Attualità
Tregua a Gaza. Un giorno alla volta…

E’ tregua sulla Striscia di Gaza. Solo tre le israeliane, rapite e ostaggi di Hamas dal 7 ottobre 2023, liberate in cambio di 30 prigionieri palestinesi per ognuna di loro rilasciati dalle carceri di Israele.
Di Grazia Piscopo, Presidente Associazione Horah – Lecce
Siamo nella settimana in cui tutti, per propaganda politicamente corretta di un occidente che ha molto da farsi perdonare, “cingendosi i fianchi di sacco e cospargendosi il capo di cenere”, devono onorare la Memoria. È una Memoria che oggi calza stretta perché quei pochissimi ormai che riescono a ricordare, devono riesumare vestigia simili a dolorose lapidi, e quei moltissimi, perlopiù giovani menti, che ne hanno sentito solo parlare e quindi non ne hanno coscienza diretta, diventano oggetto pedagogico di plagio semantico negazionista. Nonostante quindi la programmazione televisiva martellante (solo in questa settimana ogni anno) parlare delle comunità ebraiche vilipese e perseguitate dal medioevo a oggi, dei veri e propri “pogrom” nel territorio di Israele dal 1920 al 1939, o delle guerre di aggressione annichilenti del 1948, 1967 e 1973, delle due susseguenti Intifade da parte sempre degli stessi Fratelli Mussulmani o del delirio criminale della Shoah e per ultimo, del terrorismo Jiadhista che Israele ha subito il 7 ottobre 2023, non è affatto facile.
Il silenzio è la risposta soprattutto dalle scuole ad ogni iniziativa formativa e informativa sul “Perché” di Israele.
Persino Papa Bergoglio, nuovo volto televisivo telegenico e disinvolto in una tivù privata in collegamento dal Vaticano in diretta, ha condannato indiscriminatamente tutte le guerre in atto, tra cui anche quelle difensive.
Purtroppo Israele, dalla Dichiarazione di Balfour del 1917, evento che ricorda la possibile realizzazione per volontà inglese di “un focolare ebraico in Palestina”, ha dovuto Sempre subire, suo malgrado, guerre di aggressione sul suo suolo a cui ha dovuto rispondere per non essere cancellato dalla carta geografica.
Gli ammiccamenti disinformativi e generalizzanti dell’alto Prelato non fanno mai bene né alla sacralità del ruolo che ricopre né al progetto ecumenico tendente a un punto di incontro tra le religioni monoteiste.
Ma proprio all’inizio di questa settimana così difficile, si sono aperti gli scricchiolanti e arrugginiti cancelli della Speranza e della prigionia a Gaza per tre ostaggi israeliani. Solo tre su circa 250 fra vivi e morti.
Tre donne, Romi Gonem, Emili Damari di nazionalità britannica e israeliana e Doron Steinbrecher, romena. Quattrocentosettantuno giorni di prigionia. Consegnate al personale della Croce Rossa mentre un vortice confusionale di una folla vociante e urlante dava sfoggio in una frenetica e indiscinta gesticolazione di braccia alzate di miliziani di Hamas, di tutto punto equipaggiati con armi e con la solita fascia verde intono alla testa.
Tutte e tre rapite nell’area Kfar Aza quel doloroso 7 ottobre. Romi quel giorno era al “festival Nova” in compagnia di una sua amica Gaia Halifa. E, come nelle peggiori rappresentazioni dell’assurdo di Samuel Beckett, mentre ancora la musica regnava indiscussa, Romi accorgendosi dei terroristi, prende il telefono per avvisare sua madre quando un proiettile gliela perfora tranciandole due dita mentre un altro proiettile uccide la sua più cara amica.
Doron è infermiera veterinaria e viveva, prima che tutto fosse distrutto, nel kibbutz accanto a quello dei suoi genitori e di sua sorella sposata. Ha avuto sin da subito l’esatta percezione di cosa stesse accadendo:” Sono arrivati. Mi prendono”. E poi più nulla.
Emili invece era nel suo appartamento quando sono arrivati. Per impedirle di dare l’allarme con il telefono le hanno subito sparato alla mano. Le gambe sono state colpite da schegge di proiettile. Da lei quel giorno erano ospiti due amici, Gali e Ziv Berman di cui però non si hanno più notizie. Il cane di Emili, Chooka, abbaiava ed è stato azzittito con un proiettile alla testa.
Solo tre donne in cambio di trenta prigionieri per ognuna di loro, detenuti nelle carceri di Ofer in Israele.
Secondo un elenco fornito dalla commissione degli Affari dei prigionieri dell’Autorità Palestinese tutti i novanta prigionieri rilasciati sono donne e minori legati a reati sulla sicurezza nazionale.
Sicuramente Hamas avrebbe voluto prigionieri con maggiore spessore Jiadhista per rimpinguare le decimate scuderie dei suoi miliziani, sempre pronti a future e prodigiose battaglie a danno di inermi civili ebrei. La prossima tappa è il rilascio di trentatré prigionieri nell’arco di sei settimane in cambio di centinaia di palestinesi.
La tregua però sembra già abbastanza fragile, nonostante il canovaccio di intesa. Le differenze culturali e di obiettivi di propaganda fra Israele, Stato legittimo e democratico, e la marea Panaraba, antidemocratica e misogina che usa la Palestina come caprio espiatorio, sono agli antipodi. Fra le varie diffamazioni che sono state messe in atto contro Israele, oltre quelle da solito copione del “Mein kampf” (…gli ebrei sono demoni, avvelenano i pozzi di acqua e fanno riti sanguinari…), l’ultima è quella che, a partire dal 7 ottobre, lo Stato Ebraico avesse provocato intenzionalmente una grave carestia nella striscia di Gaza. Calunnia questa che si basa su un rapporto del Integrated Food Security Phase Classification (IPC), subito però smentita dal COGAT, Unità dell’IDF (Forza Difesa Israeliana) essendo venuto fuori da testimonianze autoctone che Hamas impediva gli approvvigionamenti provenienti da Israele pena la morte o eventuali punizioni con pene corporali, vietandone la collaborazione nella distribuzione di aiuti umanitari.
Su queste basi qualsiasi tregua sembrerebbe instabile.
Per fortuna il futuro è fatto di un giorno alla volta (A. Lincoln)