vengo blastata per i giovanilismi e per gli anglismi.  Viene messa in dubbio la mia competenza di linguista, perché una “vera linguista non si esprime certo così». 

 Su Centodieci, c’è un articolo in cui fai riferimento agli 8 tipi social in cui tutti ci siamo imbattuti almeno una volta. Tu che tipo sei o sei stata? 

«Forse la blastatrice. E ogni tanto mi capita ancora». 

 Se ti chiedessi al volo di creare un neologismo o uno a cui hai sempre pensato, quale sarebbe? 

«Ne creo spesso. Ovviamente, per fortuna, rimangono nella mia testa o al massimo limitati ai miei  libri. E spesso scopro che in realtà non ho inventato nulla, e che quel certo termine era già in circolazione. Così su due piedi non saprei, meglio tacere!».

 «Se pensiamo ai social come perdita di tempo, il disallineamento con i ragazzi continuerà a crescere» dichiari a La Repubblica. Come andrebbero pensati invece? 

«Come un’opportunità, a saperla sfruttare in maniera intelligente». 

La figlia di Vera Gheno e Schwa appena arrivato in famiglia

La figlia di vera Gheno con il gatto Schwa, appena arrivato in famiglia

Qual è stata la scintilla che ha fatto scattare il desiderio di militanza per una lingua inclusiva? 

«Vivere delle ingiustizie personalmente, in quanto donna, madre single, divorziata, persona nata all’estero… e iniziare così a vedere le ingiustizie che subiscono le altre persone». 

«È e si può considerare la principale fautrice dell’adozione dello schwa» dicono di te. Pensi che questo esperimento linguistico sia riuscito? 

«Penso che sia presto per dirlo. Il mio intento è sempre stato quello di rendere visibile un’istanza, non di trovare per forza la soluzione, e in questo senso sono molto felice dei luoghi – inattesi- cartelloni ai Pride, pubblicità, manifesti elettorali… nei quali lo schwa è arrivato». 

 Tre consigli per una comunicazione inclusiva e condivisa per i brand e da usare nella nostra quotidianità. 

«Ascoltare le persone attorno a noi e non sottovalutarne i disagi; pensare all’effetto delle nostre parole su chi le ascolta o le legge; non dare per scontato di sapere tutto quello che serve sapere». 

 Come possiamo coltivare il sapere linguistico? 

«Con l’esercizio. E con una dieta mediatica varia, nella quale far entrare prodotti di ogni sorta (film, telefilm, libri, fumetti, cinema, teatro, giornali, ecc.) senza pregiudizi». 

 

Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello

Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello.

 Quest’anno alla maturità 2022 il libro “Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello” scritto insieme al filosofo Bruno Mastroianni. Cosa hai provato? 

«È stata un’emozione del tutto inattesa. Ho provato tanta soddisfazione, soprattutto pensando a tutte le persone che passano il tempo a denigrare il lavoro che faccio». 

 Che ne pensi invece del corsivo, il nuovo fenomeno social diffuso da Elisa Esposito? 

«Mia figlia quattordicenne lo “parla” da anni, e lo chiamava già così. Al di là dell’exploit di Esposito, lo trovo una geniale presa in giro di una certa parlata affettata tipica, mi dicono, di una tipologia di ragazzine milanesi. Adoro l’inventiva dei linguaggi giovanili». 

 Sei una “sociolinguistica errante”, continuerai ad errare in futuro o pensi di mettere le radici? 

«Le radici sono le persone alle quali sono legata, mia figlia in primis; per questo, per quanto io possa essere errante, non ne sono priva. Semplicemente, sono radici aeree… “Not all those who wander are lost”, come scrive J.R.R. Tolkien in una poesia contenuta nel “Ritorno del re”». 

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